Dopo l’allargamento a 27 l’Unione Europea si caratterizza per una aggregazione di stati molto eterogenei per lingua, storia, costumi, economia e obiettivi. Può essere considerata zona di libero scambio di merci, servizi, capitali e lavoro. Grazie alla BCE ha una moneta comune che costringe i 19 stati aderenti a una regola ortodossa di condotta monetaria. Non riesco a vedere negli ultimi anni nuovi elementi di integrazione.
Lo sforzo fatto, in occasione della pandemia, nella ricerca dei vaccini e nella messa a disposizione, a favore degli stati in difficoltà tra i quali il nostro, di fondi con prestiti europei sembra chiudersi nel più che commendevole solidarismo, ma non mi pare raggiunga un significato politico.
Gli obiettivi dei 27 sono molto diversi. A est gli stati cercano anzitutto una protezione, che in particolare richiedono agli Stati Uniti e alla Nato, contro lo storico nemico, temuto invasore, la Russia; l’Europa offre a questi stati la possibilità di ottenere contributi economici e uno sbocco per i propri lavoratori in cerca di occupazione. Usciti dalla gabbia dell’Unione Sovietica, i paesi dell’est non vogliono interferenze nelle loro decisioni sovrane e hanno per lo più rifiutato l’unione monetaria.
All’ovest abbiamo grosso modo due posizioni. Una è quella dei paesi del nord (germano/scandinavi), che si presentano con un welfare diffuso e obiettivi di conservazione delle condizioni di vita raggiunte, della stabilità monetaria. Si possono qualificare per un pacifico capitalismo a mezza strada tra tra liberalismo e socialdemocrazia.
La seconda è quella dei paesi mediterranei/latini. Pur non caratterizzandosi questi paesi per una elevata concentrazione di reddito e ricchezza, i loro obiettivi ideali sono quelli della redistribuzione, sia tra stati più ricchi (del nord) e stati più poveri (del sud) nonché all’interno degli stati. Meno bene è vista la redistribuzione che grazie alla globalizzazione andava a vantaggio degli stati extraeuropei. In questi paesi politica monetaria e politica fiscale vengono visti con la finalità di redistribuire reddito e ricchezza più che di creare occupazione. Quindi l’inflazione può essere auspicata anche a livelli significativi e il debito pubblico in crescita viene monetizzato dalla banca centrale.
In questo quadro di divaricanti obiettivi politici ed economici bene sopravvivono le classi partitiche dei diversi paesi, che dai contrasti tra stati e Unione trovano ragione di esistere e prosperare. È quindi difficile immaginare una classe politica che riesumi il pensiero di Adenauer, De Gasperi, Monnet per dare una costruzione politica al continente. A ciò non mi sembra possa indurre la creazione di particolari nemici esterni (Russia e Cina), che possono essere visti come rivali dagli Stati Uniti, ma che in Europa scuotono gli animi dei soli paesi dell’est. In questi termini si possono anche spiegare le esitazioni della Merkel, l’unica leader in grado di esprimere una spinta verso una unione politica, che è stata sicuramente intimorita dal rischio che nella stessa Unione il suo paese fosse indotto a una politica estera di ostilità nei confronti dei paesi euro/asiatici e ad una politica economica esposta alle brame di sussidi dei paesi del sud. Ha concluso che per i tedeschi era preferibile lasciare le cose come stanno. Peccato.