“La riforma dell’art. 68 ha reso i deputati e i senatori succubi della connivenza tra Procure e macchina dei media: il noto circuito mediatico giudiziario. Da un lato, non vi è più alcuna cintura protettiva che garantisca l’esercizio della funzione più importante per la vita della cittadinanza e, dall’altro, continua a primeggiare l’idea di una fiducia cieca nella neutralità del magistrato. L’errore commesso è figlio della deriva culturale di cui si è più volte fatta menzione: per punire una classe dirigente rea di condotte inadeguate si è in realtà umiliato il ruolo stesso del rappresentante politico, i cui giudizi di valore sono spesso rimessi al giudice. I partiti, formazioni sociali centrali secondo l’architettura costituzionale, sono divenuti per l’opinione pubblica centri di potere autoreferenziali, dannosi per gli interessi dei cittadini. Mortati, Calamandrei, Einaudi e gli altri Padri della Repubblica vollero attribuire all’elettore la valutazione insindacabile dell’operato del politico. È, purtroppo, evidente la discrasia tra ciò che doveva essere e ciò che è stato.” (pp. 96-97)
Ne ho scritto spesso di come vissi con profonda insofferenza l’epoca di Mani Pulite. Avevo solo 13-14-15 anni ma non gradivo quello che stava accadendo nel Paese. Non mi piacevano i lanci di monetine, i cappi sventolati in Parlamento, il clima giacobino e forcaiolo, le manette, le incarcerazioni, i servizi scandalistici, le dirette fuori dai tribunali. Piansi per i suicidi. Piansi nel vedere mio nonno, piccolo albergatore, partigiano, sentirsi dare del ladro solo perché non gradiva quel clima (è un ricordo molto intimo che mi spezza il cuore). Certo che allora erano necessari dei cambiamenti, erano crollati il Muro e il blocco sovietico, ma non certo con quelle forme e coi suoi disgustosi risultati. Da allora sono passati quasi trent’anni ma l’insofferenza per quei giorni, quei ghigni non mi ha mai lasciato e fra i lasciti peggiori di quella stagione infame c’é per me, ma so che in tantissimi l’approvano pure oggi e anzi si augurano misure ancora peggiori, rivoluzionarie, al servizio del “popolo”, l’abolizione dell’autorizzazione a procedere per i membri del Parlamento, all’interno della riforma costituzionale dell’articolo 68 della Costituzione.
So bene di far parte di una ristretta minoranza che spesso viene sbeffeggiata e considerata elitaria, snob, amica dei ladri, dei mafiosi, di quelli che vivono nei Palazzi ma non smetto giorno di ritrovarmi nelle visioni politiche di Marco Pannella e in queste sue parole: “Il nostro compito, per non essere antipopolari, è di essere semmai impopolari in alcuni momenti. Viva la Costituzione repubblicana! Viva l’articolo 68! Viva il Parlamento che sarà difenderlo!”
In questi giorni ho letto e riletto in alcuni punti il bellissimo saggi di Giuseppe Benedetto, avvocato e presidente della Fondazione Luigi Einaudi, “L’eutanasia della democrazia. Il colpo di mani pulite” (Rubbettino, prefazione di Sabino Cassese) che ripercorre con grande chiarezza e senza mai annoiare tutte le tappe, i dibatti, gli scontri che portarono alla nascita dell’articolo 68 della Costituzione e alla sua successiva modifica, avvenuta nel 1993 sotto la spinta delle piazze forcaiole e grazie anche alla debolezza/complicità della classe politica, che ha comportato gravissime frattute all’interno dell’ordine democratico i cui effetti sono visibili fin da oggi, quando anche solo una notifica di reato, un’inchiesta giornalistica, una prima pagina diventano già una richiesta di dimissioni.
Il saggio di Giuseppe Benedetto è un’opera molto interessante e soprattutto utile nell’offrire spunti di riflessione e confronto perché amplia lo spettro di indagine al resto delle Costituzioni dei Paesi occidentali (personalmente sogno di avere un ordinamento di stampo anglosassone), al funzionamento delle guarentigie parlamentari ma anche sugli equilibri fra i poteri legislativi, esecutivo e giudiziario. Certo che non si potrà tornare al passato, come fa bene notare Sabino Cassese, ma il ritorno a forme di garanzie per i parlamentari e il ripristino di un equilibrio fra i poteri (come non pensare alla tanto osteggiata riforma della Giustizia con la separazione dei poteri… sto male se penso solo a quanto accadde al tentativo di riforma del ministro Biondi) è qualcosa di assolutamente necessario per uscire da una situazione, evidente ormai, di ricatto, stallo e veti continui da una parte della magistratura e di gran parte dell’informazione.
Un saggio questo che è un atto d’accusa sferzante a quanto accaduto in questi ultimi trent’anni, compreso lo scellerato taglio dei parlamentari, all’incapacità cronica italiana di attuare riforme costituzionali (e non) che siano strutturali, armoniche e con una visione del futuro e che non rispondano ai veti di corporazioni intoccabili, all’urla di movimenti politici che vivono di click o di ridicoli slogan come “uno vale uno” o della caciara di talk show televisivi e giornali che sono diventati ormai aule di tribunale e casse di risonanza dei peggiori istinti popolari.
“L’eutanasia della democrazia” è un atto d’amore fuori dagli schemi e non allineato alla vulgata attuale, che sarà probabilmente poco ascoltato e magari anche sbeffeggiato ma che faccio completamente mio, rivolto alla Costituzione, al Parlamento, al ruolo tanto vituperato dei Parlamentari e a quella parola, sventolata da una parte e dall’altra spesso solo per meri ritorni personali, chiamata Garantismo.