Il Partito Comunista Cinese e la sua prospettiva futura sulle relazioni con gli USA

Il saggio di un ex membro del Partito Comunista Cinese ci fornisce lo sguardo storico, con gli occhi di un insider, del punto di vista di Pechino sulle relazioni con gli Stati Uniti

 

L’Hoover Institution dell’Università di Stanford è un think tank di politica pubblica statunitense di rilevanza mondiale; la direttrice del gruppo di ricerca è Condoleezza Rice.

Il progetto dell’Hoover Institution on China’s Global Sharp Power ha pubblicato un nuovo saggio di Cai Xia, dissidente ed ex professore alla Central Party School del Partito Comunista Cinese (PCC), che rappresenta un resoconto, di un insider, della visione storica del mondo del PCC e rivela l’attuale prospettiva dei leader di Pechino riguardo le loro relazioni con gli Stati Uniti.

Cai ripercorre la storia recente delle relazioni USA-Cina, a partire dalla politica di impegno avviata dagli storici incontri del presidente Richard Nixon con il presidente Mao Zedong e il premier Zhou Enlai nel 1972; attraverso le politiche riformiste di Deng Xiaoping degli anni ’80; all’attuale convinzione del PCC sotto Xi Jinping nella sua inevitabile ascesa sugli Stati Uniti.

L’autore descrive come la politica di impegno americana fosse basata sulla convinzione di Nixon che se la Cina non fosse stata integrata nella comunità mondiale, sarebbe diventata una minaccia a lungo termine per la sicurezza globale. Inoltre, legami più stretti con la Cina avrebbero rafforzato la posizione geostrategica dell’America nella competizione della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica. Nixon e i suoi successori sostenevano, anche, che l’esposizione all’Occidente avrebbe potuto aiutare a produrre la liberalizzazione politica, economica e sociale in Cina.

Tuttavia, Cai precisa che i leader del PCC hanno avuto una visione diversa e hanno sempre nascosto le loro intenzioni.

Deng Xiaoping ha solo allentato la politica estera della Cina allo scopo di ricostruire la sua economia. Dopo la mortale repressione delle proteste di Tiananmen nel 1989 e il crollo dell’Unione Sovietica, spiega che il PCC ha riformulato la sua strategia interna e internazionale.

Consapevole che alla Cina mancava la capacità di incontrare gli Stati Uniti su un piano di parità, Deng ha articolato la dottrina del “nascondere la nostra capacità e aspettare il nostro tempo” (taoguang yanghui), che i leader del PCC hanno generalmente attuato fino alle Olimpiadi di Pechino del 2008.

L’ex membro del PCC sostiene che quando il presidente Xi Jinping ha preso il potere nel 2012, i sentimenti ultranazionalisti stavano iniziando a diffondersi all’interno del partito.

Xi ha sfruttato questo fervore consolidando il potere e proiettando la sua visione del mondo aggressiva, autoritaria e arrogante.

Questo atteggiamento, unito all’insicurezza di fondo sul futuro della sua legittimità politica, ha portato il PCC a commettere gravi violazioni dei diritti umani come il genocidio dei musulmani uiguri nello Xinjiang e ad aumentare le tensioni nel Mar Cinese Meridionale, nel Mar Cinese Orientale e lo stretto di Taiwan.

Il PCC, spiega Cai, è passato all’offensiva anche attraverso una pervasiva propaganda e operazioni di influenza dirette a università, media, finanza e altre istituzioni negli Stati Uniti e in altre democrazie mondiali.

La diplomazia di Pechino è diventata, addirittura, più conflittuale, in particolare durante la pandemia di COVID-19, quando ha accusato gli Stati Uniti di responsabilità per la diffusione del virus.

Cai Xia precisa ai politici statunitensi che le relazioni con la Cina sarebbero, in gran parte, destinate ad essere definite dallo stallo e dal confronto perché il Partito Comunista Cinese è per natura totalitario, belligerante, imprevedibile e non disposto a seguire le norme di un ordine democratico basato su regole.

Allo stesso tempo, conclude, che il regime del PCC è una “tigre di carta” anche se vorrebbe considerarsi un “drago affamato”.

Le sue vulnerabilità includerebbero un modello economico insostenibile e alti livelli di debito; un sistema di proprietà a doppio binario incompatibile tra il mercato e lo Stato; l’allargamento delle disparità sociali; la corruzione continua; e le feroci lotte intestine per la successione al potere politico supremo.

I leader statunitensi dovrebbero quindi, per lo storico, essere preparati alla disintegrazione del PCC.

Ciò significa continuare a sostenere la società civile cinese e i riformatori all’interno del partito in modo da realizzare la pacifica trasformazione democratica della Cina.

“Il saggio di Cai è di grande importanza storica e politica”, afferma Larry Diamond, membro anziano di Hoover, presidente del progetto sul potere globale della Cina.

“Per la prima volta, abbiamo una figura importante all’interno del sistema del Partito Comunista Cinese che conferma coraggiosamente ciò che molti studiosi statunitensi della Cina hanno recentemente sostenuto: i leader del PCC non hanno mai visto l’impegno cooperativo con gli Stati Uniti come qualcosa di più di una tattica temporanea per consentire loro di accumulare la forza per perseguire il dominio regionale e globale”.

La Cina di oggi è un regime neo-totalitario incline alla “soppressione interna e all’espansione esterna”, sostiene Cai, e gli Stati Uniti devono non solo resistere al suo cattivo comportamento, ma sostenere elementi della società civile cinese che cercano un cambiamento democratico”.

Qui si può rivedere la famosa intervista di Milton Friedman circa la sua opinione sulla Cina.

Articoli correlati

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto