Prima o poi doveva accadere. È accaduto. Matteo Salvini, ministro degli Interni, è stato contestato nel quartiere San Lorenzo a Roma. La folla gli ha gridato “sciacallo, sciacallo” mentre altri, in tono minore e meno numerosi, hanno apprezzato la sua visita e si sono rivolti al ministro chiedendo aiuto. Salvini avrebbe voluto portare una rosa sul luogo dove è stata ritrovata morta Desiree Mariottini, drogata e violentata da un branco, ma a causa della contestazione non c’è riuscito e ha promesso o minacciato: “Ritornerò con la ruspa”. Dov’è l’errore? Nel tempo.
Che il quartiere San Lorenzo stia messo male lo sanno tutti e che lì si sopravviva in uno stato di abbandono in cui tutto può succedere, pure che una ragazzina di 16 anni venga violentata e sia uccisa come è accaduto con la povera Desiree, anche questo lo sanno tutti. Le violenze subìte e la fine dell’adolescente sono quello che è stato già definito un “delitto annunciato”. Ma proprio per questo: se ci troviamo davanti alla cronaca di una tragedia annunciata, perché il ministro degli Interni è andato lì?
Matteo Salvini è responsabile del Viminale da circa sei mesi. Non un tempo lungo, ma neanche un tempo brevissimo. I famosi 100 giorni, con i quali si giudicano il passo e il carattere di qualunque amministrazione, sono trascorsi da un pezzo e cosa ha fatto il ministro Salvini? Una sola cosa: propaganda. Dal primo giorno in cui si è insediato al Viminale, il leader della Lega ha continuamente soffiato sul fuoco dei cattivi sentimenti e si è proposto come la voce del popolo venuta al mondo per vendicare il popolo non si capisce da chissà che cosa. Se avesse dedicato non metà ma anche un quarto della sua giornata non alla propaganda sulla questione degli immigrati ma a considerare le situazioni rischiose che vi sono in alcuni quartieri delle grandi città – Milano, Roma, Napoli, Bari, Palermo – avrebbe fatto il suo dovere e, chissà, forse ora Desiree sarebbe ancora viva. Chiariamoci subito: nessuno gli accolla il “delitto annunciato” ma con altrettanta chiarezza gli va detto che a San Lorenzo doveva andarci prima, prima e non dopo. Perché dopo è troppo comodo. Dopo sa di sceneggiata e di speculazione e chi lo ha contestato sarà anche stato di un’altra parte politica rispetto alla sua ma la rabbia popolare, della quale proprio Salvini vuole essere un ruspante interprete, non va per il sottile e, legittima o no, questa volta proprio il ministro Salvini se l’è sentita addosso.
I ministri degli Interni non sono fatti per portare fiori e nemmeno per ritornare con la ruspa. No. I ministri degli Interni sono fatti per essere discreti, per apparire poco e garantire ordine senza propaganda ma con il lavoro quotidiano della vigilanza occhiuta (è davvero curioso ma è bene ricordare a Matteo Salvini che un ministro degli Interni di tal fatta fu Roberto Maroni, tanto che il suo ministero è, dati alla mano, quello che ha maggiormente ottenuto risultati positivi nei confronti della criminalità organizzata: si veda il libro La mafia si può vincere di Giacomo Ciriello).
I ministri degli Interni non generano disordine e se ciò accade vuol dire che sono inadatti al ruolo. Certamente Salvini oggi è stato inadatto e fuori luogo. Ha sbagliato tutto: gesto, parole, tempi. Strano per uno come lui che passa per essere un drago della comunicazione. Però, succede, sì, succede anche questo quando sei al governo da un po’ di tempo e invece di governare seriamente continui a fare propaganda, cerchi alibi e inventi nemici e, proprio tu che hai dato dell’ubriaco a Jean-Claude Juncker, sei ubriaco delle tue stesse parole e non distingui più tra finzione e realtà e ti ritrovi a tua insaputa – naturalmente – come in un film in cui la gente, il popolo, ti urla “sciacallo”. Oggi per Salvini è stato il giorno dello “sciacallo”.