Sembra incredibile, ma siamo giunti a toccare gli zoccoli duri della storia e della umana condizione. In tanti hanno invocato la ribellione dell’uomo-massa affinché, destatosi dal suo naturale torpore mentale, prendesse il sopravvento e così alla fine l’uomo-massa li ha accontentati: vestito come un democristiano della domenica è arrivato con la sua mezza cultura con la quale tratta le cose delicate e sacre della nostra esistenza con la faciloneria della sua incompetente competenza.
Il governo del M5S – perché di questo si tratta, la Lega è una minoranza non solo numerica ma anche ideale – ancora non è nato ma ha già assunto una serie di posizioni anticostituzionali che mirano con protervia e saccenteria a svalutare la democrazia rappresentativa a vantaggio di una democrazia popolare che di fatto è una tirannia.
Le idee e le posizioni illiberali sono davvero tante per ritenere che si tratti solo di casualità: il contratto, il vincolo di mandato, il comitato di conciliazione, la consultazione con l’applicazione Rousseau, il governo del popolo, il premier-esecutore. Sono tutte pratiche anticostituzionali che svuotano le istituzioni e assoggettano il Parlamento ad una dittatura informatica le cui fila sono tenute dalla Casaleggio.
Come siamo arrivati fin qui? La via è lunga e tortuosa ma anche abbastanza nota. Le responsabilità sono diffuse e trasversali e tra queste vi sono anche quelle degli intellettuali e delle anime belle che hanno trasformato la Costituzione – “la più bella del mondo”, secondo una retorica bolsa e nauseante – in totem, tabù e dogma invece di nutrire una cultura costituzionale che è sempre la sana e necessaria premessa pre-politica posta a difesa delle libere scelte delle parti, degli interessi e dei singoli.
Gli intellettuali e i politici, che hanno nodi adolescenziali irrisolti, hanno il vizio antico di filosofare sul non-filosofabile e invece di rendersi conto che la democrazia rappresentativa è il frutto istituzionale della filosofia che ha salvaguardato le nostre scelte e le nostre fallibilità, giocano sempre a fare i rivoluzionari da salotto immaginando mondi migliori con un’etica compassionevole, piuttosto che officiare i doveri della vita operosa o meno che sia.
Alla fine accade che qualcuno raccatti davvero per strada la rivoluzione e siccome, come diceva Longanesi, la rivoluzione è un’idea che non ha trovato posto a tavola, ecco che l’uomo-massa ha la possibilità di elevare il suo stomaco a criterio di giudizio nientemeno che della mitologica giustizia sociale.
Io sono soltanto un sopravvissuto. Mentre altri giocavano a fare i rivoluzionari con la tastiera del computer, io per quel che potevo scrivevo che l’obiettivo del M5S era colpire al cuore la democrazia rappresentativa e gli stessi parlamentari superstiti – già nel 2013 – erano destinati a scomparire e si agitavano e si muovevano come quel personaggio dell’Ariosto che lottava e non sapeva di esser morto.
Ma ora siamo alla fine della farsa e sta per iniziare il dramma. Sì, perché di questo si tratta, anche se sotto le immancabili vesti dell’eterna commedia all’italiana in cui la rivoluzione prende posto a tavola con Garinei e Giovannini.
Quando guardo Luigi Di Maio non mi viene in mente niente, per parafrasare il celebre incipit di Karl Kraus. Tuttavia, le idee del cittadino Di Maio – nessuno ha più idee dell’uomo di mezza cultura – non vanno prese sottogamba perché è proprio lì che si consuma il dramma. Il “contratto di governo” non è solo una trovata propagandistica ma un modo per sterilizzare la libertà politica e la stessa azione di governo e legarle ad un’applicazione informatica che ha il compito di formare e diffondere il consenso.
La politica – nelle sue varie e graduali forme: lo Stato, le istituzioni, l’amministrazione – è un’attività umana e in quanto tale non è sopprimibile ma la cultura di massa del M5S, forte della sua componente internettiana e algoritmica del nostro tempo, mira proprio a questo: a rimpiazzarla con un’App. Non a caso il premier è concepito come un esecutore o un applicatore o uno sviluppatore che altro non dovrebbe fare che sviluppare processi di calcolo. In questo caso il governo sarebbe un non-governo perché la materia prima che giustifica la sua esistenza – la realtà dei fatti, sempre dura a morire – non rientrerebbe nei suoi “programmi”. Il capo del governo dovrebbe così avere una facoltà divina: la capacità di sospendere la realtà.
Naturalmente, la realtà non si può sospendere ma si può ignorare perché si può sospendere la facoltà di giudizio. Il vincolo di mandato, che giustamente Luigi Einaudi, chiamava mandato imperativo, mira esattamente a questo. Un Parlamento in cui i deputati sono sottoposti al vincolo di mandato non è un Parlamento perché i deputati non sarebbero più deputati ma ambasciatori o emissari o soldati di una forza o più forze politiche che in quanto tali non potrebbero neanche più essere considerate repubblicane o nazionali perché sarebbero straniere benché autoctone. Per poter essere nazionali, infatti, hanno bisogno di poggiare sulla comune libera patria ossia su quella libertà lottante e liberatrice che unicamente ci accomuna.
La rozzezza ruttante dell’uomo-massa, che per giunta offende il ragionier Ugo Fantozzi con la sua birra, sostiene che il vincolo di mandato evita il trasformismo, i tradimenti, la pratica del voltagabbana ma è evidente che si tratta del solito imbecille al quale non puoi indicare la luna perché guarderebbe il dito. Il trasformismo – che pure ha le sue ragioni che le ragioni del fanatismo illiberale non conosce – non si evita con la tirannide ma con la politica che per i mezzi uomini e i compassionevoli sarà sempre un affare sporco dal quale, però, dipende la loro stessa possibilità di essere mezzi uomini dai buonissimi sentimenti e dalle mani pulite.
I parlamentari del M5S il vincolo di mandato già lo hanno adottato e se lo sono auto-imposto e domani e domenica saranno nelle piazze per illustrare il Contratto e per avere il nostro consenso alla cancellazione del loro dissenso. Una cretinata tale è stata fatta passare per una geniale rivoluzione. Vanno perdonati cristianamente perché non sanno ciò che fanno? Non tutti.
Il M5S della Casaleggio si nutre di “utili idioti” e ne ha bisogno per fare l’ultimo passo che ha in “programma” nel suo esperimento di ingegneria sociale: il governo del popolo. Il concetto di “governo del popolo” è uno di quei concetti che si dice ma non si pensa perché il “governo del popolo” non esiste in nessun luogo della terra e del cielo se non nella mente cretina dell’uomo-massa che lavora alacremente per la sua sottomissione. Non c’è mai – mai – alcun governo che possa essere espressione o manifestazione della volontà popolare o elettorale.
Il “governo del popolo” è solo una tirannia, la peggiore. Attenzione.