La scorsa settimana sono stata invitata ad un incontro organizzato da Vivaio, una delle associazioni civiche più attive e produttive di Milano, madrina, tra le altre, di iniziative di successo come Copernico, EX pop, Scooter Sharing, Seeds and Chips, Awsome Foundation Milano, Smart Cities Against Pollution ecc ecc., per prospettare un eventuale lancio dello stesso format su base nazionale, ma con connotazioni più politiche.
Conoscendo uno dei fondatori e le sue capacità di trasformare visioni in progetti concreti, ho subito accettato con piacere e curiosità.
Presentando il loro lavoro degli ultimi 7 anni, raccontano che lo stesso è consistito in gran parte nella raccolta di idee, nella scelta di quelle migliori e più coraggiose e nel perseguimento senza limitazione alcuna degli obiettivi prefissati, con la partecipazione attiva di tutti i cittadini associati con competenze diverse.
Il loro codice non scritto impone di offrire solo critiche costruttive, di non considerare obiezioni tipo “è impossibile” o “non ci sono risorse” e di offrire individualmente e volontariamente alla comunità ciò che si può offrire in cambio dell’offerta altrui e del miglioramento del territorio per tutti.
Mi metto in ascolto e raccolgo singoli interventi, elementi di progetto, critiche e perplessità:
-“mettiamo in rete le altre città”
-“ogni città ha necessità diverse, potenzialità diverse, percezioni diverse.
Quindi ogni -Vivaio- dovrà essere declinato diversamente”
-“stimoliamo il senso di educazione civica, di amore per il nostro territorio attraverso il nostro esempio”
-“ogni territorio deve essere libero e spinto a realizzare le sue peculiarità”
-“parliamo e ascoltiamo tutti, indipendentemente dalle convinzioni politiche”
Ma anche:
-“il fine ultimo è promuovere dal basso una nuova Costituente”
-“spesso le istituzioni sono solo un ostacolo al miglioramento”
-“noi Vivaisti facciamo civismo, non politica”
-“la politica non mi piace”
-“mettiamo in rete le città, la politica se viene, viene dopo”
Sto zitta.
I pensieri mi si accavallano in testa, si aggrovigliano e si fondono in magma generatore che attinge dalla storia, dalla scienza politica e dall’attualità.
Mi trovo bene, benissimo: essendo Liberale e federalista il richiamo all’ascolto di tutte le idee, alla responsabilità individuale e la spinta a difendere e potenziare le differenze dei territori è musica per le mie orecchie.
L’impegno dei singoli che si sostituisce alle carenze istituzionali o addirittura forza gli impedimenti creati da burocrazie bulimiche disattivandole e incentivando nel contempo un forte senso di appartenenza e di
cittadinanza critica e impegnata, rappresenta la realizzazione concreta quei valori liberali che molti chiamano strumentalmente utopie.
Queste meravigliose persone stanno facendo politica, magari inconsapevolmente, la migliore politica, quella che nasce come effetto della generosità e dell’impegno.
Forse alcuni di loro non sanno che le loro idee e i loro valori sono stati già espressi da un grande politico Milanese nella metà del XIX secolo: Carlo Cattaneo, eroe delle 5 Giornate, repubblicano e federalista che già durante il Risorgimento contestava la soverchiante retorica nazionalista e le soluzioni centraliste applicate all’unificazione italiana, perché avrebbero soffocato la libertà e le potenzialità creative dei territori così diversi geograficamente, storicamente e culturalmente
“Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo,
perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v’è inoltre in ogni popolo la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell’avita sua terra. Di là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli, il quale deve avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto
dell’umanità» (Scritti politici, I, p. 403−404)”
E’ per me fuori discussione che la politica Italiana abbia urgente necessità, di Vivaisti, intesi come cittadini consapevoli che vogliano confrontarsi anche con le competizioni elettorali, con i limiti imposti dalla democrazia e con le forme delle istituzioni vigenti. Civismo e politica attiva non utilizzano gli stessi strumenti d’azione, ma potrebbero essere simbiotici e strategicamente vincenti se uniti in una missione condivisa, verso un obiettivo concreto anche se apparentemente lontano.
Politicamente stiamo vivendo un’era di mezzo, una transizione tra vecchi modelli e
nuovi, i vecchi partiti non hanno, e secondo me non avranno più, appeal verso gli elettori: ostinandosi a leggere i risultati elettorali come protesta, ottusità, razzismo o egoismo non si candidano di certo né a essere votati né a rappresentarne le istanze. Del resto il voto “populista” è trasversale e niente è più fallace di una lettura economica o culturale.
No, non sono solo i ceti in difficoltà a supportare le nuove formazioni, è una vera questione di rappresentanza e di sfiducia nelle istituzioni.
Come sottolineano alcuni studiosi di politica internazionale, gli argomenti a cui gli elettori sono interessati sono: identità, sicurezza, appartenenza e comunità; argomenti ai quali non si risponde con una misura di spread, un grafico o qualche insulto.
Potremmo invece rispondere declinandoli in maniera diversa rispetto alla narrazione nazionalista, una soluzione bottom up, in cui le amministrazioni locali siano autonome e possano gestire la loro minima burocrazia e finanza in uno stato federale,
più vicino alla popolazione e alla sua sensibilità.
Potrebbe venire dal territorio questa nuova e potente reinterpretazione della sovranità che rappacificherebbe la democrazia con i suoi elettori, come descriveva molto bene Ilya Somin in “Democrazia e Ignoranza politica”? Forse sì.
È questa la sfida che i Vivaisti hanno davanti, enorme, visionaria e coraggiosa, proprio per questo adatta a loro.
Una delle prime domande che sono state poste durante la serata è stata: “cosa ti viene in mente se pronuncio la parola Vivaio?”
Beh… a questo punto a me risulta facile: Viva IO
Viva quell’ individuo singolo, libero e responsabile che esercita la sua attività critica e si impegna perché ha compreso che il suo benessere dipende anche dal benessere di chi lo circonda, finalmente capace di non subire, ma anzi cambiare ciò che non funziona a partire dalle istituzioni.
Quell’IO che sta facendo grande Milano ed è ora pronto a condividere con altre città un’esperienza positiva per restituire parte della sua fortuna.
Lunga vita e buona sorte ai Vivaisti dunque, andate e moltiplicatevi. Milano chiama, come risponderà Italia?
Riferimenti:
-Ilya Somin Democrazia e ignoranza politica IBL Libri
-Guglielmo Piombini Federalismo e liberismo a 150 anni dalla scomparsa di Carlo Cattaneo Miglioverde
-Matthew Goodwin Europe’s populists are here to stay – WSJ 14 giugno 2019
Imprenditrice, referente regione Lombardia per la Fondazione Luigi Einaudi