Articolo pubblicato sul sito web de Il Ponte, rivista di politica, economia e cultura fondata da Piero Calamandrei
Il nostro lettore, che è lettore attento, si sarà accorto che da alcuni mesi sulla rivista non compaiono più articoli di Massimo Jasonni, un autore che da molti anni ha dato alla rivista contributi di grande intelligenza, sempre attento alla realtà sociale, ma anche fine conoscitore del mondo antico greco e romano. Massimo Jasonni nell’ottobre dello scorso anno è stato colpito da un ictus cerebrale e da allora ha subito le conseguenze che questo evento comporta e dopo nove mesi di difficile sopravvivenza ci ha lasciato.
Di lui, quando ancora non era all’orizzonte un esito così tragico, ha scritto Michele Feo[1] – illustre professore di Letteratura e Filologia medievale e umanistica –, uno di noi che da circa trent’anni collabora con la rivista analizzando con la solita ironia alcune caratteristiche del «Ponte». Ne riproponiamo il testo:
«In una rivista come “Il Ponte”, aristocraticamente arroccata nei templi dell’alta contemplazione dei fulgidi destini e dei naufragi politici dei singoli e delle masse con e senza nome, in una così rarefatta e talvolta sprezzante atmosfera intellettuale, manca da anni la voce delle cose, dei fiori, dei passatempi, della moda, dei bambini e di tutto quanto di inessenziale rende più leggero il peso della vita, di quanto piace a grandi e piccini e pure nel segreto dell’urna può muovere scelte gravi. Manca a tavola una vecchia ospite, povera e dimessa e pure grande nei suoi stracci: è una voce che non si stanca di clamare alle porte chiuse degli affari e delle logiche, e continua a voler dire, in forme sempre più criptiche, verità strane anomali sghembe. È la signora Poesia. Ma le fa onore un suo cavaliere solitario, scrittore, filosofo, giurista, il professore modenese Massimo Jasonni. Eccolo tornare, dopo Kéramos del 2016[2], con Agonismo costituzionale, agonia della politica e altri saggi[3]. Gli scritti di Kéramos erano tutti apparsi sul “Ponte” dal 2007 al 2016, e stavano come dentro un vaso. Riteneva Jasonni, forse con felice intuizione, che Kéramos fosse una figura mitologica: figlio di Dioniso e Arianna, aveva a che fare con l’arte della ceramica. E il vaso, oggetto utile alla raccolta delle acque piovane (non potabili!) e alla conservazione del vino, contenitore di fiori e protagonista di ritualità sacre, propiziava il favore delle divinità “ancorando ciò che è destinato a perire all’idea dell’eterno ritorno inscritto nel ciclo delle stagioni e nei ritorni della natura”[4]. Si potrebbe aggiungere che il vaso è transitato tranquillamente dalla mitologia pagana a quella cristiana ed è diventato vas d’elezione, grembo d’Abramo dove i beati si godono l’eterna pace, e vaso librario dove i nostri grandi attendono in silenzio che noi li interroghiamo. Jasonni ha qui chiamato a raccolta un turbinio di uomini (eroi?): Capitini, Walter Binni, Gadda, il divino Saba, Leopardi, Montale, Calamandrei, La Penna, Eraclito, Esiodo, Parmenide, Orazio, Ovidio, e sempre il suo Heidegger. Non è questo un libro filosofico, ma la filosofia è l’anima nascosta che tiene insieme storia, filologia, diritto, religione, impegno civile, nemesi e pietas. Percorre tutte le pagine come l’acqua che a Friburgo in Brisgovia sgorga dal cuore del cavaliere nel centro della città e attraversa strade piazze e vicoli per tornare al cuore da cui è partita.
Scuola, Costituzione, Europa, letteratura, laicità: è la varietà della vita dell’intera società che passa al filtro lirico di Jasonni. Il quale non procede per principi e sillogismi, ma intreccia ragionamenti stringenti ad aforismi secchi senza appello. Egli ama la mossa di cavallo e il micidiale sinistro. La sua verità non è unica, sistematica e assoluta. A tratti sembra essere la verità, anzi le verità dei poeti, tutte diverse e tutte vere, come è la verità policroma della natura. Se c’è in questa ricerca una fede unificatrice – azzardiamo – è quella della superiorità dell’essere rispetto all’avere.
Ora Jasonni ritorna come quell’ombra che per poco s’era allontanata. Ritorna armato contro il degrado della politica italiana; contro il nichilismo e la “nientificazione etica”; contro la perdita di Memoria e anche – ahi dolore! – contro l’alma mater che ha nutrito educazione e scienza degli italiani, l’università; contro lo sviluppo tecnocratico avulso da umanesimo; contro la deriva relativistica. Jasonni è optime radicato nelle più tenaci fresche e zampillanti sorgenti del pensiero classico. Il mondo “classico”, greco-romano, con le civiltà a esso adiacenti e con la sua fulgida eredità medievale e umanistica, costituisce un tesoro immenso, cui si ricorre sempre utilmente durante le ritornanti crisi di identità di quello che chiamiamo Occidente. Jasonni, all’interno di un gruppo dagli occhi lincei puntati sul presente, è la felice anomalia che ogni volta attraggono la grinzosità della pelle, i gesti sacrali codificati, le radici, la vita oltre la vita delle parole e delle idee, il raggio pallido di Artemide che ogni notte visita ancora, nel silenzio dei boschi, il suo bellissimo vaso che dorme. Come un antico sapiente, egli occupa una torre, dove “pensiero ed essere” sono “vasi comunicanti”.
Anche questi sono articoli già usciti sul “Ponte”: tranne l’ultimo, quello appunto che omaggia la Poesia, facendole dire, contro ogni buona poetologia, messaggi politico-filosofici. Del resto le parti si possono invertire e, verbi gratia, in questi giorni la pensatrice ungherese Ágnes Heller muore lasciando un suo ultimo messaggio ai naviganti, che potrebbe essere un’auctoritas e dice: l’essenza dell’uomo moderno è la libertà, ma egli è in catene[5]. Il che potrebbe corrispondere al pensiero giovanneo tanto caro all’ateo Leopardi: “E gli uomini preferirono le tenebre alla luce” (epigrafe della Ginestra); e forse anche al dubbio di Sebastiano Timpanaro che l’homo sapiens sia capace di comunismo[6].
I poeti sono spesso insopportabili nella loro presunzione di essere giganti incompresi, ma, come scriveva ora uno di loro avvicinandosi al traguardo dell’esistenza, “la poesia […] è la difesa dell’individuo contro tutte le generalizzazioni che cercano di rinchiudere la realtà in un unico universo concettuale. Il suo credo principale è che possiamo raggiungere la verità attraverso l’immaginazione”[7]. Da ciò mi si consenta un salto alla chiusa del libro di Jasonni, che si congeda con tre poesie, dove i gabbiani lasciano il mare e volano disorientati su San Marco di Venezia, dove la bellezza sublime traluce nella notte e fluttuano le onde del tempo.
Ma l’amico Jasonni mi permetterà un dissenso terapeutico: io non credo che il principio ordinatore della società moderna sia il lavoro, ma ritengo irrealisticamente che dovrebbe essere la dignità dell’uomo[8]».
L’ultima fatica di Jasonni, Il garbuglio di Gadda e altri fogli di via (2020), ha una dedica: «a Marcello e agli amici di via Luciano Manara», come dire «a Il Ponte». Questa dedica ci ha commosso e ha confermato la grande amicizia che ci ha legato per tanti anni. Oggi, rileggendola, ci coglie uno smarrimento, come se Massimo avesse avuto un presentimento del fato che incombeva e avesse voluto dedicarci questo suo ultimo lavoro quale summa della sua lunga collaborazione alla rivista. Queste sue opere – mai banali, mai scontate – ci spingono a guardare più indietro e più avanti. Più indietro, perché in esse si ripropongono i valori della classicità greca e latina, del Rinascimento e dell’Illuminismo, cioè i momenti in cui l’arte e la ragione sembravano far scoprire con tutta evidenza quale possa essere l’avventura dell’uomo su questa terra; più avanti, perché dai suoi scritti emana un anelito di speranza che racconta come si possa spendere bene la vita, per sé e per gli altri, fino a che il fato, che egli ha sempre sentito pensosamente vicino, non intervenga drammaticamente.
[1] M. Feo, Uomini in cerca dell’apocalisse, «Campi immaginabili», 2020, nn. 62-63.
[2] Kéramos, Firenze, Il Ponte Editore, 2016, pp. 330.
[3] Firenze, Il Ponte Editore, 2017, pp. 182.
[4] Kéramos cit., p. 7.
[5] «Corriere della sera», 18.08.2019, pp. 34-35.
[6] Il socialismo di Edmondo De Amicis. Lettura del «Primo maggio», Verona, Bertani, 1984, p. 149. Cfr. anche infra, p. 11.
[7] «La lettura», Suppl. del «Corriere della sera», 11.08.2019, p. 22.
[8] Cfr. La dignità dell’uomo e le radici cristiane dell’Europa, «Leonora», I, n. 1 (mar. 2014), pp. 1 e 10-12; e Appunti per la dignità dell’uomo, «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato», LXXXVI (2019), pp. 77-88.