Il M5S non ha ancora governato e ha già fallito. Si tratta di un record imbattibile. Il motivo del fallimento è semplice da spiegare: il M5S, ideato voluto e fondato dall’informatico Gianroberto Casaleggio, è un movimento anti-politico che ha come suo scopo la fine della politica e siccome la politica nei suoi limiti è un momento insostituibile della realtà ne deriva che il M5S in un regime anche vagamente liberale, come l’italiano, è destinato al fallimento.
La goffaggine di Luigi Di Maio, manifestata nelle trattative per la formazione del governo ne è una prova provata. La goffaggine, infatti, non è il frutto del caso ma del progetto di ingegneria sociale che caratterizza la creatura di Casaleggio e di Grillo di cui i deputati con le stellette sono solo gli interpreti, le controfigure, le maschere. Di Maio è goffo perché ha il 32 per cento dei consensi. Dategli il 51 o la maggioranza parlamentare e sarà uno splendido Applicatore o Sviluppatore e l’Ingegnere delle anime.
È sbagliato vedere la figura di Di Maio come quella di un ragazzino capriccioso e ambizioso che vuole a tutti i costi diventare presidente del Consiglio. Tutto sommato proprio l’ambizione è un tratto personale – umano, a volte troppo – che è l’unico elemento politico della maldestra interpretazione del deputato di Pomigliano d’Arco. Il profilo particolare della recita di Di Maio, che ne manifesta la natura anti-politica, è il tentativo quasi compulsivo e maniacale di “contrattualizzare” la politica e il governo. Qui anche il paragone del celebre “contratto con gli italiani” di Silvio Berlusconi non regge perché la trovata retorico-televisiva di Berlusconi era rivolta all’intesa occhiuta con gli elettori mentre il contratto dell’azienda-partito delle Cinque Stelle è rivolta agli altri partiti nel tentativo di vincolare ad un’amministrazione l’azione dell’esecutivo (a sua volta poi il caso del governo tedesco, troppe volte richiamato, è semplicemente fuor di luogo).
Il convincimento della necessità della stipula di un contratto con le altre forze politiche non è un’idea di Di Maio ma della Casaleggio Associati che mira così ad introdurre il primato della tecnica e dell’amministrazione e soprattutto dell’informatica sull’azione politica sottoponendo in tal modo la democrazia rappresentativa alla sudditanza verso l’ordinamento giudiziario, la dirigenza ministeriale e l’occhio tecnologico.
Questa idea ingegneristica della politica – da sempre presente nell’azienda di Casaleggio – è, purtroppo, in linea non solo con la forza delle burocrazie e delle magistrature sulla debolezza parlamentare ma anche con quella mezza cultura della società di massa che da un lato beneficia delle libertà e delle produzioni della “società aperta” e dall’altro crede che sia necessario governarla ricorrendo ad una malintesa idea di Stato amministrativo che si lascia catturare da tecniche di controllo come l’informatica, la magistratura, l’amministrazione.
Per questo motivo il fenomeno del movimento di Casaleggio e di Grillo non è un’avventura di passaggio ma è l’aria che si respira e, dunque, non è destinato a finire in tempi brevi nonostante le ripetute prove fallimentari. Del resto, visto così il M5S non è la Terza Repubblica ma il frutto senile della Seconda o, se si vuole, la estrema degenerazione della Prima svuotata del primato politico della partitocrazia e orfana di una seria riforma di sistema. Non è per nulla un caso che la cultura politica delle Cinque Stelle sia nella sostanza contraria all’economia di mercato mentre si sposa con lo statalismo in cui lo Stato sotto forma ora di giudice e ora di dirigente diventa la soluzione di ogni problema economico, politico e morale mentre proprio lì, nello Stato quale forma monopolistica della violenza e dei permessi e dei divieti e delle concessioni e delle licenze, si annidano i problemi della nostra fragile società libera o aperta.
La politica altro non è che un’azione posta a salvaguardia delle nostre libertà. Sta a noi non chiedere alla politica ciò che essa non può dare pena la perdita della sovranità individuale. La versione contrattualistica della politica delle Cinque Stelle – che scimmiotta i concetti più equivoci di un filosofo giacobino e tendenzialmente totalitario come Rousseau – mira esattamente a questo: a ridurre, sulla scorta di una concezione amministrativa dello Stato, la nostra libertà con il nostro consenso.
Ecco perché chi entra nel M5S deve vincolarsi mani piedi e anima all’azienda -partito e se dissente – cioè esercita la libertà – ne è espulso con un processo farsa in cui è indicato come un traditore della Causa. È evidente il potenziale totalitario dell’azienda-partito-movimento di Casaleggio che è in conflitto con la democrazia liberale.
Fino a quando le nostre libertà istituzionali e civili sono in piedi, il M5S è destinato a fallire proprio perché è messo alla prova; ma è una prova – bisogna esserne consapevoli – che conferma il pericolo antidemocratico di un movimento politico-informatico che mira ad essere l’Ingegnere delle anime.