Morra, il moralismo della realtà e l’eleganza del coraggio

“Morragismo” è un termine che avrei voluto evitare di utilizzare, ma spero mi si perdoni perché, come si suol dire, a fin di bene.

Da meridionale la frase del senatore Morra circa la dinamica del voto in Calabria di gennaio scorso (che ha registrato l’elezione di Jole Santelli a presidente) mi ha interrogato moltissimo sui motivi e sulla portata di quanto accaduto.

Cerco di rendere l’analisi quanto più chiara, conscio della difficoltà, nel massimo rispetto della terra calabrese, delle istituzioni e delle persone che rappresentano quest’ultime.

Soffermarsi un attimo sul fatto accaduto con approccio di critica costruttiva, pertanto, è funzionale quantomeno a non smarcarsi dall’utilizzo di termini responsabili.

Le dichiarazioni del sen. Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, danno l’opportunità di farci riflettere, appunto, su temi molto delicati: la differenza tra realtà e verità, tra moralismo e coraggio, tra parità sociale (che non significa equità, specie nel campo sanitario) e formazione politica unita all’esercizio della buona dialettica istituzionale.

Nessuno può disconoscere che il sen. Morra sia calabrese e, allo stesso modo, non lo si può disconoscere del compianto presidente Jole Santelli.

Questa frase è talmente semplice nella sua portata di realismo che non meriterebbe ulteriore approfondimento. Ma essa è anche vera? Partiamo dalla radice della questione: la terra. La Calabria è una regione violentata, molestata, calpestata e svuotata di generazioni (migrate come del resto accaduto in buona parte del Meridione d’Italia) non per la totale assenza dello Stato, ma per il disgregato coraggio impiegato nel tempo da parte delle istituzioni. D’altronde, qualcuno direbbe, c’è “Istituzione” ed “istituzione”.

Al moralismo non si risponde certo con altro moralismo ed in questa breve analisi si vuole esaltare, semplicemente, il valore del coraggio nell’affrontare le sfide del quotidiano, del futuro ed i problemi in quanto tali.

La frase di Morra è stata coraggiosa al pari della candidatura, consapevole, di Jole Santelli? Certamente l’affermazione del presidente Antimafia è funzionale a mettere tutti davanti alla realtà nuda e cruda: Jole Santelli non c’è più. Ma questo concetto è anche istituzionalmente vero?

Andiamo per gradi: la Calabria ha scelto, ad inizio 2020, Jole Santelli come rappresentante “pro tempore” degli interessi regionali.

Quindi Morra nell’esporsi afferma la realtà (che di per sé è giusta), ma nel dirla non la rende vera (cioè politicamente ed istituzionalmente parlando come spendibile sul piano valoriale): ciò non sta a significare, si badi bene, che dice il falso.

La chiave di lettura è tutta nel gioco del moralismo di fondo che ha animato, probabilmente, la presa di posizione del sen. Morra nei confronti dei concittadini calabresi davanti alla consapevole scelta Santelliana fatta quasi un anno fa. Moralismo che se da una parte non guasta, dall’altra rischia di essere un boomerang: ne va della forza etica di quanto si afferma.

Sin qui nulla di strano tenuto conto che Morra stesso, in occasione delle elezioni regionali del 2020, ebbe a criticare la candidatura del grillino Aiello, contrapposto a Jole Santelli, per avere parentela con soggetti, pur deceduti, attenzionati dall’Antimafia (come se la parentela con qualcuno del genere fosse sintomatica di una “malattia esistenziale”, cronica ed irreversibile, e cioè della serie se il tuo parente è così, anche tu sarai così).
Sul piano etico, di certo, il moralismo non fa male in quanto tale se finalizzato a svegliare le coscienze, ma diventa deleterio se non posto in una cornice dialettico-istituzionale coltivata ed innaffiata da eleganza politica.
Quest’ultima è un fatto di formazione, non di istruzione.

L’eleganza politica non si insegna bensì si coltiva: essa passa dal continuo e ricercato esercizio politico e dalla matematica interazione tra la dialettica con le istituzioni e con il popolo elettore.

Non è un concetto di filosofia (non sia mai mettere in discussione le competenze di un docente qual è Morra), ma è come si intende l’azione politica di mediazione dell’essere rispetto alle dinamiche sociali.
Ecco che il sapere un fatto è realtà, saperlo gestire in dialettica è, appunto, altra cosa.

A ben vedere, poi, la parola eleganza deriva specificamente (in termini etimologici) da e-ligere che, neanche a farlo appositamente, significa “eletto” e/o “scelto”.

Perciò quando qualcuno si propone all’elettorato per come è (pregi e difetti in buona sostanza) mette a disposizione la propria persona alla valutazione altrui.

E qui si innesta l’annosa questione tra il voto diretto (che espone tutto l’essere del candidato) ed il voto indiretto (che ne filtra molto dell’essenza).

Non si dimentichi che Jole Santelli è stata votata dai cittadini calabresi: perciò scelta poiché chiamata a rappresentare la nuova cornice politico-istituzionale della Regione.

Jole Santelli ha concluso la vita terrena per arresto cardiocircolatorio (così riportano le agenzie); vero che aveva un tumore, ma combatteva con tutta se stessa. La morte capita, quale eventualità consequenziale, a chi si ammala di cancro. Realtà, quest’ultima, certamente amara, ma per tale andrebbe considerata (al pari di tante altre patologie idonee ad essere letali).

Il punto di fondo è perché il sen. Morra dice quanto ha affermato ora e senza quella cornice del politicamente elegante (diverso dal politicamente corretto) e di cui si è detto in precedenza.

A ben vedere, la teoria retroscenista indurrebbe a pensare che Morra abbia detto quella frase per troppa rabbia, troppo orgoglio o forse per estremo realismo circa l’incapacità del proprio governo ad incidere con scelte specifiche sul cambio di rotta calabrese (e Morra più volte lo ha precisato, quest’ultimo passaggio, in più interventi e cioè che non siede nell’esecutivo).

C’è da domandarsi, allora, una cosa indifferibile. Perché mai lo abbia detto con quella venatura di rabbia e, mi si consenta, di moralismo istituzionale estremo?

Quest’ultimo, sin dalla nascita del M5S, invece di essere il motore del cambiamento dialettico ne sta diventando lo strumento di affossamento della credibilità pentastellata.

Oggi il sen. Morra sta provando sulla sua pelle la gogna mediatica che ne sta derivando; gogna alla quale nessuno di noi, se garantisti, dovrebbe partecipare proprio per rispetto della morte di Jole Santelli che credeva nelle Istituzioni anche e soprattutto (ne) in Nicola Morra quale presidente parlamentare Antimafia.

Jole Santelli lo faceva con coraggio tipico dell’eleganza politica (con i suoi pregi ed i suoi difetti) che sfidando la morte, a tu per tu, non altro fissava irta la bandiera della responsabilità dinanzi alla consapevolezza del suo mandato pro tempore e che la sua terra l’ha chiamata ad assumersi: così riaccendendo la fede nella speranza.
Ciò che è mancato, quindi, nella frase di Morra per elevarsi sul piano massimo della dialettica politica è stato proprio questo: l’aver eccesso in realismo che, in altri termini, manifesta un profondo nichilismo (cioè la nullità del valore che si attribuisce alla verità dell’Uomo essendo, quest’ultimo, fallibile e capace di avere fede nel futuro).
Tra realtà e verità, pertanto, c’è un abisso.

Reale la malattia di Jole Santelli, non vero il messaggio di Nicola Morra rispetto a ciò che voleva dire e che (con molta probabilità o meglio sicuramente) voleva far intendere ai calabresi.

Nella drammatica realtà di racconto del sen. Morra si cela un messaggio moralizzatore che rischia di diventare la bara della speranza.

Speranza che, soprattutto davanti alle difficoltà generate ed aggravate dal Covid, non può rimanere soffocata dal formalismo della realtà delle cose: cioè dal suo aspetto meramente materiale.

Ecco che l’eccessivo senso di realismo del sen. Morra potrebbe trasformarsi in un bel colpo di reni, riscatto, rinascita se solo si inclinasse verso la fede nei mezzi a disposizione (pur stando a casse vuote) e negli uomini prima di tutto coraggiosi piuttosto che solo competenti.

L’ennesima nomina di tecnici che nella loro missione non accettino di tener presente la verità (non la realtà) di ciò che offre la Calabria sarebbe un duro colpo non solo per la regione, ma per l’intero meridione ed anche per il paese tutto. Solo con la testimonianza del coraggio può esaltarsi il moralismo.

Tuttavia senza l’eleganza del fare, il saper dire rimane reale ma totalmente debole e controproducente.
Le parole di Morra possono contribuire alla salvezza della Calabria se trovano la forza di credere in un messaggio inverso: sposando il coraggio. Coraggio, quest’ultimo, che dinanzi alla sfrontatezza di una malattia, come accaduto a Jole Santelli, non deve farci perdere la speranza di cambiare le cose che non vanno. Anche in punto di morte.

Per questo il “morragismo” non deve trovare solidità nella radice della parola Emorragia (politica s’intende), ma deve fare tutto il necessario per affermare la propria dignità valoriale se vuole davvero rendere onore ad un territorio che nella Santelli aveva ultimamente riposto fiducia.

Chissà che il sen. Morra non possa essere un “commissario della testimonianza” di una nuova Calabria impegnandosi, però, a valorizzare il messaggio di coraggio Santelliano (a prescindere dai colori di partito); terra, quella calabrese, che ha dimostrato empiricamente che il territorio pur essendo consapevole della malattia del presidente, al tempo stesso, ne ha percepito la grande fede nella speranza di migliorare e segnare un presente nel profondo.

Questa si chiama testimonianza ed è l’unica arma terrena per convertire il moralismo in cambiamento vero, percepibile, in una dimensione in cui l’uno diventa complementare all’altro in via imprescindibile.

La terza Repubblica potrebbe morire già prima dei tempi canonici della democrazia, ma dobbiamo sforzarci tutti di andare oltre per ritrovare l’eleganza dialettica nella sua essenza più pura che non è la morale.
È la speranza.
Quella vera, non reale.
Calabria nostra, abbi fede.

 

Articolo pubblicato da Formiche.net

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