Il mese di marzo si chiuderà con una tre giorni che in molti definiscono come di restaurazione. Si terrà a Verona infatti il tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie, dal 29 al 31. Attorno a un tavolo a discutere di aborto, di divorzio, di omosessualità, il gotha delle frange più estreme di cattolici e di ultra cattolici. E una destra che più a destra non si può.
Per dirla con le parole di chi raccoglieva adesioni, a novembre scorso “Tra i temi del Congresso ci sono la bellezza del matrimonio, i diritti dei bambini, la donna nella storia, la crescita e il calo demografico, la dignità e la salute delle donne, il divorzio: cause ed effetti. E poiché la maternità surrogata deve diventare un crimine universale il Presidente del Congresso Mondiale (WFC), Brian Brown, ha annunciato che anche questo tema verrà discusso in quella occasione con tutti i presenti”.
Tra i relatori a spiccare è il ministro Salvini che va da vicepresidente del consiglio. A seguire, Giorgia Meloni che interviene nella sua qualità di presidente nazionale di Fratelli d’Italia; nel loro ruolo istituzionale anche il ministro Fontana e il governatore della regione Veneto, Luca Zaia. Tra gli altri, Elisabetta Gardini (FI), ma anche Nicola Legrottaglie. E se qualcuno si chiedesse che cosa ci faccia il difensore che fu del Chievo a un simile tavolo, basta una semplice ricerca su internet e lo si scopre tra i fondatori di Missione Paradiso, descritta sullo stesso sito web dell’associazione come “strumento attraverso cui ciascuno può avere un vero incontro con il Creatore, ovvero Dio”.
La scelta del luogo, nemmeno quella, pare casuale. È ottobre, infatti, quando Verona viene dichiarata “città a favore della vita”. La mozione leghista approvata dal consiglio comunale a larghissima maggioranza (conta 21 voti a favore e 6 voti contro) schiera di fatto un’intera comunità dalla parte diametralmente opposta a quella della parità e dei diritti delle donne.
Ma se in autunno a fare da controcanto ci sono le solite femministe, oggi si muove persino il mondo accademico. In 160 tra docenti e ricercatori universitari in prossimità dell’evento hanno firmato e diramato un documento di denuncia delle “mistificazioni” del Congresso, definito per l’appunto “espressione di un gruppo organizzato di soggetti che propongono convinzioni etiche e religiose come fossero dati scientifici”.
La politica intorno dà spettacolo, uno spettacolo che peraltro è il solito. E così, mentre in retromarcia la presidenza del consiglio dei ministri revoca il patrocinio al Congresso, il ministro dell’interno fa sapere che ci sarà comunque. Di Maio, dal canto suo, rompe le righe dichiarando che “ognuno è libero di andare agli eventi che vuole”.
Ma, bisogna ammetterlo: diversamente dalle prese di posizione pubbliche di molti dei suoi esponenti a volte un po’ ondivaghe, l’orientamento di questo governo tuttavia resta chiaro.
Gli echi che provengono dalle stanze dei bottoni sono quelli di una maggioranza parlamentare che ospita al proprio interno raggruppamenti quali Famiglia e Vita. L’intergruppo, costituitosi con l’obiettivo di riportare indietro le battaglie per i diritti, è capeggiato da quel Massimo Gandolfini che è noto per essere il portavoce del Family Day e di Difendiamo i Nostri Figli e che risulta tra gli organizzatori del Congresso.
E se questo è ciò che accade dentro alle nostre istituzioni, da che è iniziata la diciottesima legislatura, non può stupirci che la produzione normativa sia di un certo tipo.
Perfettamente in linea si pone così il ddl Pillon, disegno di legge fermo in commissione giustizia al Senato, contestatissimo dai più, che prende il nome dal primo firmatario, il senatore leghista presente al meeting di fine mese quale vicepresidente della commissione infanzia e adolescenza. Il testo mira a riscrivere il diritto di famiglia nel nome di una bigenitorialità perfetta, sacrificando a dire di molti l’interesse del minore e quello delle donne (anche delle vittime di violenza) alle quali impone ad esempio la mediazione familiare obbligatoria, vietata dalla Convenzione di Istanbul.
Non meno impegnativo il ddl Gasparri di modifica dell’art. 1 del codice civile che si preannuncia in grado di cancellare con un solo colpo di spugna la 194, una volta e per tutte.
Ma se è perlopiù della vita delle donne che stiamo ragionando, bisogna chiedersi intorno a loro cosa c’è.
Intanto c’è la cronaca. E consegna numeri impietosi e inequivocabili, ogni giorno; racconta di quelle uccise o violate proprio all’interno delle mura domestiche. Quel nido che una certa destra e i pro-life difendono a spada tratta resta il luogo in cui maturano i delitti più efferati.
“Nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i sedici e i settant’anni (6.788.000), quasi una su tre (31,5 per cento), riferiscono di aver subito una qualche forma di violenza fisica (20,2 per cento) o sessuale (21 per cento); dalle forme meno gravi come lo strattonamento o la molestia, a quelle più gravi come il tentativo di strangolamento o lo stupro (5,4 per cento). Gli autori delle violenze più importanti (violenza fisica o sessuale) sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner (62,7 per cento)”.
Quello che salta agli occhi, anche a una primissima disamina dei dati, è perciò un’esigenza che è di tutela. Le donne pagano con la vita il prezzo altissimo che altri hanno dato alla loro autodeterminazione. Questo è quello che accade: gli attacchi alla libertà di scegliere, di abdicare al ruolo di madre piuttosto che di decidere della propria affettività, di cercare una realizzazione che passi dal lavoro, di abortire quando l’alternativa sarebbe lasciarsi morire, sono colpi inferti sul corpo delle donne con continuità e con precisione.
Ma davanti ai dati raccolti, anche nelle rilevazioni più recenti, le manovre di palazzo non sembrano tuttavia ancora incrociare una direzione univoca.
A chiedersi dove stiamo andando, la risposta non è certo ad arginare i massacri e a debellare le disparità.
Quello delle battaglie delle donne rimane oggi un fronte quanto mai aperto.