Come forse non tutti sanno, la Russia di oggi, dal punto di vista economico, è un paese assai fragile e con una fortissima discontinuità tra le grandi città e le zone rurali e ciò, nonostante, le immense ricchezze umane e di risorse naturali. Questo nonostante che la Russia abbia compiuto un enorme balzo in avanti, rispetto agli anni che seguirono il disfacimento dell’URSS.
Ma l’indubbio sviluppo di questi anni ha non solo luci ma anche ombre. Per convincersene diamo un’occhiata ai numeri e confrontiamoli con i nostri. Il Pil della Russia è (dati 2013-2014) pari a 1.876.488 mln di dollari USA, mentre il nostro Paese ha un Pil 2.086.911 mln di dollari USA (contro, tanto per fare un ulteriore confronto, la Germania che ha un Pil di 4.029.140 mln di dollari USA). Le distanze tra i due Paesi, peraltro, sono cresciute negli ultimi anni ed, in particolare, dopo la crisi della Crimea. Il divario lo si percepisce ancora di più se si di considera che la Russia è un paese enorme, grande 17.130.000 km², il più grande del mondo, mentre l’Italia è solo 301.340 km². Per non dire della popolazione; in Italia ci sono 59,55 milioni di persone (nel 2020,
dato Banca Mondiale), i russi 144,1 milioni (2020, dato Banca Mondiale). Ora atteso anche che la Russia di Putin spende circa il 70 per cento del bilancio del suo Paese per costruire nuovi missili, navi e aerei, pur tuttavia, la spesa militare (anche se enorme) non sta al passo con quella dei Paesi europei e, tantomeno, con quella degli USA. Dunque, anche sotto il punto di vista militare il gigante Russia non è poi così grande. Peraltro, i dati più recenti e post pandemia non danno il quadro di una economia in equilibrio. Infatti, seppure lo scorso anno l’economia russa abbia ampiamente recuperato il calo provocato dalla pandemia – considerato che nel 2020 il Pil era diminuito del 3,1% e nel 2021 il prodotto interno lordo della Russia, invece, sia cresciuto al ritmo del 4,7% e la produzione industriale sia aumentata del 5,3% – l’analisi dei dati, resi noti dall’agenzia di statistica Rosstat, mostra che i settori risultati in maggiore crescita nell’anno sono stati quello degli alberghi e ristoranti (+24%), cultura e sport (+8%) e commercio all’ingrosso e al dettaglio (+8%). Insomma una crescita del mercato interno sostenuto da una economia del consumo, che però è estremamente sensibile ai “venti di guerra” ed alle importazioni di beni voluttuari. Peraltro, la performance economica è stata contraddistinta anche da un forte rialzo dell’inflazione che ha sfiorato il 7% nell’anno, con impennate particolarmente sensibili per i prodotti alimentari di base. Nella sostanza anche nel 2021 è continuato il calo del potere di acquisto dei russi, un trend che a ben vedere dura dal 2014. E il divario è cresciuto se si guarda anche al reddito pro-capite: in Russia del 2021 è di 11.273 dollari a testa (ben 3.490 in meno che nel 2013, più o meno la metà di quello portoghese). Il reddito medio europeo è di circa 32mila euro, di poco superiore a quello italiano. Se si guarda, poi, al commercio internazionale nel periodo 2010-2019 la Russia ha esportato per 4,3 miliardi di dollari (l’Italia poco meno di 3,9). Tre quarti della cifra è rappresentata da gas e petrolio, il resto sono quasi tutte materie prime di altro genere. In altre parole la Russia necessita di tutto, e in primo luogo proprio di tecnologia, la stessa che sta usando (e che tanto pubblicizza) nell’attuale invasione dell’Ucraina. Infine, la scarsa vitalità dell’economia è confermata dalle registrazioni di brevetti validi sul territorio dell’Unione Europea; in dieci anni i giapponesi ne hanno registrati 1.812 per milione di abitanti, gli americani 535, i russi solo sei.
A ciò si aggiunga l’impatto delle sanzioni adottate che, tra le altre cose, sono arrivate a bloccare le risorse all’estero della Banca centrale russa, la cui capacità di sostenere il rublo potrebbe divenire presto problematica; solo nell’ultimo giorno del mese di febbraio il rublo ha perso il 30%, il che vuol dire un bagno di sangue per la pur ultra-capitalizzata Banca centrale russa. La finanza è del resto in prima linea. Le azioni delle società russe quotate all’estero hanno subito pesanti perdite (si calcola una perdita di circa il 90%).
La Banca centrale ha raccomandato agli istituti di credito di considerare il rinvio del pagamento di dividendi e bonus ai manager, annunciando una serie di misure di sostegno al settore e ciò con l’evidente scopo di far calmare le acque. Ma l’appello (se pur efficacemente patriottico) può rassicurare, in effetti, solo per qualche tempo. In effetti i più grandi gruppi di gestione globale ed europei come BlackRock, Schroders, Amundi e Fidelity International hanno annunciato che non acquisteranno più nuovi asset russi e per quanto riguarda quelli già in portafoglio lavoreranno, non appena le condizioni di mercato lo consentiranno, per garantire che i clienti possano disinvestire dagli investimenti russi senza gravi conseguenze.
La decisione riguarderà sia i prodotti attivi che quelli passivi, in seguito alla decisione dei principali index provider globali come MSCI, FTSE Russell, Stoxx e altri di rimuovere i titoli russi da tutti
gli indici. Da BlackRock affermano che i titoli russi oggi rappresentano meno dello 0,01% degli asset gestiti per i clienti, principalmente nei prodotti passivi, e di aver collaborato proattivamente con i propri fornitori di indici per l’esclusione dei titoli russi. Sempre sul fronte degli investimenti passivi, anche Amundi ha adeguato il prezzo di liquidazione degli asset russi nei suoi prodotti a replica in seguito alla rimozione dagli indici e considera di farlo anche sui fondi attivi emerging markets. Infine, secondo i dati Morningstar riportati il 4 febbraio da Ignites Europe i fondi indicizzati e gli Etf domiciliati in Europa che investono nei mercati emergenti globali hanno asset per un totale di 147 miliardi di euro. Questi fondi hanno partecipazioni russe per un totale stimato di 4 miliardi di euro, suggerendo una partecipazione media russa di circa il 3% al portafoglio di ciascun fondo.
Anche sotto l’aspetto delle materie prime è possibile uno scossone; in particolare sul petrolio (per inciso, manovre sul gas richiedono tempi lunghi) la forza della Russia si misura su ciò che
potrebbero decidere i paesi dell’OPEC. Un aumento della produzione, infatti, calmiererebbe i prezzi colpendo ulteriormente l’economia Russa. Ciò comporta, dal nostro punto di vista, una prima importante riflessione.
Quanto più le ostilità continuano tanto più la sostenibilità economica da parte Russia della guerra si riduce. Per dirla diversamente, come nel caso dell’Unione Sovietica per l’Afghanistan, la Russia non ha la forza economica per sostenere una guerra di occupazione in un Paese enorme come l’Ucraina e con una popolazione di 44 milioni di abitanti che non si arrende. Dunque la Russia non può che contare su una guerra lampo, che ponga le basi per una trattativa in posizione di vantaggio. Viceversa il protrarsi della guerra potrebbe avere per la Russia di Putin sviluppi drammatici, atteso che non sarà possibile per il Paese sostenere una guerra (ed i conseguenti costi economici) per un lungo tempo e ciò, in particolare perché, oltre a combattere una guerra sul fronte esterno, si aprirà, molto presumibilmente, anche un fronte interno che Putin non potrà gestire certamente con la politica “della Tv e del Frigorifero”, ovvero, della propaganda e del sostegno economico alla popolazione. Sotto l’aspetto squisitamente economico, però occorre precisare che l’unità di azione, dimostrata in questi giorni nel decidere ed attuare, con una potenza di fuoco senza precedenti, le sanzioni alla Russia, può rilevarsi una arma a doppio taglio per il neo (ri)nato blocco occidentale (intendendo come tale Usa, Canada, Gran Bretagna ed E.U.). In effetti, ciò potrebbe indurre a ritenere molti paesi ora alleati o neutrali che una sorte simile potrebbe essere riservata anche a loro, magari in un futuro non lontano, quando ci fosse una fonte di disaccordo e un focolaio di tensione. E’ inutile ricordare a noi tutti che, a tutt’oggi, sono moltissimi i focolai di combattimento nel mondo. Oltre l’ Ucraina ci son guerre in Aceh, Afghanistan, Algeria, Burundi, Brasile, Colombia, Congo R.D., Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea-Etiopia, Filippine, Yemen, Iraq, Israele-Palestina, Libia, Kashmir, Kurdistan, Nepal, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan, Uganda.
Dal 2016 dirigente Responsabile Ufficio Consumer Protection e dal 2012 a tutt’oggi, Responsabile Ufficio Camera di conciliazione ed arbitrato presso la Consob.
Membro del Comitato Tecnico Scientifico della ”Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma-Capitale”, via San Nicola da Tolentino, 45, 00187 Roma;
Membro del Comitato Scientifico della “Fondazione Einaudi-Onlus”, Via della Conciliazione, 10 – Roma;
Membro del Comitato Scientifico “’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti – UCID”, Via delle Coppelle,35 Roma
Membro del Comitato Scientifico della “Fondazione Vittime del Fisco” – Milano;
Membro del Comitato Scientifico della rivista scientifica “Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR” – Caos- Editoriale – Roma.
Docente di “Economia e finanza etica” – Dipartimento Economia presso la Delegazione italiana dell’”Università Internazionale per la Pace – ONU (Costa Rica), via Nomentana n.54 – Roma;
Docente di Economia Politica – Dipartimento di Criminologia” dell’”Università Popolare Federiciana – UniFedericiana”;
Docente a contratto e Direttore scientifico per i Master di I livello in “Economia e diritto degli intermediari Finanziari” (edizioni 2016-2017, 2018-2019) presso “Università degli Studi Niccolò Cusano – Unicusano”, via Don Gnocchi, 1- Roma;
Docente di “Economia e finanza”, nonché membro del Senato accademico dell”’Università Cattolica Joseph Pulitzer di Budapest” dal 2018.
Cavaliere di Merito dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme;
Cavaliere di Merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio
Per una biografia più dettagliata vi invitiamo a visitare il sito della Fondazione Luigi Einaudi