Nel gennaio del 2004 l’Accademia Cattolica di Monaco organizzò un incontro sul tema della secolarizzazione, invitando a confrontarsi il filosofo Jurgen Habermas e l’allora Cardinale Joseph Ratzinger. L’intervento di Habermas prende le mosse da una questione posta, negli anni ‘60, dal giurista Ernst Wolfgang Böckenförde, secondo il quale uno Stato liberaldemocratico che si riconosca in un modello procedurale, non è in grado di legittimare i principi su cui si fonda.
Lo Stato liberale, secolarizzato -scrive il giurista tedesco- “vive di presupposti che esso di per sé non può garantire”. E’ questo il “Dilemma di Böckenförde”, dinnanzi al quale si troverebbe uno Stato liberale che volesse imporre principi etici negando, di fatto, il formalismo procedurale di ispirazione kantiana su cui si fonda.
Se è necessario che le virtù politiche siano alla base della democrazia, si deve ammettere l’estrema difficoltà di educare a quel “patriottismo costituzionale” in cui, secondo Habermas, i cittadini si appropriano dei principi della Costituzione, divenendo essi stessi “autori del diritto” e colegislatori.
Nelle comunità religiose che evitano il dogmatismo, sottolinea Habermas, possiamo trovare quello spirito di solidarietà “che altrove è andato perduto e non può essere prodotto nuovamente soltanto con il sapere professionale di esperti”. In questo quadro, che potremmo definire post-secolare, potrebbe essere accolta, secondo Habermas, la sollecitazione di Böckenförde, per il quale è nell’interesse dello Stato costituzionale, “trattare con rispetto tutte le fonti di cultura da cui si alimentano la coscienza normativa e la solidarietà dei cittadini”.
Nel confronto con le religioni emerge anche, inevitabilmente, il tema del fondamentalismo. A questo riguardo, Ratzinger, riconoscendo che nel messaggio religioso, accanto alla missione salvifica è presente “un potere arcaico e pericoloso, che crea falsi universalismi”, ammette che la ragione critica potrebbe limitare i rischi del fondamentalismo, come l’etica religiosa i rischi della Hybris tecnico-scientifica. Nel dialogo fra religione e Stato laico il Cristianesimo assumerebbe, secondo Ratzinger, un ruolo decisivo, per ragioni storiche e culturali
Nelle società liberaldemocratiche la questione della presenza religiosa nel discorso pubblico pubblico mostra la sua complessità nel momento in cui, scrive Habermas, i credenti devono sostenere i loro principi entro i confini della laicità dello Stato.
La difficoltà di un theo-ethical equilibrium risulta evidente in quanto, prosegue,“molti cittadini credenti non potrebbero assolutamente affrontare una scissione artificiale della propria coscienza senza mettere in gioco la loro esistenza di devoti”. Se, infatti, la neutralità ideologica è il presupposto istituzionale che rende possibile la libertà religiosa, “lo Stato liberale non deve trasformare la debita separazione istituzionale tra religione e politica in un peso mentale e psicologico che è impossibile imporre ai suoi cittadini credenti”. Essi dovrebbero quindi poter esprimere le loro ragioni in un linguaggio religioso anche quando non non fossero in grado di tradurle in termini laici, per sentirsi “membri di una civitas terrena che li legittima come autori delle leggi di cui sono destinatari”. A suo avviso, le tradizioni religiose introducono nel discorso pubblico elementi di verità, che potrebbero trovare espressione, sul piano morale, “in un linguaggio universalmente accettabile”.
Rawls non pensa che dei credenti possano riconoscersi pienamente in una concezione politica liberale. Ciò rischierebbe infatti di mettere in dubbio le loro “dottrine comprensive”, come egli chiama le ideologie e le credenze che non sono in consonanza con le procedure del liberalismo politico. Solo in una democrazia costituzionale è possibile, secondo Rawls, assicurare ai credenti una libertà “che sia coerente con le eguali libertà degli altri cittadini in quanto liberi, eguali e ragionevoli”. Una dottrina religiosa potrebbe allora riconoscere nei principi liberaldemocratici di tolleranza un’espressione dei “limiti che Dio ha stabilito per la nostra libertà”. Una dottrina non religiosa, scrive ancora Rawls, si esprimerà diversamente, ma, in questo caso, laici e credenti possono considerare la libertà di coscienza e il principio di tolleranza in accordo “con una giustizia eguale per tutti i cittadini all’interno di una società democratica ragionevole”. La tolleranza potrebbe quindi essere intesa in termini etico-politici dai laici, e come limite che Dio ha posto alla libertà umana dai credenti. Le tesi religiose e le dottrine comprensive possono partecipare alla discussione politica pubblica in qualsiasi momento, a condizione che riconoscano, secondo Rawls, la clausola condizionale, che comporta “l’impegno a sostenere la democrazia costituzionale”.
Rispetto alla tesi di Rawls, che risente della funzione che la religione civile svolge negli Stati Uniti, in cui la “clausola condizionale” costituisce l’orizzonte comune per le diverse confessioni, la posizione di Habermas riconosce spazi più ampi alle religioni nel dibattito pubblico. Il filosofo tedesco ritiene infatti che l’osservanza di quella clausola potrebbe incidere in modo negativo sulla libertà del credente. Se la traduzione delle istanze religiose in linguaggio politico rischia di limitarne la spinta propulsiva, costituisce però la condizione essenziale per un un dialogo costruttivo e rispettoso delle ragioni dell’altro.
Tanto Rawls quanto Habermas sono consapevoli di operare in un contesto post-secolare. Nelle pagine conclusive de Il diritto dei popoli, Rawls scrive che una dottrina religiosa che si richiami all’autorità della chiesa o della Bibbia è sicuramente una dottrina comprensiva che non fa propri i valori liberali di Kant o di Mill. Ciò non le impedisce necessariamente, però, di accettare le “concezioni politiche della giustizia (liberali) che soddisfano il criterio della reciprocità”.
La ragione pubblica, così intesa, non si contrappone alle credenze religiose, a condizione che queste siano compatibili con le libertà costituzionali essenziali. Siamo lontani, dunque, dalle guerre di religione e, sotto questo aspetto, il liberalismo politico, scrive il filosofo americano, “si allontana profondamente dal liberalismo illuminista, e lo respinge. Diversamente da questo, esso non attacca l’ortodossia cristiana”. In quanto cerca di definire regole che possano valere per tutti, la filosofia del liberalismo politico è tendenzialmente agnostica in fatto di religione.
Un pensiero post-metafisico che accolga una concezione critica della ragione, ha scritto Habermas, deve mostrarsi “pronto a imparare e nello stesso tempo agnostico”, astenendosi dall’arrogante pretesa razionalistica di decidere che cosa nelle dottrine religiose sia o no razionale.
Non giova certamente a un sereno confronto con il pensiero liberale il tono con cui Giovanni Paolo II condannò il relativismo nell’enciclica Centesimus annus , in cui leggiamo che “se non esiste una verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica”, rischiamo di vivere in “una democrazia senza valori” e in “un totalitarismo aperto oppure subdolo”.
Dinnanzi alla continua denuncia della cosiddetta dittatura del relativismo, un laico non può non far proprie le riflessioni di Hans Kelsen, per il quale “solo se non è possibile decidere, in via assoluta, cosa sia giusto o ingiusto, è consigliabile discutere il problema e, dopo la discussione, sottomettersi a un compromesso”. E’ questo il sistema politico che noi chiamiamo democrazia e che possiamo opporre all’ assolutismo, scrive Kelsen, “solo perché è relativismo politico”.
Il proceduralismo e il convenzionalismo giuridico, sono frequentemente oggetto di critiche da parte di chi rivendica una legittimazione metafisica dello Stato. Il plebiscito con cui si concluse il processo a Gesù, può, certamente, essere usato come un argomento contro la democrazia e il suo relativismo. Si tratta però di una riserva, come sosteneva Kelsen, che possiamo accettare solo alla condizione “di essere così sicuri della nostra verità, come lo era, della sua, il Figlio di Dio”. Ecco perché i totalitarismi hanno legittimato il loro potere divenendo vere e proprie teologie secolarizzate.
Come risulta evidente, il buon uso del relativismo politico, che sta a fondamento della democrazia, non può essere confuso, come talora accade, con il nichilismo descritto da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov. Siamo infatti lontani da quell’ “uomo nuovo” che vuole diventare l’uomo-dio a cui tutto è concesso. Questi esercizi di onnipotenza sono del tutto estranei alle democrazie liberali, che non pretendono di creare un “uomo nuovo”, proprio in quanto si contrappongono radicalmente alle escatologie millenaristiche delle ideologiche totalitarie.
Non si può non riconoscere che le tradizioni religiose hanno molto da insegnare sul piano etico alle democrazie, che attraversano gravi difficoltà proprio perché la coscienza civile, che dovrebbe alimentarle è tiepida e debolmente motivata. Il confronto con le religioni dimostra però che l’ ethos democratico, prendendo le distanze dal monismo della verità, accoglie il pluralismo dei valori, fondandosi su principi che esprimono una loro “sacralità”, anche se, come avrebbe detto Isaiah Berlin, la loro durata non può essere garantita in eterno.
Testi citati:
W. Böckenförde, La nascita dello Stato come processo di secolarizzazione, trad. it. in Id., Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato Moderno all’Europa unita, Laterza, Roma-Bari, 2010.
Habermas, Quel che il filosofo laico concede a Dio (più di Rawls), trad. it. in J,Habermas- J. Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, Marsilio, Venezia, 2005.
J.Habermas, Tra scienza e fede, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2006.
J.Rawls, Il diritto dei popoli, trad. it., Edizioni di Comunità, Milano, 2001.
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, in Enchiridion delle encicliche, 8, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1998.
Kelsen, Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica, trad. it. in Id., La democrazia, Il Mulino, Bologna.
Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. it in Id., Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze, 1993, 2 voll.
Berlin, Due concetti di libertà, trad. it. in Id., Libertà, Feltrinelli, Milano, 2005.
È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.