Nella valanga di dichiarazioni che si è abbattuta su di noi dopo il voto tedesco, la più interessante, a leggerla con attenzione, è quella di uno dei leader della AFD, Alexander Gauland, dopo un’affermazione elettorale largamente prevista, almeno da coloro che guardano in faccia la realtà della nuova Europa, senza coloriture ideologiche o sentimentali.
Gauland ha spiegato il buon risultato del suo partito col fatto che gli altri “non percepiscono più i sentimenti dell’uomo della strada”. E ha subito protestato contro l’accusa di nazismo rivolta al suo movimento, perché “quando si parla di nazismo si parla di campi di concentramento, di uccisioni degli ebrei, della Gestapo”.
Credo che abbia ragione, anche se per un liberale le proposte della AFD restano inaccettabili. Ma dobbiamo stare attenti a non ripetere la solita litania del nazismo alle porte in Germania e del fascismo in Italia.
Il populismo, da quello americano di Trump a quello dei fautori della Brexit per arrivare alla Lega di Salvini ed altri simili movimenti europei, non è fascismo per la semplice ragione che si tratta di fenomeni sociali e culturali che appartengono a società ben diverse da quelle degli anni Venti e Trenta del secolo scorso.
Piuttosto che gridare al lupo fascista, liberali di varia tendenza e socialdemocratici farebbero bene a riflettere sull’impressionante scollamento della loro cultura politica da una realtà che non è più comprensibile con le vecchie categorie partitiche.
Invece continuano a vivere e a pensare come se fossimo ancora ai tempi della contrapposizione fra una borghesia sicura di sé e una classe operaia compatta e pronta alla lotta.
Non si accorgono che quella borghesia si è sfarinata in una miriade di ceti spesso contrapposti e la classe operaia (per quel che ne rimane), assieme al sottoproletariato, vota per i partiti populisti che almeno si sono accorti della sua crescente emarginazione.
E non si avvedono neppure che la globalizzazione e il cosmopolitismo hanno prodotto in tante persone che si sentono escluse dalle magnifiche sorti e progressive un disperato bisogno d’identità nazionale o magari regionale.
Un tipico esponente della confusa cultura liberal italiana, Walter Veltroni, che pure rifiuta il velleitario estremismo della sinistra alternativa, ci invita anche lui, in alcune dichiarazioni al Corriere, ad alzare la guardia contro il pericolo neofascista.
Ma forse sarebbe il caso di alzarla nei confronti di chi continua a perdersi in un mondo di parole, dopo aver sostituito il marxismo con il bergoglismo e la retorica umanitaria.
In memoria del Prof. Paolo Bonetti
1939 – 2019 †