Sulla Via della Seta qualcuno pensa di metterci un frutto molto particolare del Made in Italy: il debito pubblico. Qui da noi si fa finta di non immaginarlo neppure, ma il Financial Times lo ha messo in prima pagina: “Italy weighs loan from China-led bank to ease fears over joining Belt and Road”. Si sta valutando un prestito dal sistema cinese, il che farebbe meglio digerire l’adesione alla Via della Seta.
Mettiamo i birilli al loro posto, prima che una simile boccia li polverizzi tutti. Noi abbiamo interesse ad espandere il commercio con la Cina. L’ho sostenuto, ci ho lavorato e non ho cambiato idea. Al contrario di qualche ipocrita lo dico esplicitamente: ampliare le nostre esportazioni porta con sé sia le importazioni che gli scambi tecnologici, ivi compreso l’investimento per produrre in Cina. Il problema, in casa nostra, non sono certo le vie con prodotti cinesi, i negozi con paccottiglia varia o i ristoranti cinesi (tutta roba da regolare nel capitolo commercio, licenze e fisco, nulla a che vedere con la politica industriale o estera). Il problema, semmai, è la vendita di tecnologia. Ma anche questo è un capitolo datato, perché se date un occhio alla produzione cinese d’ingegneri e ricercatori scientifici, e alla loro qualità, vi renderete conto che è come il rosolio che la nonna conservava gelosamente, fin quando non lo buttarono via. C’è ancora tantissima tecnologia di altissimo livello, nella nostra produzione, ma la risposta a quel tipo di concorrenza non è il protezionismo, bensì università serie e selettive. Ne parliamo un’altra volta.
Purtroppo, e ripeto purtroppo, non siamo quelli che, fra gli europei, esportano di più in Cina e neanche quelli che ne ricevono maggiori investimenti. Chi si adoperasse in tal senso sarebbe benemerito. Va in questa direzione il preliminare d’intesa (memorandum of understanding) che il governo italiano firmerà con quello cinese? No. Questo è il punto.
Quel testo (almeno quello che è circolato, non smentito) è un’accozzaglia di buone intenzioni. Pensate che i due governi collaboreranno anche nella salvaguardia dell’ambiente. Con i cinesi? (che da una parte sporcano che è una bellezza, dall’altra hanno tecnologia ecologica da vendere, sicché sarebbe curioso ritrovarsi zozzati e acquirenti). Leggi queste cose e ti chiedi: che succede al primo dissidio? Soccorre il quinto paragrafo: ogni controversia sarà risolta solo ed esclusivamente in via amichevole. Il nulla. A questo aggiungete che il testo esclude esplicitamente vincoli giuridici e non ha valore di trattato, tanto che non verrà sottoposto al Parlamento (che lo leggerà sui giornali). Il nulla. Ma nulla nulla? Il contenuto c’è: la collaborazione per la Via della Seta. Basta dirlo, anche senza aggiungere altro.
Perché quello è un grande investimento infrastrutturale e strategico, esclusivamente cinese, che si estende sul territorio dell’Unione europea, con reti di trasporto fisico non meno che con reti di telecomunicazione. Il che cambia in maniera drastica i confini est (non a caso sia la Grecia che l’Ungheria hanno già accolto investimenti cinesi di questo tipo) e introduce una presenza esterna dentro il territorio sovrano. Che questo sia fatto a cura di sovranisti la dice lunghissima sulla presa per le chiappe che tutta questa paccottiglia comporta. L’Italia sarebbe il primo Paese del G7 a firmare una cosa del genere. Forse in vista di un trasloco.
Ora, se le controversie si risolvono solo in via amichevole, che succede se gli amici continuano a discordare? Vince il più forte. Forte in che? Denaro, infrastrutture, intelligence e armi. Inutile fare i vaghi, quella è la posta sullo sfondo.
Mi sono chiesto se chi governa è in grado di capirlo. Ho sperato fosse solo dilettantismo. Lo spero ancora. Ma se c’è di mezzo un prestito le cose cambiano: è vendita di sovranità. Perché, i cinesi non possono comprare titoli del nostro debito pubblico? Certo che possono, già lo fanno (poco), ma nelle aste regolari e sul mercato secondario. Un negoziato governativo per un prestito cambia completamente lo scenario. E una roba di questo tipo non si rimanda modello Tav, o la si smentisce o la si porta in Parlamento. Altrimenti saremmo di fronte a un sovvertimento illegittimo.
Giornalista e scrittore.
Dal 1979 in poi, mentre continuava a crescere il numero dei tossicodipendenti, si è trovato al fianco di Vincenzo Muccioli, con il quale ha collaborato, nella battaglia contro la droga.
Dal 1980 al 1986 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana.
Dal luglio1981 al novembre 1982 è stato Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dal 1987 all’aprile 1991 è stato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, che ha assistito nell’elaborazione dei disegni di legge per la regolamentazione del sistema radio-televisivo, per il riassetto delle telecomunicazioni e per la riforma del ministero delle Poste e Telecomunicazioni, oltre che nei rapporti internazionali e nel corso delle riunioni del Consiglio dei Ministri d’Europa.
È stato consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.
Dal 2003 al 2005 presidente del DiGi Club, associazione delle Radio digitali.
Nel 2008 riceve, dal Congresso della Repubblica di San Marino, l’incarico quale consulente per il riassetto del settore telecomunicazioni e per predisporre le necessarie riforme in quel settore.
Nel maggio del 2010 ha ricevuto l’incarico di presiedere l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’innovazione, dipendente dalla presidenza del Consiglio. Nel corso di tale attività ha avuto un grande successo “Italia degli Innovatori”, che ha permesso a molte imprese italiane di accedere al mercato cinese. Con le autorità di quel Paese, crea tre centri di scambio: tecnologia, design, e-government. Nel novembre del 2011 si è dimesso da tale incarico, suggerendo al governo di chiudere la parte improduttiva dell’Agenzia, anche eliminando le sovrapposizioni con altri enti e agenzie.
Dal 2015 al 2016 è membro dell’Advisory Board di British Telecom Italia.