L’insoddisfazione per i risultati delle nostra scuola è generale. Ma forse c’è da domandarsi che cosa abbiamo noi chiesto alla scuola. Avevamo una scuola borghese che si basava sulla disciplina degli allievi e sul rispetto dell’autorità degli insegnanti. Creava emulazione tra gli studenti sottoponendoli a sforzi intellettuali e ad apprendimenti, anche mnemonici, di metodi e di nozioni. Il sistema di valori richiedeva il rispetto del prossimo ma anche la prevalenza, come in agone sportivo, delle capacità intellettuali dimostrate; in sostanza si affermava quotidianamente nei voti l’esistenza di una disuguaglianza, voluta dalla natura o dalle origini familiari, tra i risultati dei diversi allievi.
Questa scuola non piaceva più. Mi vengono immediatamente alla memoria tre nomi: don Lorenzo Milani, Maria Montessori e Gianni Rodari. Con la spinta ideale di questi tre personaggi, abbiamo scoperto che la scuola doveva mirare al recupero di tutti gli allievi, che il treno della classe si doveva adattare al vagone più lento. Quindi via le materie difficili: ad esempio la traduzione in latino, che imponeva preliminarmente l’analisi logica del periodo, necessaria per qualsiasi corretta esposizione in italiano (e poi siamo stupiti delle scarse capacità espositive anche nella lingua italiana). Poi abbiamo detto che bisognava valorizzare la creatività: ne conseguiva il mancato rispetto delle convenzioni, dell’autorità dell’insegnante, della disciplina; non possiamo meravigliarci di chi oggi non crede nelle indicazioni della scienza ed è convinto che uno vale uno. Infine abbiamo sostenuto che si dovevano eliminare le disuguaglianze e le competizioni che alle stesse conducono; il risultato è una scuola di amichevoli compagnoni, in attesa di andare in discoteca ma non certo di giovani pronti al sacrificio per raggiungere risultati e al rischio. Ferma restando la garanzia del reddito di cittadinanza, nessuno aspira a posizioni che possano essere oggetto di invidia sociale, se non nello sport e nello spettacolo.
Concluderei dicendo che la scuola ci sta offrendo ciò che le abbiamo chiesto. Prima formava competenze e quadri in una organizzazione borghese della società. Ora mette a disposizione della società una collettività di uguali senza stimoli competitivi e con competenze più modeste, dovute al minor impegno richiesto dai corsi di apprendimento; in questo disegno, si affermano comunque coloro che sono particolarmente dotati dalla natura, che proseguono isolati, nonostante l’invidia dei compagni, nel campo della ricerca o dell’imprenditoria.
Se vogliamo risultati diversi, soprattutto per conservare il ruolo del nostro paese nei confronti internazionali, dobbiamo reintrodurre autorevolezza del docente, difficoltà nelle materie studiate e selezione degli allievi: i principi che abbiamo cancellato. Il pensiero dei tre personaggi sopra citati deve essere reso compatibile e subordinato a questi principi.
In Banca d’Italia dal 1965, prima ai Servizi di Vigilanza sulle aziende di credito, poi, da dirigente, con responsabilità di gestione delle strutture organizzative, dell’informatica e del personale; dal 1996 Segretario Generale della Banca, con responsabilità del personale, delle relazioni sindacali, dell’informatica, delle rilevazioni statistiche e ad interim della consulenza legale. Cessato dal servizio nel 2006.
Già rappresentante italiano dal 1989 presso l’Istituto monetario europeo (Basilea) e poi presso la Banca Centrale Europea (Francoforte) per i problemi istituzionali e l’organizzazione informatica. Inoltre rappresentante sempre a partire dal 1989 presso il G20, Banca dei Regolamenti Internazionali, come esperto informatico.
Autore e coautore di pubblicazioni sull’ordinamento bancario, sulle economie di scala e sugli effetti dell’informatizzazione. Ha organizzato presso la Fondazione nel gennaio 2015 il convegno sulla situazione carceraria in Italia.