Nel 1948 gli Alleati nominarono in Germania un Consiglio Economico e affidarono all’economista Ludwig Erhardt l’incarico di presiederlo. Già nel 1943, prevedendo la sconfitta della Germania, Erhardt aveva sostenuto che, dopo la guerra, sarebbe stato necessario orientarsi verso un’economia di mercato che, entro un sistema di regole, garantisse una
genuina concorrenza. Il suo collaboratore, Alfred Müller-Arnack, coniò, in proposito, la formula “Economia sociale di mercato”, che Erhardt fece propria nel corso della sua esperienza ministeriale, dal 1949 al 1963, durante il cancellierato di Konrad Adenauer. Divenne poi egli stesso cancelliere nel 1963.
Il centro di elaborazione di questa teoria fu la Scuola di Friburgo, fondata da Walter Eucken, Alfred Müller-Armack, Franz Böhm. Si trattava di un neoliberalismo che si proponeva di conciliare il capitalismo con politiche di intervento statale. Lo Stato diveniva garante di un complesso di regole poste a tutela della concorrenza, nella consapevolezza che i monopoli e i privilegi concessi ai produttori, creando alterazioni nel mercato, avrebbero danneggiato i cittadini. Erhard riteneva in realtà, come ha scritto Ralf Dahrendorf, che l’indirizzo da lui scelto avesse poco a che fare con il termine ”sociale”, più consono sicuramente alla formazione cattolica di Adenauer e al solidarismo delle organizzazioni sindacali. Era infatti convinto che “il mercato avrebbe risolto da sé tutti i problemi sociali purché gli fosse consentito di generare crescita sufficiente”.
In questa direzione si colloca il pensiero di Wilhelm Röpke, che dopo una breve parentesi socialista, si avvicinò gradualmente al liberalismo. Lasciata la Germania nel 1933, insegnò per qualche anno presso l’Università di Istambul, per stabilirsi poi a Ginevra, dove entrò in contatto con Luigi Einaudi. Con un atteggiamento critico verso i limiti del capitalismo, teorizzò quella “Terza via”, tra capitalismo e collettivismo, che definì poi “Umanesimo economico”.
Croce scrisse in proposito che lui stesso aveva indicato una “Terza via”, concepita come l’ascesa a un principio superiore, che non poteva essere “un viottolo che si trovi sullo stesso piano dei due”. La dimensione morale del liberalismo avrebbe dovuto infatti prevalere, a suo avviso, sulle ragioni economiche, dominanti, in maniera diversa, nel liberismo come nel collettivismo. Einaudi, nel 1942, recensì La crisi sociale del nostro tempo di Röpke, sottolineando che lo Stato non deve alterare la dinamica del mercato, ma limitarsi a “interventi conformi” alla sua logica.
Bisogna infatti erigere, scriveva Röpke, “un argine solido contro quegl’interventi statali dai quali dobbiamo in ogni caso guardarci se non vogliamo slittare nel collettivismo”. Einaudi apprezza, in Röpke, l’ attenzione verso i consumatori, la cui influenza rispetto alle modalità e alla qualità della produzione deve sempre essere tutelata, al fine di sottrarre la spontaneità del mercato al
controllo statale.
I grandi nemici della vitalità economica sono rappresentati, per Röpke, tanto dai monopoli, pubblici o privati, quanto dal collettivismo. La “Terza via” rinnega dunque l’Aut-Aut in cui si fronteggiano liberismo e pianificazione. Ci troviamo dinnanzi a una concezione dell’economia e della società in cui potevano riconoscersi Erhard e Adenauer in Germania come De Gasperi e Einaudi in Italia. Tutto ciò rendeva naturaliter sociale la “Terza via”, tanto da far divenire, come scrisse Einaudi, lo stesso aggettivo sociale un semplice riempitivo. Il “liberalismo delle regole”, combattendo la concentrazione monopolistica e il dirigismo, avrebbe infatti assicurato benessere diffuso e giustizia sociale.
L’idea di far leva sulla tensione morale del liberalismo, avvicinava in modo critico, senza annullare le differenze, la “Terza via” di Röpke al Socialismo liberale di Carlo Rosselli, al liberalsocialismo di Guido Calogero e Aldo Capitini, al cattolicesimo liberale di Luigi Sturzo. Liberali e socialisti, precisava però Einaudi in sintonia con Röpke, concordano nel ritenere che lo Stato debba intervenire nelle vicende economiche, ma, se “il liberale pone la cornice, traccia i limiti dell’operare economico; il socialista indica ed ordina le maniere dell’operare”.
Il prevalere di una tendenza alla deregolamentazione porta oggi, anche in ambienti qualificati, a identificare il neoliberismo con il potere incontrollato dei mercati finanziari sulla società. Quando si affronta la questione del neoliberismo è però necessario distinguere la Scuola di Friburgo (Walter Eucken e Wilhelm Röpke) dalla Scuola austriaca (Ludwig Mises e Friedrich Hayek) e dalla Scuola di Chicago (Milton Friedman e George Stigler).
Il termine “neoliberismo”, fu utilizzato in occasione del Convegno Walter Lippmann, svoltosi a Parigi nel 1938, con un significato diverso rispetto all’accezione oggi diffusa. Si pensava infatti, come si è visto, di elaborare un modello intermedio tra il liberismo classico e l’economia pianificata. Su questi temi si trovarono a convergere Walter Lippmann, Louis Rougier, Jacques Rueff, Alexander Rüstow, Wilhelm Röpke e altri, contrapponendosi agli austriaci Mises e Hayek, che difendevano le posizioni puramente liberiste, condivise da Milton Friedman e dalla scuola di Chicago.
Tutti i partecipanti al Convegno consideravano la concorrenza come il criterio guida per definire il sistema dei prezzi e si opponevano radicalmente al collettivismo. Le divergenze riguardavano
il rapporto fra Stato e mercato. Nel 1940 Walter Euken fondò la rivista Ordo, che divenne un luogo di elaborazione teorica per quanti, diversamente da Hayek, non consideravano il mercato un Kosmos spontaneo, la cui capacità di autoregolazione lo Stato avrebbe solo potuto alterare. Gli ordoliberisti ritenevano, piuttosto, che l’intervento dello Stato (tollerato dalla Scuola austriaca solo in termini arbitrali), fosse necessario, entro determinati limiti, per regolare la concorrenza. In un’ economia di mercato il piano non è calato dall’alto, scriveva infatti Einaudi in consonanza con gli orientamenti ordoliberali, ma “in parte si fa da sé, per l’azione di migliaia e milioni di imprenditori […] ed in parte, per quanto tocca il bilancio statale, si attua per decisioni dall’alto”.
Nel collettivismo i responsabili del piano divengono invece “i padroni della vita dei cittadini”. La “Terza via”, per Einaudi, non deve quindi pretendere di conciliare il diavolo con l’acquasanta, dal
momento che “la pianificazione o è collettivistica o non esiste”. Nel 1947 fu fondata la Mont Pelerin Society, il cui programma, orientato verso un mercato concorrenziale inserito in una cornice normativa, produsse contrasti fra la scuola austriaca e gli ordoliberali, considerati da Mises e Hayek troppo accondiscendenti nei confronti dell’economia dirigista. Nel corso degli anni ‘70 sarà poi la linea austriaca a prevalere. Quando Röpke muove le sue critiche allo Stato assistenziale, intende evidenziare che i sussidi pubblici inibiscono, nei lavoratori, l’aspirazione a divenire essi stessi piccoli e medi imprenditori. Non crede che, dopo la crisi del ‘29, si possa sostenere la tesi dell’autoregolazione del mercato e ritiene che lo Stato, oltre a limitare le concentrazioni monopolistiche, debba promuovere la giustizia sociale attraverso un’equa politica redistributiva che non disincentivi però lo spirito d’impresa. Si dimostrò molto sensibile verso la Dottrina sociale della Chiesa, sostenendo la funzione di coesione sociale della religione. Questa attenzione alla solidarietà, che lo avvicinava a Proudhon come a Chesterton, lo condusse verso posizioni critiche e talora conservatrici riguardo all’integrazione europea, che, privilegiando gli aspetti sovranazionali avrebbe, a suo avviso, penalizzato i vincoli che tenevano unite le comunità nazionali.
Per Röpke, il liberalismo “politico-culturale”, in cui si affermava l’equilibrio fra individuo e collettività, doveva prevalere sul liberismo economico, che considerava “una cosa secondaria”.
L’homo oeconomicus deve essere controbilanciato, scriveva, dal ”principio sociale umanitario”. Nonostante ciò richiamasse la posizione crociana riguardo alla superiorità etica del liberalismo
sul liberismo, nella celebre disputa con Einaudi, Röpke ammetteva la sua “profonda diversità di opinioni”, rispetto a Croce. Accogliendo in realtà le ragioni di Einaudi, Röpke considerava infatti
l’economia di mercato come l’unica formula “adeguata a un liberalismo politico-culturale” che avrebbe dato vita all’Umanesimo economico.
Testi citati
W. Röpke, Civitas Humana, trad. it., Rizzoli, Milano, 1947.
R. Dahrendorf, 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1999.
L. Einaudi, Di Ezio Vanoni e del suo piano, in Id. Prediche inutili, Einaudi, Torino, 1962.
L. Einaudi,, Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze fra liberalismo e socialismo,in Prediche
…
L. Einaudi, La Terza via sta nei piani?, in Id. Il Buongoverno, Laterza, Bari, 1955.
B. Croce, La “Terza via”, in Id., Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari, 1945, 2 voll., vol. II.
È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.