Quando leggo che a fronte di un debito dello Stato, per spese correnti o investimenti, si vanno a gravare le future generazioni, trovo difficoltà a comprendere.
La spesa pubblica sottrae possibilità di consumo o investimento alla spesa privata con la quale entra in concorrenza. Lascio ai keynesiani più o meno ortodossi di sviscerare sulle diverse conseguenze sul reddito della spesa corrente o dell’investimento. Resta il fatto che all’atto della spesa pubblica si sottraggono al privato possibilità di consumo o investimento. Ma si sottraggono al privato contemporaneo, non alle future generazioni, e il privato contemporaneo riceverà n contropartita dei titoli di credito.
Che cosa accadrà alle future generazioni? Queste erediteranno i titoli di credito, dai quali riceveranno interessi a meno che vogliano farsi rimborsare a scadenza. Lo stato pagherà con le tasse gli interessi o i rimborsi: vi sarà, a cura dello stato, un passaggio di ricchezza o di reddito dai contribuenti ai detentori dei titoli, in sostanza una redistribuzione, come di redistribuzione si è trattato al momento dell’accensione del debito. A parità di ricchezza e reddito generali non vi è stata nessuna spoliazione intergenerazionale; se poi, keynesianamente, il debito ha portato a una crescita del reddito, le future generazioni trarranno da tutto quanto descritto un notevole beneficio.
Il debito consente di destinare a esigenze pubbliche il prodotto contemporaneo, al quale rinunciano altri contemporanei. La rinuncia può avvenire attraverso l’imposta o, come detto, col debito. Se avviene col debito essa consente a eredi detentori del credito delle future generazioni di ottenere una redistribuzione a proprio vantaggio, che potrà essere a carico di loro contemporanei pagatori di imposte, in una condizione di reddito, si spera, cresciuto.
Sono comunque redistribuzioni infragenerazionali, non intergenerazionali.
Semmai vale la pena di approfondire l’aspetto della nazionalità di chi rinuncia a proprie scelte di consumo o investimento per sottoscrivere i titoli emessi all’accensione del debito. Se i titoli vengono collocati in parte all’estero, si ha la possibilità di trasferire all’emittente risorse estere per spese correnti o investimenti, ne’ più ne’ meno di quando una società emette azioni o obbligazioni collocate all’estero. Il risultato dipende da come vengono utilizzate queste risorse.
Per le generazioni future si porrà il problema degli interessi e dei rimborsi, da corrispondere nei confronti di creditori interni o esterni analogamente a quanto avviene per le società private con i detentori di azioni e obbligazioni. Si tratta, come già detto, di trasferimenti infragenerazionali, che vengono temuti se effettuati verso detentori esteri. Però, se le risorse a suo tempo ricevute sono state ben impiegate non c’è un particolare fardello, anzi i benefici degli investimenti fatti compenseranno ampiamente le risorse per interessi e rimborsi. Il debito di un paese che funziona è appetito da tutti: i cinesi si tengono il debito americano.
Per concludere, le generazioni future si possono lamentare solo se il debito è sprecato in consumi senza generare moltiplicatore del reddito e se il debito è stato finanziato da creditori esterni, sempre che l’inflazione non se lo sia mangiato.
In Banca d’Italia dal 1965, prima ai Servizi di Vigilanza sulle aziende di credito, poi, da dirigente, con responsabilità di gestione delle strutture organizzative, dell’informatica e del personale; dal 1996 Segretario Generale della Banca, con responsabilità del personale, delle relazioni sindacali, dell’informatica, delle rilevazioni statistiche e ad interim della consulenza legale. Cessato dal servizio nel 2006.
Già rappresentante italiano dal 1989 presso l’Istituto monetario europeo (Basilea) e poi presso la Banca Centrale Europea (Francoforte) per i problemi istituzionali e l’organizzazione informatica. Inoltre rappresentante sempre a partire dal 1989 presso il G20, Banca dei Regolamenti Internazionali, come esperto informatico.
Autore e coautore di pubblicazioni sull’ordinamento bancario, sulle economie di scala e sugli effetti dell’informatizzazione. Ha organizzato presso la Fondazione nel gennaio 2015 il convegno sulla situazione carceraria in Italia.