Nel terzo volume che poi andrà a creare Legge, legislazione e libertà, Hayek afferma che «l’uomo non è e non sarà mai il padrone del proprio destino». Rifuggendo le sempre presenti tentazioni costruttivistiche e iper-razionalistiche, il pensatore austriaco voleva evidenziare quanto poco sappiamo – anche qualora provassimo incessantemente a migliorarci – per potere davvero andare al di là della nostra natura fondamentalmente fallibile.
Ciò non significa, come è ben evidente, che non possiamo fare nulla per tenerci stretto quel po’ di progresso che è stato raggiunto mediante esperienze ed esperimenti di molteplici generazioni. In questo senso, purtroppo, lascia davvero esterrefatti la decisione di non rinnovare la convenzione con Radio Radicale da parte del governo e, nella fattispecie, dell’ala pentastellata dello stesso. A proposito di ciò ha scritto Salvatore Merlo su “Il Foglio” del 16 aprile, con un articolo dal reboante ma più che pertinente titolo “Tra i delitti contro la civiltà del M5s ricorderemo anche la chiusura di Radio Radicale”. E come dargli torto. Condannare alla chiusura questo bastione di memorie, sapere e cultura, infatti, equivale a un crimine, giacché non ci si rende conto del prezioso servizio che questa emittente negli anni ha fornito. Molto di più, peraltro, dell’emittente radiotelevisiva nazionale che non si avvicina propriamente a quello che potremmo classificare come servizio di qualità.
Il risparmio irrisorio per le casse dello stato, addotto a mo’ di motivazione, insulta anche chi è dotato di un quoziente intellettivo prossimo alla maggior parte dei membri dell’attuale esecutivo. Detto da chi, tra l’altro, spende miliardi per misure assistenzialistiche che non promuovono iniziative economiche foriere di crescita effettiva, ma solo pigrizia e servilismo di stato, fa ancora più rabbia.
Radio Radicale non è solo uno strumento per ascoltare dibattiti parlamentari o congressi di partito – uno strumento, peraltro, estremamente pluralistico, giacché praticamente tutto lo spettro politico è coperto da questo servizio – ma soprattutto per ascoltare incontri, convegni e presentazioni di libri che altrimenti non si sarebbero mai potuti ascoltare, stando a distanza di chilometri. Si tratta, in altre parole, di un ausilio imprescindibile per chi abbia voglia di capire e riflettere sulle più variegate tematiche, anche a distanza di anni.
Ahimè, ciò è esemplificativo per almeno due motivi, tra l’altro inestricabilmente legati: uno che riguarda l’incapacità di riflettere, l’altro che concerne la perdita di senso storico. In primo luogo, lo Zeitgeist attuale è centrato sull’idea di azione. Ciò che conta non è riflettere e ponderare prima di agire, poiché questo è ritenuto superfluo e ridondante dai più. Ritenendosi ognuno ormai autosufficiente da un punto di vista intellettivo, non necessita di alcun tipo di confronto né, tantomeno, di una previa riflessione. In altri termini, il “rischiaramento delle menti”, se non sostenuto da alcun senso del limite – sarà questa la vera virtù di una società libera? – ci fa ripiombare in un’era che pensavamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle.
A che serve Radio Radicale se so già tutto quello che mi serve? Questa tracotante pretesa tradisce una delle basi dell’Occidente, cioè a dire la capacità critica tipica della filosofia. L’umiltà di riconoscere i nostri limiti è uno dei tratti distintivi che ci hanno messo nella condizione di stare dove stiamo. La capacità di ragionare senza superbia ha reso possibile il progresso. Ma, come nota Ortega y Gasset nel libro che più di ogni altro inquadra la nostra situazione contemporanea, La ribellione delle masse, «la novità è questa: il diritto a non avere ragione, la ragione della non-ragione. Io vedo in questo la manifestazione più evidente del nuovo modo d’essere dell’uomo-massa, da quando ha deciso di dirigere la società senza averne le capacità». Il “signorino soddisfatto” non ascolta, poiché già possiede la conoscenza di ciò che gli serve per vivere. Non ha bisogno di, anzi, non vuole convivere con chi non è come lui. Ortega lo scrisse lapidariamente: «civiltà vuol dire, innanzi tutto, volontà di convivenza. Si è incivili e barbari nella misura in cui non ci si sente in rapporto con gli altri. La “barbarie” è soprattutto tendenza alla dissociazione». E come si traduce questo nella pratica? Con la volontà di intervenire direttamente in ogni questione. Se io non ho bisogno di mediazioni e, in generale, di rapportarmi con nessuno, allora intervengo direttamente. Il “bimbo viziato” è un uomo ermeticamente chiuso, «possiede un repertorio di idee preconcette. Decide che gli bastano e si considera intellettualmente completo. Non volendo considerare nulla al di fuori di sé, s’imprigiona definitivamente in quel repertorio».
Peccato che questo conduca all’espansione di insipienza. Soprattutto poiché legato a un altro dato evidente: il menefreghismo per ciò che è stato. Radio Radicale è uno scrigno di memoria, come detto. E come possiamo evitare di commettere errori già commessi se non conoscendo il passato? L’uomo, senza sapere da dove viene, è disorientato, non sa che fare e, probabilmente, si affiderà a pifferai magici e demagoghi che lo accompagneranno verso l’abisso. In Aurora della ragione storica, Ortega definisce il passato «l’unico arsenale dove troviamo i mezzi per realizzare il futuro». E non a caso. La dissipazione di fatti già avvenuti, la mancata tesaurizzazione del passato, la dispersione degli insegnamenti contenuti in opere grandiose non sono che l’anticamera del declino.
Insomma, Radio Radicale ha aiutato chi ne ha usufruito a eliminare qualche briciola di ignoranza. E soprattutto, è imprescindibile tanto per riflettere quanto per ragionare su ciò che è stato. All’inizio ho detto, citando Hayek, che non saremo mai padroni del nostro destino. Ne sono convinto. Nondimeno, rifiutando determinismi e filosofie della storia vari, penso che tutto sommato stia a noi, almeno in parte, scrivere come sarà il futuro. Se eliminiamo, però, un inestimabile utensile che ci aiuta, attraverso la promozione del pluralismo e la tutela della memoria storica, a preservare la nostra società libera, facciamo un passo verso la decadenza. «Rompere la continuità con il passato, voler cominciare di nuovo, significa aspirare il declino», scriveva fosco Ortega. C’è da dargli retta, mi pare.
PhD candidate, Luiss Guido Carli, Roma. Tra gli interessi di ricerca: populismo, rapporto liberalismo/democrazia, pensiero liberale classico