È assai di moda affibbiare la colpa a qualcuno o qualcosa che non gode del nostro favore, anziché svolgere un’analisi critica e matura di un nostro fallimento. L’economia di mercato rientra, non per caso, nel novero della deprecazione di una gran massa di persone che potremmo definire con L. von Mises “nevrotiche”. In un meraviglioso passaggio contenuto in una sua fondamentale opera – “Liberalismo” – l’austriaco asserisce che tale comportamento è proprio di un individuo frustrato e puerile che “non può sopportare che la vita gli si presenti col suo vero volto. […] E allora egli si rifugia in un’idea ossessiva. […] Nella vita del nevrotico l’autoinganno assolve una duplice funzione. Serve a consolare per gli insuccessi e a sperare nei successi futuri. Nel caso dell’insuccesso sociale […] la consolazione consiste nel convincersi che il mancato raggiungimento delle ambiziose mete perseguite non dev’essere attribuito alla propria inadeguatezza ma alle carenze dell’ordinamento sociale». Pare evidente che tale attitudine comportamentale derivi anche – ma, forse, soprattutto – da un certo tipo di educazione, indulgente, lassista e buonista che sfocia nella costruzione di uomini affetti dal vittimismo più stolido e ottuso, uomini incapaci di reagire alle asperità della vita.
In altre parole, la leva educativa è fondamentale affinché l’individuo, in età adulta, sia messo nelle condizioni di saper cadere e, successivamente, rialzarsi. Anchilosato, stordito o dolorante, sicuramente, ma la formazione ricevuta, severa e tendenzialmente illiberale – perché l’educazione di un bambino deve essere quasi di necessità guidata in modo autoritativo, nella speranza che i passati bambini, adesso adulti, abbiano appreso le medesime lezioni che ora sono chiamati a trasmettere alla prole – gli gioverà nel comprendere che per riuscire nella vita sono essenziali – anche se, come ci insegna Hayek, non saranno sufficienti in molti casi – impegno, dedizione, pertinacia, resilienza. Tale è l’idea di uomo misesiano, adulto, maturo, consapevole che “se il successo non si realizza” sarà chiamato a “moltiplica[re] i suoi sforzi” dal momento che “al destino avverso egli sa guardare in faccia senza cedimenti”. In questo modo difficilmente verranno cresciute monadi capricciose, fiacche e “autocentrate”. Al contempo, però, il soggetto che opererà nel mercato avrà dovuto introiettare alcuni principi morali che sostengono il buon funzionamento del processo stesso. Senso di responsabilità, rispetto per i patti conclusi e per il prossimo, ad esempio.
Perché di questo si sta parlando, ovvero dell’ossatura morale che soggiace a un’economia libera. Wilhelm Röpke, a questo proposito, ha scritto pagine di una bellezza assoluta e che necessitano di essere riscoperte oggi più che mai. Scrive il liberale cattolico tedesco, infatti, che essa – l’economia di mercato – “può prosperare soltanto in una società in cui siano vivi alcuni principi fondamentali” quali “l’iniziativa individuale, il senso di responsabilità, l’indipendenza ancorata alla proprietà, l’equilibrio e l’audacia, il calcolo e il risparmio, l’organizzazione individuale della vita, l’inserimento nella comunità, il sentimento della famiglia, della tradizione e della continuità storica e, in più, menti aperte alla realtà presente e all’avvenite”, ma soprattutto “dei solidi legami morali […] il coraggio di affrontare virilmente i rischi della vita, il senso dell’ordine naturale delle cose ed una solida gerarchia dei valori”. Il solipsista narcisista è un’entità disancorata da una moralità di questo tipo, è privo di una siffatta intelaiatura valoriale, è un gretto materialista, un utilitarista in senso stretto. Tuttavia, come ci ricorda Röpke, “l’uomo, secondo la parola del Vangelo, non vive di solo pane”, ma ha bisogno parimenti di coltivare un certo spirito morale che sostenga il mercato. “Autodisciplina, senso di giustizia, onestà, fairness, cavalleria, moderazione, spirito di colleganza, rispetto della dignità umana, salde norme morali, sono tutte qualità che gli uomini debbono già possedere quando vanno al mercato e competono nella concorrenza; sono i sostegni indispensabili per preservare sia il mercato, sia la concorrenza da ogni degenerazione”.
Pertanto, abbracciando la logica di mercato non si può che allevare e far proprio un determinato spirito valoriale comune che affonda le radici tanto nella fortezza d’animo, introiettata dopo anni di faticoso apprendimento, quanto nel senso di responsabilità e rispetto per il prossimo, riassumibile nell’espressione “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, essendo la dignità di ogni singolo uomo sacra e inviolabile. Ancora con Röpke, “l’economia di mercato esige dunque un grado medio soddisfacente di integrità personale e un integerrimo sistema giuridico capace di impedirle ogni slittamento verso condizioni morali deteriori”. Non mi sembra che in Italia queste condizioni minime siano soddisfatte. E i risultati si vedono, purtroppo.
PhD candidate, Luiss Guido Carli, Roma. Tra gli interessi di ricerca: populismo, rapporto liberalismo/democrazia, pensiero liberale classico