Una semplice proposta per le imprese e nessun regalo.
E’ un fatto noto che la pressione fiscale sulle imprese italiane sia notevolmente più alta di quella degli altri paesi OCSE e questo da molti anni.
Ciò ha reso molto più difficile, a volte impossibile, per le imprese italiane, capitalizzarsi, investire in ricerca, innovazione, formazione, al fine di aumentare la produttività quindi l’ammontare di PIL per ore lavorate ed i posti di lavoro e poter competere con le concorrenti straniere.
L ‘Italia presenta un “total tax & contribution rate” di 59,1%, il che significa che fatto 100 il reddito di impresa, 59,1 euro vanno allo Stato sotto forma di prelievo fiscale, contributivo e relativa incidenza burocratica: Il “total tax & contribution rate” medio europeo è invece del 38,9%. Ciò implica che le imprese italiane, pagano oltre 20 punti percentuali in più di tasse rispetto alla media europea. Ovvero hanno un auto-dazio interno di 20 punti. Ciò premesso risulta evidente che per uscire dalla crisi é necessario ridurre subito il “total tax & contribution rate” di almeno 20 punti, taglio da finanziare dalla “spending review” della spesa aggredibile che secondo gli economisti del Centro Studi di Confindustria è pari a 290 miliardi su 873 miliardi di spesa pubblica.
Inoltre, considerato che le imprese hanno già versato il 98% delle tasse per il 2019, é necessario calcolare il relativo conguaglio fiscale per il saldo, tenendo conto anche del risultato economico del 2020 ipotizzando che questo sarà negativo per la maggior parte delle imprese
Calcolando con il metodo del “loss carry back” le imposte sul reddito medio biennale 2019-2020, queste risulteranno a credito e tale credito d’imposta potrà essere immediatamente scontato presso gli istituti di credito.
Allo stesso modo dovranno essere subito erogati alle imprese i 37 miliardi di debiti della pubblica amministrazione già certificati e gli oltre oltre 4 miliardi di crediti fiscali che esse vantano e per i quali attualmente vigono limiti alla compensazione orizzontale.
E’ bene ricordare che, in riferimento alle attività di impresa, il reddito derivante da tale attività potrà essere calcolato in modo certo solo alla fine dell’attività, quando l’impresa cesserà di esistere potendo a quel punto verificare la validità dell’investimento e la verifica della realizzazione di utile o una perdita.
In proposito Einaudi scriveva: “La divisione del tempo in intervalli, finiti, ad es. l’anno dal 1° gennaio al 31 dicembre, è artificio. Necessario, ma artificio. Supporre che la vita di un’impresa possa essere spezzata in esercizi finiti annui è supporre l’assurdo. Non si può sapere se una impresa ha fornito ai suoi proprietari profitti ovvero perdite se non quando essa è morta e tutte le sue attività sono state liquidate. Paragonando allora gli incassi e le spese, ridotti a valori attuali ad un dato momento, potremo giudicare dell’esito dell’impresa. Finché essa rimane in vita ed opera, il giudizio è provvisorio. Andrà ingoiata la riserva da perdite future? Basterà a fronteggiarla? Nel dividere il tempo in intervalli annui e nel redigere conti riferiti distintamente ad ognuno di quegli intervalli, i contabili obbediscono alla necessità di orientarsi, di avere una norma per l‟avvenire, di sapere se il successo arride o non all‟impresa, di non sentire, nell’atto di prelevare fondi a fini di spesa privata, rimorso di aver recato nocumento alla vita di essa. Se anche per ipotesi
inverosimile, il possessore dell’impresa potesse astenersi da prelievi sino alla liquidazione finale, non potrebbe astenersene lo stato, le cui speso sono continue nel tempo e debbono essere continuamente fronteggiate da entrate ugualmente distinte nel tempo” (cit. “Miti e paradossi della giustizia tributaria, Luigi Einaudi, Torino, 1959).
Dottore in Economia, Consulente del Lavoro e Commercialista, Consulente Tecnico del Giudice Tribunale di Roma