Novantanove anni dopo quel 1919 che segnò l’anno zero per l’Italia e mezza Europa, con la (possibile) nascita del primo governo totalmente al di fuori delle tre grandi famiglie politiche tradizionali, di nuovo, il nostro Paese si presta a divenire una mina vagante all’interno di un quadro che sembrava pochi anni fa immutabile.
Per la prima volta nell’Europa dei fondatori, nell’occidente dell’alleanza atlantica, a guidare un governo saranno presumibilmente proprio quegli schieramenti che hanno reclamato, prima e durante la campagna elettorale, una posizione apertamente critica verso l’euro e i pilastri dell’europeismo e dell’atlantismo: una novità che nel vecchio continente è destinata a creare un precedente per ora unico ma che è già storico.
In verità l’Italia, da questo punto di vista, ha rappresentato da sempre un laboratorio peculiare di novità e contraddizioni. Il fascismo, nato proprio nel 1919, rappresentò senza dubbio la novità più importante dal punto di vista politico del primo dopoguerra e le cui conseguenze influenzarono per i circa trent’anni successivi la storia europea e del pensiero politico. Come pure, da precursore della tradizione delle destre nazionaliste, quello italiano fu il primo e l’unico sistema che non conobbe per oltre quarant’anni la democrazia dell’alternanza pur vantando – altro primato – il più grande e votato partito comunista dell’intero Occidente.
Tra i molti primati sperimentali ve n’è, come detto, uno nuovo e tutto da sperimentare. L’elettorato di uno dei Paesi per tradizione e cultura tra i più europeisti ha decretato il successo (che va ben oltre il 50% dei consensi) di due formazioni politiche apertamente critiche, a tratti ostili, verso i principi e le politiche economiche fondamentali dell’Europa comunitaria prima e di quella “unitaria” poi. Non solo.
A differenza degli altri partner europei, che pure hanno conosciuto nel corso di questi ultimi anni l’emergere di forze anti-sistema, in Italia si è assistito al crollo completo delle principali forze filo-europeiste: mentre in Francia, in maniera minore in Germania e con fattori differenti anche nel Regno Unito le recenti elezioni hanno sempre visto una formazione politica filo-sistema competere contro una anti-sistema, alla fine dimostratasi perdente o minoritaria. In Italia, viceversa, durante le scorse elezioni tale competizione non ha avuto luogo, costringendo gli analisti a post-analizzare i programmi dei due vincitori per comprendere non tanto quale partito fosse più europeista ma, piuttosto, quale fosse quello meno anti-europeista.
Le conseguenze di questo nuovo equilibrio sono subito evidenti. Sia il Movimento 5 stelle sia la Lega hanno a più riprese sostenuto in politica estera posizioni più vicine a quelle della Russia che a quelle della Nato. Di nuovo, per la prima volta, in Europa, se si esclude la Polonia e l’Ungheria, è sulla carta ora possibile mettere in atto molte di quelle politiche sovraniste definite dal Quirinale “seduzioni seducenti ma inattuabili” ma che inevitabilmente incideranno non poco sull’opinione pubblica e sulle politiche dei partners comunitari. Comunque andrà è evidente che a Bruxelles lo status quo ha ormai vita breve di fronte a quel vento della novità che, ancora una volta, soffia dal Belpaese.
I precedenti storici vagamente elencati dimostrano come, nell’immutabile Italia gattopardesca, quelle poche novità politiche emerse nella sua storia hanno alla fine influenzato e non poco la storia dell’Europa e del mondo occidentale. E questa pagina che ci si appresta a scrivere si candida ragionevolmente e probabilmente a mutare quell’ancien régime comunitario che, oggi più che mai, appare agonizzante e incapace di rinnovarsi dall’interno.