L’interesse verso il libro del generale Roberto Vannacci Il mondo al contrario e l’invito rivoltogli da scuole e associazioni per confrontarsi con lui, non si coniugano in genere con l’esigenza di valutare criticamente le sue tesi.
Il generale sembra riprendere, pur con qualche riserva, il libro che Madison Grant pubblicò nel 1916 col titolo Il tramonto della grande razza (The passing of the great race).
L’avvocato americano, naturalista e teorico dell’eugenetica e del razzismo, denunciava la decadenza della “razza bianca” a causa della diffusione di neri e di asiatici, ma non solo. Il primato dei nordici, da lui ritenuti i testimoni autentici dei valori della “razza” superiore, era a suo avviso minacciato anche dai popoli mediterranei, come gli spagnoli, i greci e gli italiani. Questo potrebbe suscitare qualche perplessità nel generale. Grant proponeva inoltre di sterilizzare non solo i criminali o i disabili, ma anche quanti appartenessero a “razze” da lui considerate inferiori. Le sue idee furono prese in seria considerazione, come dimostra il fatto che la sterilizzazione di soggetti disabili fu attuata e che nel 1924 l’Immigration act limitò l’accesso negli Stati Uniti agli italiani, agli asiatici e agli ebrei. Qualche tempo dopo Adolf Hitler avrebbe dichiarato di considerare The passing of the great race come la sua Bibbia. Grant si sarebbe sentito sicuramente a disagio di fronte a segretari di stato come Colin Powell o Condoleezza Rice o a un presidente come Barack Obama. Non avrebbe infatti riconosciuto in loro i tratti nordici del buon americano, come Vannacci, non ritrova in Paola Egonu il profilo italico.
I toni che caratterizzano il libro del generale hanno dato voce a quanti si accostano a situazioni complesse con atteggiamenti più reattivi che critici. Quando Vannacci scrive ad esempio che sentirsi un cittadino del mondo significa svilire le radici e la tradizione, il sangue e il suolo, sa bene che queste espressioni, in determinati ambienti, susciteranno l’applauso. Non stupisce allora che abbiano destato grande interesse nella destra radicale, da sempre sensibile al richiamo dello slogan Blut und Boden (sangue e suolo). Il mito della razza e dell’appartenenza al luogo natio, legato al concetto di “comunità di popolo”, fu alla base della propaganda nazista ed è caro ai nazionalisti, che accusano l’universalismo di minacciare l’ identità etnica. A questa identità si richiama il generale, nella convinzione che un paese rinuncia ai suoi valori nel momento in cui si apre al meticciato, oggi sempre
più diffuso nelle società contemporanee.
Alla luce di queste considerazioni, Vannacci può scrivere che la pallavolista Egonu, cittadina italiana dal 2014, non possiede i caratteri somatici tipici degli italiani dagli Etruschi ai nostri giorni. Questa “incongruenza” deriverebbe in sostanza dall’incapacità di arginare i flussi migratori. Come dire che un processo storico, lo spostamento di popolazioni su scala planetaria, debba essere affrontato in termini esclusivamente securitari.
Egonu, e tanti come lei, testimoniano una realtà in cui si intrecciano culture diverse, rendendo la cittadinanza un valore che oltrepassa una visione rigida dell’etnia. Al multiculturalismo è certamente connesso il rischio, evidenziato da Vannacci, che le diverse identità si radicalizzino, entrando in conflitto tra loro e con le società in cui vivono. Questo rischio era ben noto anche a Giovanni Sartori, il quale coglieva la tendenza di molti gruppi minoritari a sentirsi titolari di diritti e di interessi superiori rispetto alla loro reale consistenza. Può infatti accadere che le politiche del riconoscimento e le diverse modalità di “trattamento preferenziale”, tutelando singoli o comunità, facciano venir meno la dimensione generale delle norme. All’universalismo si sostituisce così un particolarismo giuridico e un conflitto tra comunità che può anche creare dei “controcittadini”. Al modello multiculturale, che tende a favorire ghettizzazioni, Sartori non contrapponeva di certo la soluzione securitaria, ma l’interculturalismo. In una cornice di principi costituzionali validi per tutti, il pluralismo interculturale promuove infatti l’integrazione senza sfociare nello scontro.
Il generale scrive di sentire scorrere nelle sue vene il sangue di Enea, di Romolo, di Cesare, e si mostra particolarmente sensibile alla classicità e alla tradizione cristiana. Potrebbe provare però qualche difficoltà nel prendere atto che il concetto di humanitas,
che abbiamo ereditato dall’antichità classica e che il cristianesimo ha arricchito, è giunto a noi anche grazie a Terenzio, uno schiavo tunisino e ad Agostino d’Ippona un algerino, solo per citare due casi tra i più noti a tutti. Dovrebbe ammettere inoltre che l’impero romano e la chiesa sarebbero impensabili senza il meticciato e l’ibridazione culturale. La pretesa di difendere ossessivamente la “purezza” non appartiene alle grandi civiltà, ma agli apparati distopici dei totalitarismi e ai loro dispositivi paranoici di immunizzazione. Lo storico francese Johann Chapoutot ha scritto che, nelle aule universitarie della Germania nazista, Zenone di Cizio, il fondatore della stoicismo, fu indicato come uno dei principali responsabili della decadenza dei valori nordico-ellenici a causa della sua origine semitica.
Considerandosi, come ogni stoico, cittadino del mondo in quanto parte di una ragione universale, Zenone era visto infatti con sospetto in un ambiente in cui anche il cosmopolitismo di Kant confliggeva con l’identificazione di razza e cittadinanza.
Il timore che la tutela delle minoranze e la particolarizzazione dei diritti possa creare delle discriminazioni nei confronti della maggioranza, porta Vannacci a condannare senza appello quanti non rientrano nei parametri che a suo avviso definiscono la normalità. In quanto generale, Vannacci si trova però ad esercitare il suo comando su militari del tutto liberi di manifestare scelte di vita e orientamenti sessuali da lui non considerati “normali”. Le tesi sostenute nel libro non possono essere oggetto di censura in una democrazia liberale, ma vanno valutate criticamente sul piano delle idee.
Come si fa tuttavia a non tener conto che le opinioni del generale si traducono, nell’esercizio del suo ruolo, in una pratica discriminatoria?
Le democrazie hanno da sempre garantito la libertà di espressione e arginato, al tempo stesso, il potere talora tirannico della maggioranza. Come ha sostenuto Karl Popper, il teorico della “Società aperta”, la tolleranza verso tutte le posizioni non può essere però estesa a quanti, con le loro idee e il loro agire, dimostrano di alimentare l’intolleranza e la discriminazione.
È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.