Tutti oggi implorano un intervento dello stato salvatore di fronte alle prospettive disastrose del F.M.I.
Ma lo stato può fare qualcosa per consentire al mercato di riprendere a funzionare? Noi viviamo una crisi che precede il Covid e che nasce da una cultura ormai radicata che disprezza i meccanismi di mercato. È la cultura dell’uguaglianza a tutti i costi e della demonizzazione del profitto; questa cultura purtroppo ha una diffusione mondiale, parte dai Krugman e si illumina con i Piketty. Da noi ha imposto un clima nel quale nessuno osa avviare una iniziativa imprenditoriale: si sa in anticipo che ci saranno una infinita’ di stakeholders i cui interessi eroderanno i possibili profitti che capitale e management sperano di ottenere; e, se resterà qualcosa, questa sarà prelevata in nome dell’uguaglianza dallo stato redistributore.
La crisi odierna riguarda la domanda e l’offerta. Lo stato può far qualcosa operando keynesianamente con il disavanzo pubblico. Ma come? La risposta non è con la spesa, ma con l’entrata: un taglio delle tasse. Non può però essere una macchinosa riforma come chiesto da Visco, questa richiede tempo, mediazione, ricerca di consensi vari che rinviano sine die. Bisogna dare subito un segnale a chi fa impresa o commercio che il suo profitto è considerato dalla nostra società non più una colpa ma un valore. Quindi propongo il taglio dell’imposta sulle società e il taglio mirato delle imposte sui redditi da attività commerciali anche in forma non societaria. Il taglio dovrebbe essere forte, magari provvisorio, per due o tre anni. Per dare d’altro canto impulso alla domanda, occorre non certo il taglio dell’Iva, quanto il favore al credito al consumo, e la creazione di forme di detraibilità fiscale su acquisti di beni durevoli nonché di agevolazioni sui tassi. I proprietari di immobili se non percepiscono affitti non possono essere costretti a pagare l’Imu. Se lo stato vuole fare delle spese, dovrebbe limitarsi a progetti sulla sanità, su digitale, ambiente e trasporti, con progetti rigidamente vincolati a periodi non lunghi per evitare investimenti destinati a rapida obsolescenza. Sulla sanità, in particolare, c’è stato un bell’articolo di Bini Smaghi sul Corriere che mette tra l’altro in evidenza come un intervento immediato in materia possa condizionare in positivo una ripresa della domanda di consumi favorita da un riduzione delle tasse; il rischio invece sarebbe che i timori d’ordine sanitario facciano aumentare la propensione al risparmio.
Ciò che è importante è sforzarsi di trasmettere un messaggio anti Piketty: nessuno vuole l’uguaglianza stupida e, come anche Rawls, si accettano profitti e differenze in nome di un progresso generale.
In Banca d’Italia dal 1965, prima ai Servizi di Vigilanza sulle aziende di credito, poi, da dirigente, con responsabilità di gestione delle strutture organizzative, dell’informatica e del personale; dal 1996 Segretario Generale della Banca, con responsabilità del personale, delle relazioni sindacali, dell’informatica, delle rilevazioni statistiche e ad interim della consulenza legale. Cessato dal servizio nel 2006.
Già rappresentante italiano dal 1989 presso l’Istituto monetario europeo (Basilea) e poi presso la Banca Centrale Europea (Francoforte) per i problemi istituzionali e l’organizzazione informatica. Inoltre rappresentante sempre a partire dal 1989 presso il G20, Banca dei Regolamenti Internazionali, come esperto informatico.
Autore e coautore di pubblicazioni sull’ordinamento bancario, sulle economie di scala e sugli effetti dell’informatizzazione. Ha organizzato presso la Fondazione nel gennaio 2015 il convegno sulla situazione carceraria in Italia.