Ormai da tempo termini quali “sostenibilità”, “resilienza”, “sviluppo sostenibile” e “efficientamento energetico” sono entrati stabilmente nel nostro vocabolario e nelle nostre espressioni, venendo usati anche e soprattutto in riferimento alle trasformazioni che avvengono intorno a noi, e che sono tra l’altro all’attenzione della comunità scientifica, e non solo di essa, per la proposizione e progettazione di linee di indirizzo praticabili, nonché per la loro verifica e traduzione in interventi concreti e orientati alla salvaguardia del pianeta in cui viviamo.
Il fine di tali azioni è nobile, perché vuole rivendicare il diritto di appartenenza degli individui alla Terra e la conservazione delle condizioni che consentono la vita e il suo continuo sviluppo e progresso.
Gli obiettivi che diversificano i percorsi, i quali devono essere quanto più possibile condotti in maniera sincronica per conseguire i risultati attesi, sono descritti puntualmente nell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile.
I mezzi sono, per il momento e limitando lo sguardo al continente europeo, quelli previsti dal New European Bauhaus e dal Green New Deal europeo, quelli elencati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e quelli già previsti ed inseriti in documenti di interesse nazionale e sovranazionale quali Carte internazionali, Regolamenti, norme ed altri dettati.
Sono infatti proprio la vita e il suo sviluppo e progresso in relazione all’ambiente e al territorio a cui essi si sono adattati i fattori principali che ci consentono oggi di godere della bellezza risultante dall’attività antropica che si è sviluppata e ha lasciato traccia della propria esistenza nel corso dei millenni passati, stratificandosi e trasformandosi, anche eventualmente riadattando a nuove esigenze la destinazione d’uso di volumi costruiti e di oggetti di varia tipologia.
Vale la pena riflettere su come l’Italia, naturale crocevia geografico degli scambi commerciali e delle alternanze fra le culture dominanti nel continente Europeo e nelle aree nordafricana e microasiatica, conservi entro e fuori terra oggetti e costruzioni uniche a livello mondiale per la loro varietà, stratificazione, contaminazione stilistica, costituzione materica.
Questo Patrimonio culturale, poliedrico per la sua propria natura e per le influenze che esso produce anche sugli assetti urbanistici dei centri abitati e sul paesaggio, è disseminato lungo tutto il territorio nazionale e un’importante porzione di esso è ancora oggi a noi occulta o non completamente chiara e leggibile.
Si ritiene che sia ormai urgente e indispensabile la proposizione forte e ragionata di un cambio di rotta in riferimento all’attenzione sui Beni Culturali e alla loro percezione, in modo da facilitare il ri-conoscimento da parte degli individui di quella parte di loro stessi che è abituata a determinati usi e consuetudini, ma che probabilmente ha perduto memoria delle motivazioni per cui certi usi e consuetudini sono tali.
È fondamentale riuscire a guardare e comprendere le testimonianze del nostro passato, ri-scoprendole, ri-conoscendole, ri-apprezzandole non solo per ciò che evocano ma soprattutto per il ruolo che possono giocare attualmente come volàno per lo sviluppo sostenibile urbano ed extra urbano, in accordo con gli obiettivi, percorsi e mezzi citati in apertura del presente contributo.
Non appare peregrino considerare che perseguendo un approccio di questo tipo i Beni Culturali diverrebbero un appetibile “biglietto da visita” non solo per il territorio e per i centri urbani ma anche per i vari stakeholders, catalizzando il turismo culturale. Non solo: il ragionamento e il lavoro sui Beni Culturali può essere un importante elemento da considerare per la messa a punto di un valido modello di occupazione lavorativa puntuale sul territorio per giovani opportunamente formati e in possesso delle competenze richieste per operare nella filiera della conservazione.
Ma prima delle competenze e ancor prima della formazione, appare fondamentale porre in essere quelle azioni che, appunto, riescano a alzare l’attenzione e la sensibilità degli individui sul tema qui discusso.
Prima dello studio, è fondamentale che si accenda (o che si ri-accenda) il fuoco davvero sacro della sana curiosità, oltre che quello della passione e dell’orgoglio per ciò che testimonia il passato del territorio in cui viviamo.
Roberta Giacometti è Chimico del restauro ed è iscritta all’Elenco MiBAC degli Esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai Beni Culturali,. Nata a Treviso, ha conseguito la Laurea triennale in Scienze e tecnologie chimiche per la conservazione e il restauro nel 2005 presso l’Università Ca’Foscari di Venezia. Le sue pubblicazioni inseriscono la cultura chimica in un contesto divulgativo tecnologico e di storia locale, collegandola a temi legati al restauro soprattutto architettonico e ad antichi mestieri di cui al patrimonio immateriale. Collabora con Restauratori e altri Professionisti dei Beni Culturali e in generale con Professionisti Tecnici. È attualmente Consigliere della Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici.