Se nei prossimi giorni il prof. Mario Draghi dovesse diventare Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana il merito sarebbe da attribuire tanto a Matteo Renzi quanto al Capo dello Stato Sergio Mattarella.
Non vi è dubbio, infatti, che senza l’iniziativa politica del senatore di Italia Viva il Governo guidato da Giuseppe Conte avrebbe avuto vita facile almeno sino alla conclusione della legislatura. E’ altrettanto evidente, tuttavia, come sia stata l’interpretazione che il Capo dello Stato ha dato del proprio ruolo, di supremo garante della Costituzione e dell’Unità nazionale, ad aprire le porte al tentativo dell’ex Governatore della Banca d’Italia di tirare fuori il Paese dalle secche in cui è stato imprudentemente condotto
Il Colle avrebbe potuto optare per lo scioglimento delle Camere e la celebrazione delle elezioni politiche; la scelta sarebbe stata legittima e anch’essa difficilmente contestabile. Nel breve volgere di due anni e mezzo il Parlamento ha sperimentato il fallimento di tutte le combinazioni che avrebbero potuto sostenere stabilmente un Esecutivo, cosicché la sua funzione poteva ritenersi, a ragion veduta, esaurita.
Sergio Mattarella, invece, ha colto l’occasione dell’ennesima crisi del sistema politico italiano per mostrare, ancora una volta, tutte le potenzialità di cui è dotata l’Istituzione della Presidenza della Repubblica.
Già Meuccio Ruini in occasione dei lavori della Costituente ebbe modo di definire il Capo dello Stato “magistrato di persuasione e di influenza”, “coordinatore di attività”, “capo spirituale della Repubblica” con una “missione di equilibrio e di coordinamento” e “influenza decisiva di orientazione”. Si pensava, cioè, a una figura in grado di intervenire nei momenti di difficoltà del sistemo politico – istituzionale per aiutare gli attori della Costituzione a ritrovare la giusta rotta nel solco della tutela dell’interesse nazionale.
Non fu quella di Ruini l’unica declinazione del ruolo del Presidente della Repubblica che poi si è concretizzata nel corso dei vari settennati, se è vero, ad esempio, che Luigi Einaudi, conclusa la sua esperienza di inquilino del Colle, ebbe modo di affermare “ ho dato alla norma dell’articolo 95 […] una interpretazione che, forse, è più larga della lettera dea Costituzione, ma che ritengo conforme al sistema voluto dal Costituente: la politica del paese spetta al governo il quale abbia la fiducia del Parlamento e non invece al presidente della Repubblica”.
A descrivere con precisione tutte le potenzialità insite nella Presidenza della Repubblica ci ha pensato l’attuale Giudice della Corte costituzionale Giuliano Amato allorché ha utilizzato l’immagine della fisarmonica per far intendere come il Capo dello Stato possa essere ora semplice notaio degli svolgimenti costituzionali che si susseguono per opera di un sistema politico stabilizzato, ora “magistrato di persuasione e di influenza” in grado di indicare la strada da percorrere a un sistema istituzionale bloccato.
A Sergio Mattarella va riconosciuto l’indubbio merito di avere assunto su di sé l’onere di esporre al Parlamento e all’opinione pubblica del Paese l’interpretazione dell’interesse nazionale che in un dato momento storico, secondo il suo punto di vista, andava preservato con ogni sforzo possibile.
La sera in cui dal Colle è stata annunciata la convocazione del Prof. Draghi per l’affidamento dell’incarico di Governo, il Capo dello Stato non si è limitato a individuare la figura che avrebbe potuto presiedere “un Esecutivo di alto profilo”, ma ha altresì esercitato il suo “potere di esternazione” per porre sul tavolo della riflessione comune un’argomentazione che egli ha ritenuto ragionevole e persuasiva almeno per ottenere l’attenzione, in prima battuta, di tutte le forze politiche e del Paese intero.
E’ evidente come il Parlamento possa sempre optare per la conclusione anticipata della legislatura, ma le forze politiche sarebbero costrette in questo caso a prendere pubblicamente posizione rispetto agli argomenti ragionevoli esposti dal Presidente della Repubblica e a contrapporne eventualmente di altri e più validi. Alla determinazione della forse politiche di far sì che attraverso “l’auctoritas” dell’apparente mancanza di numeri si arrivasse ad indire nuove elezioni, il Quirinale ha meritoriamente contrapposto la “veritas” di una ragione discorsiva che, per il solo fatto di essere rappresentata dal vertice dello Stato, costringe i protagonisti del circuito Governo – Parlamento a interrogarsi sulla validità delle diverse opzioni che la Costituzione mette in campo in questo momento.
La decisione di Mattarella di esperire il tentativo di formare un nuovo Governo, nonostante lo sgretolamento definitivo della precedente maggioranza parlamentare, rappresenta, in realtà, il desiderio di esercitare “un’influenza decisiva di orientazione”sui processi istituzionali attraverso un percorso dialogico che si avvalga di un richiamo autorevole anziché autoritario. Rappresenta il tentativo di superare le frammentazioni politiche e di riaffermare l’esistenza di un interesse nazionale unitario e oggettivo che dall’altura del Colle si scorge, evidentemente, con maggior chiarezza. E’ un tentativo di arginare il populismo con la ragione.
La storia riconoscerà questo merito all’attuale Capo dello Stato.
Avv. Rocco Todero, vive in Sicilia dove esercita la professione di avvocato amministrativista abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori.
Collabora col quotidiano Il Foglio e studia in particolare diritto costituzionale, diritto amministrativo, storia moderna e storia del pensiero liberale.
I suoi punti di riferimento sono Cavour, Churchill, Margaret Thatcher, Mises, Hayek e Rothbard.