“Il social lending consiste nel prestito tra privati attraverso l’utilizzo di internet. In particolare, gli utenti di internet, mediante una piattaforma web, prestano o richiedono somme di denaro ad altri privati cittadini o imprese a costi contenuti. Tale fenomeno è il risultato di una disintermediazione, o meglio di una nuova e più leggera forma di intermediazione, che ha permesso la nascita di soluzioni creditizie alternative a quelle tradizionali e in grado eliminare l’intermediazione bancaria mediante una piattaforma che agevola l’incontro tra domanda e offerta di risorse finanziarie.”
Questa la definizione emersa durante il nono rapporto annuale del Consumers’ Forum, tenuto presso l’Università degli Studi Roma Tre nel 2016.
Ma in cosa consiste il social lending?
Uno dei casi più evidenti dell’applicazione della tecnologia alla finanza riguarda di sicuro lo sviluppo delle piattaforme di prestito tra privati, che rappresentano la nuova frontiera dell’intermediazione creditizia e si apprestano a raggiungere la definitiva maturità operativa nel corso del 2020, così come l’intero comparto del Fintech 2.0.
Il fenomeno, che nasce nel 2005 nel Regno Unito (la banca online britannica Egg è stata la prima ad aprire una piattaforma dedicata al prestito tra privati, con l’apertura del sito web Zopa, Zone of Possible Agreement, identificata come la prima piattaforma di P2P lending), si è esteso rapidamente in tutto il mondo e potrebbe consacrarsi come la nuova frontiera della finanza innovativa rivolta sia ad aziende che a privati.
Le start up del settore sono in continuo aumento ed il servizio offerto risulta veloce e sicuro. Nello specifico, una piattaforma di social lending, definibile anche come marketplace, offre la possibilità dell’incontro tra la domanda e la richiesta del finanziamento, quindi tra i lenders (prestatori) ed i borrowers (prenditori). Le parti sono messe in relazione tramite portali online completamente automatizzati.
Nel processo di prestito, il prestatore ottiene una remunerazione a tasso fisso superiore a quella ottenibile dall’investimento. I tassi di interesse ottenibili sono superiori a quelli degli investimenti tradizionali, pur investendo somme relativamente contenute. I richiedenti, invece, hanno la possibilità di ottenere finanziamenti in forma di prestiti direttamente da investitori privati. Il grande vantaggio è basato sulla rapidità di valutazione della richiesta e di elargizione dei fondi.
A differenza delle operazioni di crowdfundig, coloro che effettuano il prestito non hanno fini caratterizzanti per il progetto specifico, poiché il processo avviene tra privati tra di loro sconosciuti, dunque i prestatori sono mossi soltanto dalla volontà di ottenere una remunerazione per il prestito erogato. La piattaforma trae vantaggio dall’operazione grazie al quasi totale abbattimento di costi di intermediazione, che i soggetti coinvolti avrebbero dovuto sostenere seguendo le modalità tradizionali tramite gli istituti bancari.
Inoltre la piattaforma, non svolgendo il ruolo di intermediario finanziario, non deve farsi carico dei costi di vigilanza.
Per quanto riguardo l’utilizzo del sistema P2P, i dati elaborati dagli istituti del settore esplicitano la rapida crescita dell’intero comparto. Un indicatore di diffusione è l’indice del prestito P2P costruito dal sito web AltFi. Secondo questo indice, i volumi di prestiti P2P nel terzo trimestre 2018 in tutta l’Europa continentale, ammontava a circa 465 milioni di euro con una crescita del 10% rispetto l’anno precedente, su un complessivo totale dell’intero settore di 3,4 milardi di euro. Il Regno Unito conferma la propria leadership, con l’11% di interazioni in più rispetto al 2017 ed un valore di scambi pari a 400 milioni nell’ultimo trimestre 2017. Numeri che hanno avuto un forte pump nel 2018 ed un assestamento nel 2019, con una crescita meno esponenziale, con scambi in Europa continentale che hanno raggiunto 4,9 miliardi.
Il nostro paese sembra rispondere bene a questo nuovo mercato con un complessivo di 203.313 interazioni nel 2018 per l’ambito dei prestiti business. Nel 2019 si è assistito ad un consolidamento delle piattaforme esistenti sul mercato italiano, con un conseguente aumento dei flussi delle transazioni. In Italia il mercato del social lending non ha subito cali di rendimento nel corso dell’ultimo anno, come invece è accaduto negli altri paesi continentali. La crescita costante può essere identificata sia per la buona compliance normativa di cui gode il nostro paese, con precise regolamentazioni per le piattaforme operanti nel settore, sottoposte al controllo della Consob, della Banca d’Italia e dell’OAM, sia per la difficoltà di accesso al credito da parte dei privati e delle aziende tramite i canali tradizionali.
La disciplina del social lending, per via della sua natura dinamica e recente, ha un panorama regolamentare tuttavia ancora non perfettamente definito.
L’Unione europea, tramite la Commissione ed il Parlamento europeo, sta delineando la traiettoria normativa da intraprendere per gli anni futuri. L’Autorità Bancaria Europea (EBA), in veste di autorità di vigilanza europea competente in materia (ai sensi dell’art. 9 del Reg. n. 1093/2010), è intervenuta definendo il social lending e soprattutto tentando di ricondurre questa nuova forma di attività di finanziamento entro le normative europee e dei singoli Stati membri.
In particolare, secondo l’Autorità europea, l’attività dei gestori di piattaforme di social lending può ritenersi sufficientemente regolata qualora questi ultimi assumano la forma, e dunque si sottopongano alla disciplina, degli “Istituti di pagamento” di cui alla Direttiva 2007/64/ CE. La scelta di considerare l’intermediazione svolta dai gestori di siti di social lending come attività di prestazione di servizi di pagamento nasce dalla definizione di “servizi di pagamento” contenuta nell’Allegato della Direttiva 2007/64/CE, relativa all’identificazione dei servizi di pagamento e, segnatamente, dalla previsione per la quale tali servizi includono l’attività di “esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utente di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi”.
La Direttiva 2007/64/CE, all’art. 16, par. 2, ha previsto che “gli Istituti di pagamento possono detenere soltanto conti di pagamento utilizzati esclusivamente per le operazioni di pagamento; i fondi che gli istituti di pagamento ricevono da parte degli utenti di servizi di pagamento in vista della prestazione di servizi di pagamento non costituiscono depositi o altri fondi rimborsabili”.
La disposizione è funzionale a distinguere l’attività degli Istituti di pagamento rispetto alla tradizionale attività bancaria e a rispettare la riserva di attività stabilita in favore delle banche in materia di raccolta fondi. Infatti, a differenza delle banche, gli Istituti di pagamento non acquisiscono la proprietà dei fondi depositati, ma li detengono esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento.
La Direttiva è stata implementata in Italia con d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, e dalle relative disposizioni attuative, stabilite dal regolamento della Banca d’Italia del 17 maggio 2016, recante “Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica”, e, per quanto attiene alla trasparenza, dal regolamento della Banca d’Italia 29 luglio 2009 e successive modificazioni, recante “Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”, Sez. VI e norme in essa richiamate. Per potere agire come Istituto di pagamento e prestare servizi di pagamento è necessaria un’apposita autorizzazione, che in Italia è rilasciata dalla Banca d’Italia. Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato alla ricorrenza delle condizioni stabilite dall’art. 114-novies TUB.
In linea con la disciplina europea, la disciplina nazionale prevede che l’Istituto di pagamento, qualora svolga ulteriori attività accessorie e strumentali alla prestazione di servizi di pagamento, sia obbligato a costituire un patrimonio destinato.
Dalla panoramica generale della disciplina e del funazionamento del fenomeno del social lending, appare evidente, in definitiva, l’enorme potenzialità di questo strumento di finanza innovativa, che proietta il business delle aziende verso le frontiere ancora poco conosciute di un’economia definibile 5.0.
La repentina crescita del settore dei servizi P2P, trainata negli ultimi anni dallo sviluppo e della creazione di start up FinTech 2.0, potrebbe essere il fattore trigger determinate per la crescita delle PMI italiane, con la possibilità di ottenere credito in maniera immediata. Saranno necessari, nell’immediato futuro, framework mirati allo sviluppo ed alla conoscenza del settore, sia nazionali che europei: è importante un’adeguata educazione ai nuovi strumenti finanziari per rendere competitivo il settore imprenditoriale nazionale, cercando di recuperare i gap strutturali accumulati negli anni e ponendo le basi per impulsi concreti all’economia reale.
E’pura utopia pensare che i cambiamenti disruptive imposti dal COVID-19 in tutti settori, con la creazione di nuove esigenze socio-economiche, possano essere il trampolino di lancio per il social lending, rendendolo uno strumento di utilizzo periodico per le imprese e per i privati cittadini?
I tempi sembrano essere quelli giusti.
Dottore Commercialista, nato in Campania nel 1992.
Cresciuto didatticamente tra le Universtià di Salerno e Siena, specializzato nella disciplina delle start up innovative.
Alla continua ricerca del dinamismo economico e di nuove opportunità per le imprese.