Gli studenti italiani fanno fatica a capire un testo di media lunghezza, secondo un’indagine dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), realizzata con cadenza triennale, e che nell’ultima edizione ha valutato il livello degli studenti di 79 economie partecipanti. In Italia sono stati coinvolti quasi 12 mila iscritti al secondo anno di licei, istituti tecnici e professionali – rappresentativi di una popolazione di oltre mezzo milione, i quali si sono posizionati al di sotto della media in lettura, competenza chiave della cittadinanza, con una prestazione che dal 2012 tende a peggiorare. Inoltre, uno scarno 5 per cento si è collocato nella fascia elevata, a fronte di una percentuale Ocse del 9 per cento.
La prova mirava a scandagliare come si muovono sul web i ragazzi della cosiddetta generazione Z. Richiedeva di isolare dati fondamentali e vagliarne l’attendibilità. Al tempo delle fake news, l’intenzione è quella di identificare le capacità di cui sono dotati per discernere un’informazione autentica da una farlocca. I risultati sono desolanti su scala globale: uno studente su dieci è in grado di districarsi tra realtà e invenzione. Nel nostro paese, la percentuale è doppia in negativo: uno studente su venti non cade nella trappola delle notizie fasulle. Gli adolescenti annaspano, quindi, nel trovare quello che cercano in rete, afferrare il significato di uno scritto, e rielaborare conoscenze per applicarle a un problema inedito. La spesa per l’istruzione, invece, è in calo da oltre dieci anni.
La povertà educativa è un’emergenza nazionale, causa e conseguenza del tramandarsi da genitori a figli di forti disuguaglianze sociali, in un quadro di scarsa mobilità intergenerazionale. L’Italia è anche l’ultimo paese Ocse riguardo alla comprensione del testo in età adulta. Il 28 per cento degli italiani è in grado di intendere solo frasi brevi, non è in grado di leggere in modo proficuo un giornale o captare i messaggi di un telegiornale, pur se vota alle elezioni o ai referendum. L’inabilità di cogliere la complessità dei fenomeni si accompagna con il conformarsi a spiegazioni semplicistiche della realtà, un vero e proprio rischio per la qualità delle scelte strategiche individuali e la democrazia.
Hannah Arendt scrive nella sua opera “Le Origini del Totalitarismo” che il soggetto ideale per i regimi non è l’individuo convinto di una qualsivoglia ideologia, ma quello per cui è decaduta la distinzione tra il vero e il falso. Nell’orizzonte politico e culturale odierno, potremmo aggiungere che la perdita di un senso condiviso è il fattore preminente della proliferazione di tribalismi e trinceramenti che alimentano l’impossibilità di comunicare oltre l’autoreferenzialità. Questa sostituzione della ragione con l’emozione corrode il linguaggio e svaluta la verità.
Dizionari di idiomi diversi hanno accolto l’espressione post-verità. Il Washington Post ha calcolato che, durante il primo anno del suo mandato, Donald Trump ha rilasciato 2.140 dichiarazioni che contenevano imposture o equivoci, con una stima di 5.9 al giorno. Non si tratta, tuttavia, unicamente di notizie false, ma anche di scienze errate, fabbricate per esempio dai negazionisti del cambio climatico o da quanti si oppongono ai vaccini, o di storia mistificata da coloro i quali negano l’olocausto o giustificano la supremazia bianca. Le affermazioni menzognere sulla relazione finanziaria fra il Regno Unito e l’Unione Europea hanno contribuito a orientare il voto in direzione della Brexit.
Con “La Fattoria degli Animali”, George Orwell ha descritto come il disprezzo dei fatti, o la loro distorsione organizzata, renda le persone facili prede per aspiranti autocrati, privi di scrupoli, che compensano con l’eloquenza una certa mancanza di intelligenza, e i loro propagandisti che parlano per omissioni, facendo leva su rancori e illusioni. Come si difenderanno le nuove generazioni dai Napoleon e gli Squealer orwelliani è un dilemma, quando sembrano invece essere la materia più fertile per i populismi e i fondamentalismi che si sono affacciati in Europa e nel mondo. Gli avvenimenti hanno bisogno di testimoni per essere collocati in luoghi sicuri della storia, in sostanza si devono basare sulla conoscenza e la memoria. Il compito è un’impresa collettiva, eroica in senso etico. Ne abbiano la forza e se ne assumano la responsabilità i maestri, gli intellettuali, gli artisti, e i politici di buona volontà. Se ce ne saranno, non tutto è perduto.
Esperta internazionale in inclusione sociale, diversità culturale, equità e sviluppo, con un’ampia esperienza sul campo, in diverse aree geostrategiche, e in contesti di emergenza, conflitto e post-conflitto. In qualità di funzionaria senior delle Nazioni Unite, ha diretto interventi multidimensionali, fra gli altri, negli scenari del Chiapas, il Guatemala, il Kosovo e la Libia. Con l’incarico di manager alla Banca Interamericana di Sviluppo a Washington DC, ha gestito operazioni in ventisei stati membri, includendo realtà complesse come il Brasile, la Colombia e Haiti. Ha conseguito un Master in Business Administration (MBA) negli Stati Uniti, con specializzazione in knowledge management e knowledge for development. Senior Fellow dell’Università Nazionale Interculturale dell’Amazzonia in Perù, svolge attività di ricerca e docenza in teoria e politica della conoscenza, applicata allo sviluppo socioeconomico. Analista di politica estera per testate giornalistiche. Responsabile degli affari esteri ed europei dell’associazione di cultura politica Liberi Cittadini. Membro del comitato scientifico della Fondazione Einaudi, area relazioni internazionali. Ha impartito conferenze, e lezioni accademiche, in venti paesi del mondo, su migrazioni, protezione dei rifugiati, parità di genere, questioni etniche, diritti umani, pace, sviluppo, cooperazione, e buon governo. Autrice di libri e manuali pubblicati dall’Onu. Scrive il blog di geopolitica “Il Toro e la Bambina”.