Negli ultimi giorni a livello mediatico si afferma che lo ius soli sia una legge di civiltà.
Sorge pertanto lecito domandarsi in che termini lo possa essere: in Italia vi sono gravi violazioni dei diritti umani nei confronti degli stranieri?
A livello normativo la posizione giuridica degli stranieri è identica a quella dei cittadini italiani, infatti non vi è nessuna discriminazione sulla “carta”.
La Costituzione ne è la prova lampante, infatti l’art. 3 Cost afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Pure il cittadino straniero è investito dall’uguaglianza formale e sostanziale avendo così una copertura totale dalle discriminazioni che potrebbero sorgere a livello giuridico – istituzionale. Infatti può esperire qualsiasi azione prevista dall’ordinamento in tutela dei suoi diritti nel caso in cui fossero calpestati.
Il cittadino straniero infatti per la sua posizione di parità con il cittadino italiano si vede riconosciuti a pieno titolo tutti i diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute, alla casa, all’istruzione, all’equo processo, libertà di circolazione nel territorio dello Stato, il diritto alla libertà ed alla sicurezza personale, il diritto a non essere sottoposto a pene, trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, diritto alla difesa ect ect.
La Corte costituzionale ha affermato che il principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. deve essere interpretato sia in connessione con l’art. 2 Cost., che prevedendo il riconoscimento e la tutela dei “diritti inviolabili dell’uomo” che non distingue tra cittadini e stranieri, ma garantisce i diritti fondamentali anche riguardo allo straniero (Corte cost. sent. 18 luglio 1986, n. 199), sia in connessione con l’art. 10, comma 2, Cost., che rinvia a consuetudini e ad atti internazionali nei quali la protezione dei diritti fondamentali dello straniero è ampiamente assicurata.
Il cittadino ha maggiori diritti? Giusto
Il cittadino ovviamente gode di diritti maggiori rispetto allo straniero per via del suo rapporto permanente con lo Stato, infatti i diritti dello straniero «rappresentano un minus rispetto alla somma dei diritti di libertà riconosciuti al cittadino» (Corte Cost. sent. 15-21 giugno 1979, n. 54) e ciò consente al legislatore di introdurre una serie di limitazioni nei confronti dello straniero soprattutto nei riguardi dei diritti connessi allo “status activae civitatis”, ovvero i diritti politici.
Queste limitazioni nei diritti nei confronti dello straniero non sono un’ingiustizia, bensì si basano sul principio della reciprocità (art. 16 delle preleggi): tutti gli Stati presentano delle limitazioni nei confronti degli stranieri presenti nel loro territorio.
Molti affermano per giustificare lo ius soli che il cittadino straniero non possa accedere ai concorsi pubblici.
La legislazione attuale afferma che lo straniero può partecipare a determinanti concorsi solo se non vi sia l’esercizio di pubblici poteri. (es. Ordinanza del 27 maggio 2017, R.G. 1090/17).
Queste riflessioni mi portano quindi, a giudicare lo ius soli una mera aberrazione giuridica in quanto il cittadino straniero in Italia non subisce alcuna discriminazione.
Il concetto di cittadinanza deve essere legato a quei nobili sentimenti che sono la condivisione del patto sociale, l’abbracciare i valori fondanti della nostra Costituzione e orgoglio nazionale.
Ridurre la cittadinanza a mera frequentazione di un ciclo scolastico o nascita nel territorio dello Stato è decisamente riduttivo vista la complessità e la sensibilità del tema in questione.
Il legislatore che si occupò della L. 91/92 non contemplò lo ius soli puro per questioni geografiche. L’Italia essendo in una posizione delicata non era funzionale una legislazione di questo tipo.
Le mie considerazioni sul caso sono le medesime, vista la situazione migratoria attuale e soprattutto visti gli innumerevoli escamotage che permettono di ottenere un permesso di soggiorno di varia natura che poi si potrà convertire in permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, che è uno dei requisiti per l’ottenimento della cittadinanza italiana per i minorenni nati all’estero.
Affermare che lo ius soli puro è applicato negli Stati Uniti come mezzo per sottolineare la bontà di questa proposta di legge e l’arretratezza del nostro sistema giuridico è palesemente scorretto.
La Corte Permanente di Giustizia Internazionale – Parere 7/2/1923 afferma che “le questioni della nazionalità riguardano il dominio domestico, cioè riservati allo Stato”.
Lo stesso Dionisio Anzilotti afferma che ogni Stato è libero di regolare le condizioni della cittadinanza, quindi prendere a paragone un paese terzo e non la situazione attuale e concreta è l’approccio sbagliato ad una questione così spinosa che richiede pragmatismo.
Straniero discriminato e non tutelato? Non è vero
L’attuale classe politica inoltre fa leva sul fatto che chi nasce in Italia senza la cittadinanza italiana risulta discriminato e non tutelato, ma tutto ciò non è veritiero.
In primis la cittadinanza non è un diritto qualora un soggetto non rischia di diventare apolide come affermato dalla Dichiarazione universale dell’uomo del 1948 (Art. 15: “ Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza “).
I bambini nati in Italia da cittadini stranieri non rischiano di diventare apolidi in quanto ottengono per ius sanguinis la cittadinanza dei genitori.
Sarà al compimento dei 18 anni con apposita domanda all’Ufficiale di Stato Civile che acquisteranno la cittadinanza italiana (art. 4 comma 2 L.91 /92) e potranno esercitare i diritti politici che spettano solo ai maggiorenni come l’elettorato attivo e passivo e l’accesso ai concorsi pubblici, ect ect.
Per quanto riguarda chi non è nato in Italia la questione è che hanno un legame con un altro paese e non solo con lo Stato Italiano, ergo l’espletamento di un ciclo di studi non è la condizione sufficiente per l’ottenimento della cittadinanza italiana.
Il bambino nato in uno Stato estero avendo un legame con un altro Stato deve, a mio parere, sottostare al potere di discrezionalità dello Stato che vaglierà la sua posizione e deciderà se è nel suo interesse riconoscerlo come cittadino.
Il semplice espletamento di un ciclo di studi, che è un dovere oltre che per lo Stato anche per se stessi, non garantisce l’adesione al patto, il riconoscimento dei valori e dei DOVERI contenuti nella Costituzione che sono la colonna portante dello Stato di diritto.
Non è concepibile ridurre la cittadinanza a semplice espletamento di un ciclo scolastico o mezzo per evitare il visto scolastico per la gita in paesi in cui è richiesto perché concepito come un’ingiustizia da alcuni stranieri e attivisti per i diritti umani.