Lo statista ed il filosofo in dialogo: un confronto tra Luigi Einaudi e Benedetto Croce intorno al problema del liberismo

Luigi Einaudi e Benedetto Croce sono, rinomatamente, due dei più influenti intellettuali del secolo scorso per quanto concerne il panorama politico – e non solo, Italiano: il pensiero e l’attività politica del primo, e le dottrine filosofico-politiche del secondo, hanno accompagnato l’andamento dell’Italia in modo ponderato, ed intellettualmente effervescente. Non stupisce minimamente, pertanto, come tra i due intellettuali si fosse creata un’apertura al dialogo che, per quanto spesse volte li ponesse in posizioni discordanti, portasse a conclusioni incredibilmente prolifiche per quello che fosse l’orizzonte politico italico: audaci sostenitori del valore della libertà nel contesto socio-individuale, ambedue riflettono alacremente, pervenendo a conclusioni dal grande acume, intorno alla fondatezza della libertà in quanto tale. Più specificatamente, le analisi ruotavano intorno alle modalità con le quali avrebbe dovuto esplicitarsi la libertà e, ancora aprioristicamente, se vi fossero delle modalità – dato che già pensarle avrebbe poi limitato la stessa significazione e potenza del valore. Le due posizioni, dalle premesse accostabili, ma dagli sviluppi incredibilmente repellentesi, si sviluppano attraverso vari scritti sempre inerenti il modo dell’umano nella libertà: dov’è, dapprima, la libertà, dove debba scovarsi – ed infine come debba socialmente strutturarsi affinché, pur mantenendo la sua potenza semantica, non porti a regolamentazioni di fatto coercitive.

Se volessimo sintetizzare brevemente quella che sia la più grande differenza intercorrente tra il pensiero di Croce ed Einaudi in poche parole, bisognerebbe, in realtà, dapprima contestualizzare adeguatamente una particolarità lessicologica tutta Italiana: nel nostro linguaggio concettuale, abbiamo due termini che, della libertà in senso assoluto, identificano due aspetti particolari e dall’equivoca co-implicazione – “liberalismo” e “liberismo”. Convenzionalmente, i due termini vengono utilizzati quando, rispettivamente, si vuole o intendere la libertà come valore meramente coscienziale, individuale, morale, oppure come avente più a che vedere con un’economia che possa fondarsi su un mercato, un commercio completamente libero dalle regolamentazioni imposte al mercato dallo stato di appartenenza. Quanto risulta più interessante, è che la differenziazione lessicale presente nella lingua Italiana sia inaspettatamente assente in tutte le altre lingue: può sicuramente parlarsi di libertà di mercato in Francia ed Inghilterra, così come in qualsiasi altra parte del mondo linguistico, eppure, si faticherà a rinvenirsi un correlativo duale simile a quello prettamente Italiano. Di fatto un’anomalia, è ciononostante quanto sostanzia gli asti intellettuali intercorrenti tra le figure di Einaudi e Croce: laddove per quest’ultimo il binarismo lessicale tra liberalismo e liberismo permette di ben separare i contesti morali da quelli freddamente economici, per il primo, nella pur riconoscenza del valore della separazione, si tenta un avvicinamento essenziale delle due parti nella misura in cui non può prospettarsi alcuna forma di libertà economica senza una visione moralmente importante. Nonostante, infatti, i presupposti concettuali dello statista e del filosofo siano sostanzialmente adiacenti ed aderenti gli uni agli altri, la grande difficoltà nel loro avvicinamento completo si radica tutta intorno alla problematicità del dovere inerire o meno la moralità alla sfera dell’economia – e quindi il liberalismo al liberismo (o viceversa).

Affinché questa lontananza possa risultarci maggiormente chiara e contestuale soprattutto rispetto a quelle che fossero le infrastrutture culturali di Einaudi e Croce, è doveroso dire come l’apparente gerarchia tra economia e moralità individuale che viene a conseguirsi dalla dottrina di Croce è figlia di un’aderenza ed al contempo un rifiuto da parte di questi della matrice idealistica alla quale comunque va rifacendosi: l’hegelismo fortemente presente nella dottrina di Croce, induce lapalissianamente quest’ultimo a visionare la realtà attraverso le categorie tipiche dell’idealismo hegeliano. La considerazione per la quale il liberismo non sia necessario perché possa aversi un liberalismo completo deriva, pertanto, dal modo d’intendere tipicamente idealista, per il quale l’economia e la concretezza del commercio non avrebbero necessitato di avere, di per sé, una morale che dovesse auto-fondarli, in quanto avrebbero dovuto loro stessi rifarsi a precetti di per sé assolutamente sussistenti. Croce – ed in questo si struttura la più coriacea delle linee di demarcazione che avrebbero potuto separare l’idealismo hegeliano da quello crociano –, però, seppure riporti la storia ed il suo sviluppo ad uno spirito che ricerca sé, non ritiene che, diversamente da come hegelianamente era ritenuto essere astuto, si serva degli uomini e della loro apparente libertà per trovarsi e realizzarsi in-sé; egli, viceversa, ritiene che sia proprio dello spirito il fatto di essere libero – e quindi che sia congenito alla storia il fatto di svilupparsi attraverso una narrazione assolutamente libera. La storia, pertanto, nel senso crociano, non sarà il campo di posizionamento, estrinsecazione e ritorno in sé di uno spirito antagonista e burattinaio; sarà, invece, il luogo di costruzione dinamico, vivo, vitale, diveniente, rigoglioso della libertà assoluta. La spirito è storia della Libertà.

Stando così le cose, non ci appare difficile comprendere come, nella realizzazione dello spirito, e nel concepire la Libertà come una forma di religione dell’assoluto, Croce aborrisca quelle che siano le istanze economicistiche nel loro prospetto morale: queste, devono sottostare a dei più aulici princìpi morali dettati loro da figure più coincidenti con la speculazione dell’assoluto. Consequenzialmente, ad una forma politica di liberalismo non dovrà necessariamente corrispondere una economia di tipo liberista: può ipoteticamente corrispondere, al liberalismo, una regolamentazione economica paradossalmente protezionistica, fintantoché è la moralità individuale a corrispondere con la Libertà dell’assoluto.

Un economista come Einaudi mai avrebbe potuto condividere le posizioni di Croce nella misura in cui, dall’alto comunque anche del suo ruolo politico e di sovrintendente di una nazione, era necessario che, nell’ordinamento socio-politico, si creasse un’armonizzazione tra la sfera più puramente morale dell’individualità, e quella più economicamente interessante il liberismo: un’economia libera passa attraverso una moralità che si conferma nell’economia stessa e che, aulica nel suo concetto di sé stessa, si rifletta nella sfera dell’individualità inscriventesi nel campo del socialmente collettivo. L’economia, per Einaudi, non è solamente il campo della mercanzia, della compravendita, del guadagno e della perdita del profitto, della scommessa: l’uomo è, per Luigi Einaudi, esplicitante la sua umanità libera anche nella dimensione economica e, proprio per questo, un uomo buono – un uomo libero – è necessariamente un uomo economicamente posizionato. L’economia, rispetto all’umano, dunque, non si pone né a-priori – come il marxismo ha sommessamente tentato, facendo di quella la struttura portante questa o quella possibilità dell’umano – e né a-posteriori: l’umano è umano anche nell’economia e questa, al pari della poesia, della filosofia, della letteratura, parla il linguaggio dell’umanità. L’uomo libero è, nel pensiero economico-liberale di Einaudi, economico. In questo modo, come Sergio Romano scrive nella sua prefazione ad un testo pubblicato dal Corriere della Sera per conto di RCS Quotidiani S.p.A. (Milano, 2011), Liberismo e liberalismo, raccogliente alcuni scritti di Croce ed Einaudi, quest’ultimo «ha avuto il merito di ricordare che nella libertà economica vi sono princìpi e virtù morali: il coraggio d’intraprendere, la voglia di un meritato successo, l’assunzione di responsabilità pubbliche, il desiderio di battere il concorrente in un campo da gioco in cui una delle due squadre non debba giocare in salita o avere il sole negli occhi, la necessità di riconoscere il merito là dove si manifesta, indipendentemente dai collegamenti sociali, dalle protezioni politiche o dal colore della pelle» (p.9). Attraverso la riflessione di Einaudi, l’uomo, affrancato dall’economia e dalle leggi non necessariamente morali del mercato in Croce, e frammentato nelle sue possibilità per questo, riacquista una sua interezza armoniosa e si ricontestualizza nel mondo con una consapevolezza di sé che massimamente possa esprimere la libertà poiché adeguatamente concepita, e non fideisticamente, estaticamente contemplata nel suo assoluto, evanescente ed idealista prospetto.

 

Bibliografia essenziale di riferimento

Croce, La religione della libertà. Antologia degli scritti politici, a cura di G. Cotroneo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002
B. Croce, Filosofia, poesia, storia, a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 1996
B. Croce, La mia filosofia, a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 1993
L. Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia e politica, a cura di E. Rossi, Laterza, Bari, 2012
L. Einaudi, Scritti economici, storici e civili, a cura di R. Romano, Mondadori, Milano, 1983

 

 

 

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