Le ambizioni economiche e geopolitiche della Cina, sebbene monumentali, antagonistiche o aggressive, non esauriscono il ruolo che sta cercando di ricavarsi. Come si voglia interpretare il suo espansionismo, per comprenderne intenzioni e portata, bisogna considerare che, nella visione che vuole proiettare, esistono connotazioni di indole storica e morale. Non può nemmeno essere comparata alla Russia dell’epoca della guerra fredda, in qualche margine prevedibile nelle sue reazioni. La forza della Cina sussiste in una sintesi unica di elementi, la stessa che le fornisce una dimensione proteiforme.
L’esercizio consiste nell’osservare, oltre giudizi peraltro giustificati, ciò che alimenta il suo potere e le strutture attraverso le quali questo viene immaginato ed esplicitato. Pechino non è ostile per definizione alle idee liberali, ne è perlopiù indifferente. La direzione autocratica impressa da Xi Jinping, espressione di un apparato coercitivo, è solo una delle dinamiche in atto, e malgrado sia funzionale alla loro somma, il futuro può assumere un volto differente. Del resto, la Cina risponde alla vocazione delle grandi civiltà e, nel passato recente, sia il nazionalista Chiang Kai-shek nel 1940, sia il padre del comunismo Mao Sedong nel 1960, intesero soprattutto rifondarne l’autorità.
Il gigante asiatico non potrà riconfigurare l’assetto internazionale a sua immagine e somiglianza, come in larga misura è avvenuto per gli Stati Uniti, ma la prevenzione nei suoi confronti, e la rigidità delle analisi, non permettono di visualizzare la complessità della sua rinascita e la forma che potrebbe ancora prendere. I fattori visibili di questa identità in costruzione, e la ricomposizione del suo rapporto con il resto del mondo, che si miscelano ad autoritarismo e mire vecchie e nuove, sono il consumismo e la tecnologia. Ironicamente, il prestigio di Pechino si fonda sui vettori del capitalismo americano e le opportunità non colte da un’Europa inerte.
In occasione del XIX congresso del partito comunista cinese, nel 2017, Xi dichiarò che il paese si stava muovendo con passo infallibile verso il cuore degli affari mondiali. Di certo, dalla partecipazione in infrastrutture portuali, alla costruzione di basi navali, fino allo sviluppo della tecnologia 5G, la Cina è venuta amalgamando potere infrastrutturale, commerciale, militare e tecnologico. E per conquistare questa posizione, sin dal 1978, il partito ha lavorato per superare una delle debolezze che, nel contesto della globalizzazione, condivideva con l’Unione Sovietica: l’incapacità di soddisfare le esigenze individuali delle persone e innalzare gli standard di vita.
La rivoluzione cinese contemporanea è stata una rivoluzione del consumo. Nel 2019, la piattaforma Alibaba ha realizzato 38 mila milioni di dollari attraverso un unico evento di vendita elettronica. La prosperità stimolata da Pechino ha generato utili in paesi occidentali e asiatici che servono compratori cinesi di beni di lusso, servizi turistici ed educazione terziaria. Sono stati gli investimenti nel campo della ricerca che, nel corso degli ultimi decenni, hanno creato uno degli ambienti più innovativi del pianeta e una competenza tecnologica che impatta in maniera simultanea sul mercato e l’industria bellica.
Inoltre, benché la Cina si fosse conservata al margine della guerra fredda, ha rivendicato il proprio apporto nell’istituzione degli equilibri emersi dal secondo conflitto mondiale. Alla conferenza sulla sicurezza del 2020, il ministro degli esteri ha ricordato che il paese fu il primo firmatario della carta delle Nazioni Unite, quando il Kuomintang, partito nazionalista, esiliato dopo il conflitto civile, era al potere. Dagli anni ottanta, il partito comunista ha reiterato che la Cina, al prezzo di 14 milioni di caduti, fu cruciale per contrarrestare il Giappone fra il 1937 e il 1945, riconoscendo l’eroismo dei nazionalisti e gli anglo-americani.
Tale revisione e ampliazione storica colloca la fondazione della Cina moderna, sia nella rivoluzione comunista del 1949, sia a partire dalla vittoria alleata. Non si tratta di un dettaglio: riflette come si vuole essere riconosciuti e considerati. Con Xi, Pechino è diventato il secondo contributore finanziario dell’Onu e nel supporto alle operazioni di pace, posizionandosi tra i difensori del retaggio del 1945. Allo stesso tempo, responsabilità internazionale, e leadership nel sud globale, vengono intrise di linguaggio e simbolismo del confucianesimo, che coincidono con il messaggio occidentale di solidarietà e futuro comune, sustentato negli investimenti della Nuova Via della Seta.
Spesso le scelte della Cina vengono liquidate alla stregua di mero realismo. L’intento, invece, è quello di essere compresi in senso etico. Dalla guerra fredda, ha cercato di posizionarsi, come campione del terzo mondo, in contrasto a un occidente e un’Unione Sovietica soverchianti, e come erede del vessillo anti-imperialista della galassia post coloniale, un’improbabile doppia partita, se si aggiunge alla veste di guardiano dell’alleanza che pose fine alla seconda guerra mondiale. Al contrario, questo mix mantiene un valore agli occhi di quei paesi poveri che puntano allo sviluppo economico nella conservazione della sovranità e considerano il suo modello più flessibile di quello della democrazia liberale.
Se nell’ordine internazionale si cerca di disperdere i fantasmi del maoismo, sul piano domestico retorica marxista-leninista e autoritarismo esercitano pressione sulla società. Nondimeno, i potenziali benefici della sua ricetta non reggeranno il peso della latente minaccia dell’allargamento di una presenza militare, resa inevitabile per proteggere gli interessi economici, e non favorita da uno stile ancora debole nelle soft skills. Nell’Oceano Indiano, dove ha luogo un’intensa attività cinese, sull’asse commerciale dei porti di Grecia, Gibuti e Pachistan, una coalizione formata da Australia, India, Giappone e Stati Uniti, coordina esercitazioni navali.
Nel 2010, la Cina aveva ottenuto un ampio successo con prodotti tecnologici, tra i quali l’applicazione Tik Tok, avendo completato la sostituzione del Giappone nell’avanguardia di questo settore. L’appeal dei paesi industrializzati ha registrato un calo in seguito al dilagare del virus Covid-19, per l’allarme indotto dalla mancanza di trasparenza, a sua volta associata al controllo capillare della popolazione attraverso i sistemi informatici per il contenimento della pandemia. Australia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Nuova Zelanda, e Stati Uniti, per motivi legati alla sicurezza nazionale, e altre forti ragioni geopolitiche, non faranno uso della rete 5G sviluppata dal colosso delle telecomunicazioni Huawei.
All’opposto, molte nazioni, in Africa, in America Latina, e nel Sud-est Asiatico, ne adotteranno i vantaggi. Questa situazione non aprirà le porte a una prevalenza cinese, ma costituirà un blocco considerevole, mediante il quale si potranno controllare ambiti economici e ricavare dati strategici. E per quanto i critici puntino il dito su comportamenti non degni di fiducia e l’utilizzo strumentale di lacune nelle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, la questione reale è che non ci si può attendere che la seconda economia mondiale si muova sullo scacchiere internazionale alle condizioni dei propri rivali.
La Cina sta attraversando un periodo simile a quello degli Stati Uniti negli anni cinquanta. La brutale discriminazione razziale, e le violazioni dei diritti umani, contro la popolazione afro-discendente, subirono una condanna generale e il governo di Mao ricevette a Pechino attivisti del movimento dei diritti civili, inclusi capi delle Black Panthers. Gli Stati Uniti di allora rifiutarono ingerenze, ma la resistenza in patria, assieme alla pressione esogena, portarono a mutamenti storici. La Cina di oggi, una potenza esordiente sotto scrutinio, deve imparare a gestire il dissenso e permettere l’emergere della società civile.
A dispetto di una cattiva reputazione, il dibattito interno ha giocato una parte importante nell’ascesa del paese. Fino a poco fa, intellettuali di diversi orientamenti hanno interagito nella sperimentazione delle nuove idee tradotte in politiche. La chiusura di questo spazio avrà un impatto negativo negli anni a venire, se le élite non saranno rinnovate e non si potrà valutare e rilanciare il processo. La cultura cinese difende la meritocrazia e il shi shi qiu shi, ricerca della verità dai fatti. Deng Xiaoping, successore di Mao, nella fase di modernizzazione, restaurò la libertà accademica: una lezione del passato che potrebbe essere una delle chiavi di una buona riuscita nel tempo.
Un’aderenza a questi principi potrebbe contenere l’intransigenza intestina e la belligeranza verso l’esterno, accentuatesi dagli inizi del 2020, e permettere ai differenti ingredienti della sua formula di ricombinarsi e rinforzarsi a vicenda. Il partito comunista non cambierà la sua natura, ma potrebbe modificare la sua traiettoria, tornando magari a quella versione della prima decade del secolo, quando nonostante l’assenza di una democrazia piena, la vivacità del giornalismo investigativo, della società civile e dei social media era palpabile. Non è impossibile immaginare una versione meno antagonistica dell’autoritarismo cinese.
Non va sottovalutato che, al contrario degli Stati Uniti, la Cina non cerca di imporre o replicare altrove il proprio sistema. Quello che persegue è sostenibilità per una popolazione di oltre 1.4 miliardi e prestigio. Senza volontà di esportare il nazionalismo socialista, plasma le relazioni alle necessità economiche del paese. Pur non esistendo un attore eguale, opacità e atteggiamento confrontativo provocano sfiducia. Stati Uniti e Unione Sovietica costruirono le rispettive sfere di influenza quando la democrazia non era diffusa. La Cina deve rendere appetibili le proprie aspettative nell’era della comunicazione e il dominio dell’opinione pubblica.
La Cina, tuttavia, è destinata a evolvere nei prossimi vent’anni, per due cause fondamentali. La prima dettata dal confronto ineludibile fra chiusura e apertura. Sebbene continui a mantenere un’oligarchia politica ripiegata su sé stessa, e concentrata a perpetuare il partito unico, sta promuovendo un’élite professionale dedicata all’internazionalizzazione. La seconda suscitata da un terremoto demografico. Dal 2029, si contrarrà di cinque milioni l’anno, invecchiando la popolazione, e innalzando la domanda di protezione sociale, prima di raggiungere il livello di paese di alto reddito.
La “doppia circolazione” di un’economia dalla portata globale, con un mercato locale protetto, non è plausibile nel lungo termine. Anche se non compete agli altri stabilire quali siano gli obiettivi strategici legittimi per la Cina, questa guadagnerebbe da un approccio diplomatico più attento a vicini e alleati regionali. La leadership è fatta di concessioni, generosità e disposizione ad accogliere critiche. Il maggior ostacolo per la sua affermazione nell’ordine del mondo non sono gli Stati Uniti, ma l’autoritarismo e l’espansionismo confrontativo, che restano alla straordinaria vitalità degli altri componenti di un paradigma che ha sminuito l’influenza del liberalismo occidentale.
Esperta internazionale in inclusione sociale, diversità culturale, equità e sviluppo, con un’ampia esperienza sul campo, in diverse aree geostrategiche, e in contesti di emergenza, conflitto e post-conflitto. In qualità di funzionaria senior delle Nazioni Unite, ha diretto interventi multidimensionali, fra gli altri, negli scenari del Chiapas, il Guatemala, il Kosovo e la Libia. Con l’incarico di manager alla Banca Interamericana di Sviluppo a Washington DC, ha gestito operazioni in ventisei stati membri, includendo realtà complesse come il Brasile, la Colombia e Haiti. Ha conseguito un Master in Business Administration (MBA) negli Stati Uniti, con specializzazione in knowledge management e knowledge for development. Senior Fellow dell’Università Nazionale Interculturale dell’Amazzonia in Perù, svolge attività di ricerca e docenza in teoria e politica della conoscenza, applicata allo sviluppo socioeconomico. Analista di politica estera per testate giornalistiche. Responsabile degli affari esteri ed europei dell’associazione di cultura politica Liberi Cittadini. Membro del comitato scientifico della Fondazione Einaudi, area relazioni internazionali. Ha impartito conferenze, e lezioni accademiche, in venti paesi del mondo, su migrazioni, protezione dei rifugiati, parità di genere, questioni etniche, diritti umani, pace, sviluppo, cooperazione, e buon governo. Autrice di libri e manuali pubblicati dall’Onu. Scrive il blog di geopolitica “Il Toro e la Bambina”.