In questi giorni ho letto che molti ritengono le retribuzioni previste dai contratti collettivi “retribuzioni da schiavi”. Il fatto è che questi considerano solo l’importo che leggono sulla loro busta paga alla voce “retribuzione netta”. Non tengono conto di ciò che in realtà sborsa il datore di lavoro.
Lo schiavista, l’affamatore non è il datore di lavoro, ma la causa, il cuneo fiscale, imposto dallo Stato. Se le retribuzioni sono modeste e per “colpa” del c.d. “cuneo fiscale”. In Italia, infatti, il cuneo fiscale è il 47,8% del costo del lavoro, quindi circa la metà del costo che il datore di lavoro sostiene per il lavoratore non va nelle tasche del lavoratore stesso ma viene dirottato nelle casse dello Stato. Il datore di lavoro che, ad esempio, spende 31mila euro per un dipendente è costretto ad erogargliene quale netto della busta paga, solo 16mila.
Per esemplificare è come se il datore di lavoro erogasse due retribuzioni, una al lavoratore, l’altra allo Stato. Il cuneo fiscale rappresenta per il lavoratore una “tassa occulta”, di cui cioè non è consapevole e che rende nemici datore di lavoro e lavoratore, li divide, li pone uno contro l’altro.
Se si abolisse il ruolo del datore di lavoro come sostituto d’imposta affidando il compito di versare imposte e contributi al lavoratore in autoliquidazione, il lavoratore riceverebbe l’intero costo del lavoro nelle sue mani, cioè circa il doppio della sua retribuzione netta, ed avrebbe modo di capire qual è l’origine del suo malcontento.
Ad esempio, il ristorante che assume il cameriere potrebbe ogni mese versare al dipendente l’intera retribuzione lorda ed anche i contributi a carico azienda il lavoratore in sede di dichiarazione dei redditi, verserebbe i contributi e le imposte da lui dovuti e non il datore di lavoro (sostituto d’imposta) che non ne avrebbe più l’obbligo, né la responsabilità.
Ciò comporterebbe minori oneri burocratici per le aziende e la necessità di minori controlli ed implicherebbe una maggiore consapevolezza da parte del lavoratore riguardo il costo del lavoro che gli verrebbe interamente erogato e contemporaneamente del peso fiscale e contributivo che grava su di lui e sulle aziende e che potrebbe toccare con mano all’atto dell’esborso dei contributi e delle tasse in sede di dichiarazione dei redditi. Ciò contribuirebbe ad una maggiore solidarietà tra datori e lavoratori per le rivendicazioni di politiche di riduzione fiscale e contributiva, e risponderebbe al principio di trasparenza e parità di trattamento tra contribuenti.
Cuneo fiscale è la quota del costo del lavoro che viene prelevata per imposte e contributi, quindi è la differenza fra costo del lavoro e retribuzione netta in busta paga.
Quindi cuneo fiscale non è sinonimo di costo del lavoro che, invece, rappresenta la somma dei costi che il datore di lavoro sostiene per la prestazione del lavoratore, cioè la somma della retribuzione lorda più gli oneri previdenziali, assicurativi.
Dottore in Economia, Consulente del Lavoro e Commercialista, Consulente Tecnico del Giudice Tribunale di Roma