La vicenda del rinnovo contrattuale di Fabio Fazio è un classico caso di scuola italiana che va al di là della questione-stipendio. Riguarda la legge, la Rai, il canone e, dulcis in fundo, l’anticapitalismo ovvero la cultura dello sputo nel piatto in cui si mangia.
Fazio è il sacerdote televisivo del buonismo e un profeta dell’antiberlusconismo. Tuttavia, il suo contratto da 2,2 milioni di euro a stagione per circa 11 milioni in quattro anni è stato sottoscritto in deroga alla legge 198 del 2016. In altri tempi si sarebbe parlato di legge ad personam.
Come è possibile, infatti, che il buonista, il legalitario e antiberlusconiano Fazio sottoscriva un contratto con una legge che per gli altri si applica – ad esempio Lucia Annunziata che ha chiesto un taglio dello stipendio per adeguarlo al limite dei 240 mila euro – e per lui si interpreta facendola di fatto funzionare come una legge ad personam?
Evidentemente, il valore “artistico” del conduttore è molto alto e tale da essere giudicato non tramite la legge ma con la legge di mercato, tanto che lo stesso direttore generale della Rai, Mario Orfeo, lo ha definito un “pezzo pregiato” insieme con Piero Angela e Carlo Conti.
Il direttore Orfeo e il conduttore Fazio hanno senz’altro delle ottime ragioni: per il primo queste ragioni si chiamano ascolti e pubblicità, per il secondo si chiamano compenso adeguato ai guadagni pubblicitari. Tutto molto ragionevole. Però, le ragioni diventano torti quando entra in scena la Rai come “servizio pubblico”.
Delle due l’una: o la Rai fa servizio pubblico e, allora, non segue la televisione commerciale, o la Rai segue la dinamica commerciale e non fa servizio pubblico.
Il caso Fazio fa cadere definitivamente questa ipocrisia di Stato. Se la Rai per legge è servizio pubblico ma di fatto non lo è – tanto che il parere dell’avvocatura dello Stato, con cui si attua la deroga, vale più della sovranità popolare – allora i contribuenti (tutti gli italiani) che pagano il canone, attraverso l’atto forzoso della bolletta elettrica, hanno il diritto di non pagarlo. È la conseguenza più diretta del caso Fazio. L’aspetto più interessante della vicenda è, però, l’ultimo che tutta la riassume.
Fazio nella sua trasmissione, che passerà da RaiTre a RaiUno, non perde mai occasione per esprimere una cultura anticapitalista in cui la libertà di mercato, l’impresa, l’antiegualitarismo che è della vita morale e delle cose stesse sono dipinti come il Male, mentre l’egualitarismo, il sentimentalismo, il fiscalismo, l’ecologismo e anche la climatologia come scienza cosmologica sono presentati come il Bene.
Ora tutta questa messa in scena da studio televisivo del politicamente corretto è dissolta dal retroscena in cui appare la figura tipica dell’ideologia italiana: il pisciatore in carrozza. Fabio Fazio, da perfetto arcitaliano, con la sua messa cantata è uso fare la predica agli italiani.
Naturalmente, predica che lui stesso non pratica.
È tipico di tutti gli anticapitalisti che arricciano il naso e di tutti i critici del libero mercato parlare male del capitale e del mercato, ma all’atto pratico fanno valere le leggi di mercato e capitalizzano.
Anche questa storia dei capitalisti anticapitalisti – cioè della falsa coscienza della cultura comunista e cattolica che vuole i benefici del capitalismo con la protezione dello Stato – è giunta al capolinea.
I pisciatori continuino pure a pisciare ma scendano dalla carrozza (dal carrozzone e dalla Rai-servizio pubblico).