Il 25 Settembre 2019, la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’aiuto al suicidio, ritenendo, in attesa di un indispensabile intervento del legislatore “non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile”.
La decisione riguarda la vicenda di Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, accompagnato da Marco Cappato, esponente radicale nonché membro dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, in una clinica in Svizzera il 28 Febbraio 2017, dove il Dj decise di morire mediante suicidio assistito.
Il giorno dopo, lo stesso Cappato venne indagato per aiuto al suicidio, reato previsto dall’articolo 580 del codice penale, in seguito all’autodenuncia ai carabinieri.
La sentenza della Consulta ha creato uno storico precedente, mettendo ancora una volta pressione sul Parlamento affinché legiferi in materia di eutanasia e suicidio assistito.
Prevedibile quanto oscena la reazione del mondo cattolico. Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ha blaterato di “cultura della morte”, invitando i medici all’obiezione di coscienza poiché “il medico esiste per curare le vite, non per interromperle”. Immediata la risposta dei medici obiettori. L’Amci, l’associazione medici cattolici italiani, ha reso noto che ci sono “almeno 4mila medici cattolici pronti a fare obiezione di coscienza” nel caso il Parlamento “legiferasse a favore del suicidio medicalmente assistito”.
Luciano Cadelano, chirurgo del policlinico Umberto I di Roma, sostiene che “tra il 75 e l’80 per cento dei colleghi diranno no per questioni morali, ideologiche e religiose ma soprattutto perché non vorranno essere additati come i dottor Morte”, confermando, difatti, le minacce avanzate dall’Amci.
In effetti, il nostro Paese è da tempo abituato alle reazioni scomposte e anti-democratiche della Chiesa cattolica di fronte a ogni tentativo di apertura a tematiche etico-sociali di vario genere.
Si pensi, rimanendo in tema eutanasia, a Piergiorgio Welby, giornalista e attivista italiano, affetto da distrofia muscolare dall’età di 16 anni e dal 1997 attaccato a un respiratore automatico, morto il 20 Dicembre 2006 tramite interruzione della respirazione assistita e previa somministrazione di sedativi. In quel caso, il Vicariato di Roma negò a Welby i funerali mediante rito religioso, richiesti dalla moglie cattolica Mina Welby, poiché morto suicida. La stessa Chiesa che non batté ciglio quando si trattò di celebrare le esequie di Vittorio Casamonica, il boss “Re di Roma”, la cui salma fu accompagnata da cavalli, Rolls-Royce, elicottero e musica del padrino.
Se, da un lato, a mafiosi e dittatori viene riconosciuto il diritto di riposare in pace e di morire nel proprio letto (si ricordi il “Grande” Giovanni Paolo II il quale, nel 1999, quando Pinochet venne arrestato in Gran Bretagna per essere estradato in Spagna, scrisse una lettera di solidarietà volta a esercitare pressioni sulle autorità inglesi al fine di bloccare l’estradizione), dall’altro, chi è costretto a “vivere” una vita confinato in un letto d’ospedale attaccato a una macchina, chi decide di mettere fine alle proprie sofferenze poichè impossibilitato a camminare, sorridere, muovere le mani o parlare, è destinato, secondo l’umanissima Chiesa cattolica, alla dannazione eterna, generando forti dubbi circa gli strani meccanismi che regolano questa singolare giustizia divina.
E la politica? Già, la politica. Il Primo Ministro Conte, l’elegante e raffinato centrista con il fazzoletto da taschino a tre punte, burattino diventato uomo, come Pinocchio, dubita che esista un diritto alla morte, intervenendo “da giurista e da cattolico”. Vabbè, potremmo dire, il premier Conte non è né di destra né di sinistra, pertanto cerca di accontentare tutti, cattolici inclusi.
E la sinistra? Già, la sinistra. Il Partito Democratico, sedicente soggetto politico di centro-sinistra, dunque difensore (almeno sulla carta) del laicismo e del principio di laicità dello Stato sancito dalla Costituzione italiana, ha di recente accolto a braccia aperte Beatrice Lorenzin, politica contraria ai matrimoni omosessuali, alle adozioni gay, alla fecondazione assistita, all’utero in affitto e alla pillola abortiva presso i consultori. Inoltre, da Ministro della Salute, la Lorenzin permise ai medici di applicare l’obiezione di coscienza sul testamento biologico. Alla luce di tutto questo, cosa ci fa Beatrice Lorenzin in un partito di centro-sinistra?
Ancora più imbarazzante è stato il post su Facebook dello stesso Partito Democratico all’indomani della presentazione di benvenuto della Lorenzin, il quale ha fatto riferimento a un non meglio precisato “cattolicesimo democratico” su cui “costruire un partito aperto, plurale”.
In ogni caso, è quantomeno lecito ritenere che, se a un certo punto della storia politica italiana, Beatrice Lorenzin e Laura Boldrini, la prima agnello di Dio partorito dal conservatorismo di destra, la seconda pasdaran femminista nonché fiore all’occhiello di certi socialisti democratici, si ritrovano all’interno dello stesso partito, probabilmente quel partito non ha più senso di esistere.
Il caso Dj Fabo ha permesso di ricordarci, ancora una volta, il vero volto della Chiesa cattolica: conservatore, oscurantista, moralista e profondamente autoritario.
Decenni di secolarismo, iniziato oltre duecento anni fa con la rivoluzione illuminista, hanno permesso di circoscrivere e marginalizzare il potere Vaticano ma, evidentemente, non è bastato: la Chiesa perde il pelo ma non il vizio. E no, non esiste nessun “cattolicesimo democratico”.