È giusto?
No, non è giusto processare il ministro Salvini.
Perché?
➢ La correità.
Perché se fosse colpevole il ministro, sarebbe parimenti colpevole il presidente del Consiglio, in funzione dell’articolo 95 della Costituzione: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.”
Questo è un principio che in realtà vale anche in ambiti civilistici.
Non si può addurre, come giustificazione ad un reato, compiuto da un proprio collaboratore, il fatto di non essere stato a conoscenza dell’azione colpevole o dolosa di quello.
Vi è una responsabilità di sorveglianza affidata a chi coordina l’attività di un gruppo di persone.
Quindi, se nel caso “Open Arms” vi fosse una responsabilità penale, così come ha giudicato il tribunale di Palermo, questa ricadrebbe anche sul capo dell’esecutivo che in quel momento era Giuseppe Conte.
Il quale ampiamente informato dei fatti che stavano accadendo sarebbe correo del ministro.
A dimostrazione di questo vi è il programma di governo al paragrafo 13 che prevedeva un’azione decisa a contrastare l’immigrazione clandestina e la redistribuzione dei migranti a livello europeo.
In seconda battuta vi sarebbe un’azione poco convinta del presidente del consiglio nei confronti del proprio ministro.
Giuseppe Conte avrebbe potuto intervenire censurando e reprimendo l’azione, chiaramente in pieno contrasto con il programma governativo e con il modus operandi tenuto con il caso Gregoretti.
➢ Il sequestro di persona.
La procura di Palermo, a differenza di quella di Catania per lo stesso comportamento tenuto da il governo ed il suo ministro, chiede il luogo a procedere in funzione dell’articolo 605 del CP sul sequestro di persona.
Ma si può parlare nel caso in questione di un sequestro di persona?
A mio parere assolutamente no, in quanto l’articolo in questione, recita nel suo incipit, che descrive il reato: “Chiunque priva taluno della libertà personale….”
Nessuno aveva infatti privato i clandestini a bordo della nave Open Arms della loro libertà personale, semmai si stava procedendo ad un fermo dello sbarco, in funzione del raggiungimento di un accordo con gli altri paesi membri dell’UE, al fine della ricollocazione degli stessi.
Il ministro Salvini stava in effetti operando nell’ambito del punto 13, del contratto di Governo Conte 1, che titola: IMMIGRAZIONE: RIMPATRI E STOP AL BUSINESS.
All’interno della voce si fa chiaramente riferimento a: “Il rispetto del principio di equa ripartizione delle responsabilità sancito dal Trattato sul funzionamento dell’UE deve essere garantito attraverso il ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’UE, in base a parametri oggettivi e quantificabili e con il reindirizzo delle domande di asilo verso altri Paesi.”
➢ Un processo politico.
Da quello che ho evidenziato è chiaro che il processo messo in opera dalla procura di Palermo è un processo di natura politica, voluto fortemente da un “sistema Palamara”, volto all’eliminazione dei nemici politici scomodi.
Una vendetta portata con il voto in aula da nemici ed ex alleati.
Ma ciò rappresenta il vulnus di una crisi del nostro sistema costituzionale.
L’intervento della magistratura a sanzionare l’azione dell’esecutivo, non quindi un atto illegale di un componente del governo a fini privatistici (ad esempio una tangente intascata nell’ambito del proprio esercizio governativo), è un colpo al principio democratico liberale della separazione dei poteri.
Una magistratura che si arroga il diritto di indagare sull’azione politica del governo o di uno dei suoi membri è un attentato alla democrazia.
Nel programma del governo Conte 1 vi era al capitolo 12. GIUSTIZIA RAPIDA ED EFFICIENTE, il passo iniziale fondamentale forse per capire tutta questa vicenda.
Ecco il testo:
“Area Magistratura e tribunali
Il Consiglio Superiore della Magistratura deve operare in maniera quanto più indipendente da influenze politiche di potere interne o esterne.
Sarà pertanto opportuno operare una revisione del sistema di elezione, sia per quanto attiene i componenti laici che quelli togati, tale da rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie in seno all’organo
di autogoverno della magistratura.
A tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità del potere autonomo della magistratura, la funzione giudiziaria e quella parlamentare debbono
rimanere separate tra loro. Il magistrato che vorrà intraprendere una
carriera politica deve essere consapevole del fatto che, una volta eletto, non potrà tornare a vestire la toga.”
Non vorrei che il “sistema Palamara”, di cui è permeata ancora adesso la magistratura, si sia sentito fortemente minacciato da questa voce del programma ed abbia messo in cantiere un’azione dimostrativa, atta a fronteggiare l’allora governo giallo-verde e che con i tempi lunghi della giustizia ora percuote l’attuale esecutivo, come un colpo di maglio alla sua permanenza.
Forse non è così ed il mio è solo un cattivo pensiero, ma come diceva Andreotti: “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina.”
Nato a Genova il 3-1-1961, dopo la laurea in Economia Aziendale presso la Facoltà di Economia e Commercio di Genova e il Master in gestione aziendale a tempo pieno presso Enfapi Sogea (scuola manageriale Confindustria) ha conseguito la seconda laurea in Filosofia. Dal 1997 quadro in Fca group ora Stellantis, con mansioni sia in campo marketing ma soprattutto nell’area commerciale. Attualmente zone manager per Liguria e Piemonte della rete assistenziale FCA. Da un anno Iscritto nelle fila del PLI con l’incarico di responsabile della comunicazione nazionale del partito. Scrive regolarmente su L’Opinione e sul giornale di partito Rivoluzione Liberale.