L’ex premier ha stilato un documento sulla competitività dell’Europa
Lo scorso anno il presidente della commissione Europea, Ursula Von der Leyen, chiese a Mario Draghi uno studio-rapporto sulla competitività europea, al fine di attrezzare l’Unione di fronte alle nuove sfide economiche, sociali e politiche. Il Rapporto è stato terminato prima delle elezioni europee, ma presentato solo il 9 settembre. Esso consta di circa 400 pagine e indica circa 170 obiettivi (qui sotto una nostra sintesi). È strutturato intorno a cinque punti chiave.
– Colmare il divario di innovazione;
– Combinare decarbonizzazione e competitività;
– Rafforzare la sicurezza e ridurre la dipendenza;
– Finanziamento degli investimenti;
– Rafforzare la governance.
Introduzione
Il Rapporto delinea subito, con rapide pennellate, il quadro della situazione.
L’Europa ha un problema di rallentamento della crescita dall’inizio di questo secolo. Si è aperto un ampio divario nel PIL tra l’UE e gli Stati Uniti. La produttività in Europa si è ridotta. Dal 2000 il reddito disponibile reale, su base pro-capite, è cresciuto quasi il doppio negli USA rispetto all’UE. L’era della rapida crescita del commercio mondiale sembra passata, le aziende dell’UE si trovano ad affrontare sia una maggiore concorrenza sia un minore accesso ai mercati esteri. L’Europa ha perso bruscamente il suo più importante fornitore di energia, la Russia. Ed è emerso il problema della sicurezza, finora garantita dagli USA. Per la prima volta la crescita europea non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori all’anno. Dovremo fare maggiore affidamento sulla produttività per guidare la crescita.
Per garantire la crescita, la decarbonizzazione e la sicurezza occorrono investimenti fino a circa 800 miliardi per anno. L’alternativa – drammatica – è dover scegliere tra una di queste opzioni: esser leader nelle nuove tecnologie oppure un faro della responsabilità climatica oppure un attore indipendente sulla scena mondiale. E non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Si tratta, dunque, di una sfida esistenziale. I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente.
Tre aree d’intervento
Crescita e innovazione: l’Europa deve riorientare profondamente i suoi sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina. Non c’è nessuna azienda UE con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro che sia stata creata da zero negli ultimi cinquant’anni, mentre tutte le sei aziende USA con una valutazione superiore a 1.000 miliardi di euro sono state create in questo periodo. L’Europa spende meno in ricerca e innovazione (270 miliardi di euro in meno rispetto agli USA nel 2021). Solo quattro delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo sono europee. In Europa non mancano idee o ambizione. L’innovazione è bloccata nella fase successiva, quella della commercializzazione. Le aziende innovative sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive. Molti imprenditori europei preferiscono cercare finanziamenti sul mercato americano. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% delle startup con più di 1 miliardo di dollari hanno trasferito la loro sede all’estero, la maggior parte negli USA. Tecnologia e inclusione sociale devono andare di pari passo. L’Europa dovrebbe puntare a eguagliare gli Stati Uniti in termini di innovazione, dall’altro potremmo superarli nella formazione, offrendo buoni posti di lavoro per tutti, per tutta la durata della vita.
Decarbonizzazione e competitività: se gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa saranno accompagnati da un piano coerente per raggiungerli, la decarbonizzazione sarà un’opportunità per l’Europa. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita. Nel medio termine, la decarbonizzazione aiuterà a spostare la produzione di energia verso fonti energetiche pulite sicure e a basso costo. Ma i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo centrale nella determinazione dei prezzi dell’energia, almeno per il resto di questo decennio. Senza un piano per trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, i prezzi dell’energia continueranno a pesare sulla crescita. L’UE deve affrontare un possibile compromesso. Una maggiore dipendenza dalla Cina può offrire il percorso più economico ed efficiente per raggiungere i nostri obiettivi di decarbonizzazione. Ma la concorrenza statale cinese rappresenta anche una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologia pulita e automobilistica. La decarbonizzazione deve avvenire per il bene del nostro pianeta. Ma affinché diventi anche una fonte di crescita per l’Europa, avremo bisogno di un piano congiunto che abbracci le industrie che producono tecnologia pulita e l’industria automobilistica.
Sicurezza e riduzione delle dipendenze: la sicurezza è un prerequisito per la crescita sostenibile. L’aumento dei rischi geopolitici aumenta l’incertezza e frena gli investimenti: questo è un rischio per la crescita e la libertà. L’Europa è particolarmente esposta. Ci affidiamo a una manciata di fornitori per le materie prime critiche, soprattutto la Cina. Dipendiamo enormemente dalle importazioni di tecnologia digitale. Se l’UE non agisce, rischiamo di essere vulnerabili. Abbiamo bisogno di una vera e propria “politica economica estera” per mantenere la nostra libertà. L’UE dovrà coordinare gli accordi commerciali preferenziali e gli investimenti diretti con le nazioni ricche di risorse, creare scorte in aree critiche selezionate e creare partnership industriali per garantire la catena di approvvigionamento di tecnologie chiave. Solo insieme possiamo creare la leva di mercato necessaria per fare tutto questo.
La pace è il primo e principale obiettivo dell’Europa. Le minacce alla sicurezza sono in aumento e dobbiamo prepararci. L’UE è collettivamente il secondo Paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa, che è troppo frammentata e che ostacola la sua capacità di produrre su scala; soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa. Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno.
Che cosa ostacola?
A) All’Europa manca la concentrazione. Definiamo obiettivi comuni, ma non li sosteniamo indicando priorità chiare o dando seguito ad azioni politiche congiunte. Il nostro Mercato Unico è frammentato, con oneri normativi alle aziende. Senza un mercato dei capitali che finanzi gli investimenti, gli europei perdono l’opportunità di diventare più ricchi. Anche se le famiglie dell’UE risparmiano di più rispetto a quelle americane, la loro ricchezza è cresciuta solo di un terzo dal 2009.
B) L’Europa sta sprecando le sue risorse comuni. Abbiamo una grande capacità di spesa collettiva, ma la diluiamo in molteplici strumenti nazionali e comunitari. Non favoriamo le aziende europee competitive nel settore della difesa. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli acquisti è stata destinata a fornitori extra-UE, di cui il 63% negli USA. ll settore pubblico dell’UE spende in R&I circa quanto gli Stati Uniti come quota del PIL, ma solo un decimo di questa spesa avviene a livello europeo.
C) L’Europa non si coordina dove è importante. Le strategie industriali oggi combinano molteplici politiche (fiscali, commerciali ed economiche estere) per garantire le catene di approvvigionamento. Collegarle richiede un alto grado di coordinamento tra sforzi nazionali e comunitari. A causa del suo processo decisionale lento e disaggregato, l’UE non è in grado di produrre una risposta di questo tipo. Le decisioni vengono prese questione per questione, con molteplici veti lungo il percorso. Il risultato è un processo legislativo con un tempo medio di 19 mesi per approvare nuove leggi, dalla proposta della Commissione alla firma dell’atto adottato, senza contare la fase attuativa negli Stati membri.
Prime considerazioni. Le proposte non sono delle aspirazioni: la maggior parte di esse sono pensate per essere attuate rapidamente. In molte aree, l’UE può ottenere molto compiendo un gran numero di passi più piccoli, ma in modo coordinato. In altre aree, è necessario un piccolo numero di passi più grandi – delegando a livello europeo compiti che possono essere svolti solo lì. In altre aree ancora, l’UE dovrebbe fare un passo indietro, applicando il principio di sussidiarietà in modo più rigoroso e riducendo l’onere normativo che impone alle aziende europee.
La domanda chiave che si pone è come l’UE dovrebbe finanziare i massicci investimenti che la trasformazione dell’economia comporterà. Anche con un mercato europeo dei capitali, il settore privato avrà bisogno, per gli investimenti, del sostegno del settore pubblico. Inoltre, quanto più l’UE è disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, tanto più aumenterà lo spazio fiscale e sarà più facile per il settore pubblico fornire questo sostegno.
Dovremmo infine abbandonare l’illusione che procrastinando le scelte si possa preservare il consenso. In realtà, procrastinare ha prodotto solo una crescita più lenta, e di certo non ha ottenuto più consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza un’azione, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà.
1) ll punto di partenza: un nuovo paesaggio per l’Europa
Sono venute meno tre condizioni esterne – nel commercio, nell’energia e nella difesa – che avevano sostenuto la crescita in Europa dopo la fine della Guerra Fredda. È finita la fase della crescita ininterrotta del commercio mondiale che la globalizzazione garantiva. È finita la fase del gas naturale a buon mercato (dipendenza russa). È finita sicurezza politica, militare ed economica che un tempo l’egemonia americana garantiva.
Aumentare la competitività dell’UE è dunque necessario per rilanciare la produttività e sostenere la crescita in questo mondo in continua evoluzione. La competitività non si identifica con la difesa dei “campioni nazionali” che possono soffocare la concorrenza e l’innovazione, o con l’uso della repressione salariale per abbassare i costi relativi. La competitività oggi è meno legata al costo relativo del lavoro e più all’innovazione.
Verso una risposta europea
L’Europa deve porre rimedio al rallentamento della crescita della produttività colmando il divario di innovazione (tecnologica e scientifica). In secondo luogo, l’Europa ha bisogno di un piano comune per la decarbonizzazione e la competitività. Questo piano dovrà garantire che all’ambiziosa domanda di decarbonizzazione corrisponda una leadership sulle tecnologie che la forniranno. Dovrà abbracciare le industrie che producono energia, quelle che aprono la strada alla decarbonizzazione (tecnologia pulita e industria automobilistica) e le industrie che utilizzano intensamente l’energia e che difficilmente ne potrebbero diminuire il consumo. In terzo luogo, l’Europa deve aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze. l’UE dovrà sviluppare una vera e propria “politica economica estera” che coordini accordi commerciali preferenziali e investimenti diretti con i Paesi ricchi di risorse, costituzione di scorte in aree critiche selezionate e creazione di partenariati industriali per garantire la catena di approvvigionamento delle tecnologie chiave.
Per far ciò occorre: a) piena attuazione del Mercato unico; b) politiche industriali, commerciali e di concorrenza, che si intersecano profondamente e devono essere allineate come parte di una strategia globale; c) finanziamento delle principali aree di intervento (fabbisogno di investimenti pari a € 800 mld l’anno); d) riformare la governance dell’UE, aumentando il coordinamento e riducendo gli oneri normativi.
In molti settori, l’UE può ottenere importanti risultati compiendo un gran numero di piccoli passi, allineando tutte le politiche all’obiettivo comune. In altre aree, è necessario un numero ridotto di passi più ampi, delegando all’UE compiti che possono essere svolti solo a questo livello; in altri settori l’UE dovrebbe fare di meno, applicando il principio di sussidiarietà in modo più rigoroso e mostrando un maggiore “autocontrollo”. Per cominciare, si dovrebbe apportare un piccolo numero di cambiamenti istituzionali mirati e generali, senza la necessità di modificare il Trattato.
Salvaguardare l’inclusione sociale
Se l’UE deve avvicinarsi all’esempio americano in termini di crescita della produttività e di innovazione, dall’altro deve salvaguardare il suo modello di coesione sociale. Siamo in presenza della diminuzione della popolazione in età lavorativa. Lo Stato sociale europeo sarà quindi fondamentale per fornire servizi pubblici solidi, protezione sociale, alloggi, trasporti e assistenza all’infanzia durante questa transizione
L’UE deve garantire che un maggior numero di città e regioni possa partecipare ai settori che guideranno la crescita futura, basandosi su iniziative esistenti come Innovation Valleys Net, Zero Acceleration Valleys e Hydrogen Valleys. Ciò richiederà nuovi tipi di investimenti nella coesione e nelle riforme a livello subnazionale. In particolare, le politiche di coesione dovranno essere riorientate su settori quali l’istruzione, i trasporti, gli alloggi, la connettività digitale e la pianificazione, che possono aumentare l’attrattiva di una serie di città e regioni diverse.
L’Europa dovrebbe imparare dagli errori commessi nella fase di “iperglobalizzazione” e prepararsi a un futuro in rapida evoluzione. L’idea che la globalizzazione abbia esacerbato le disuguaglianze si è infiltrata nella percezione pubblica, mentre i governi sono stati visti come indifferenti. I responsabili politici dovrebbero imparare da questa esperienza per riflettere su come la società cambierà in futuro e su come garantire che lo Stato sia percepito dalla parte dei cittadini e attento alle loro preoccupazioni. Una parte fondamentale di questo processo sarà l’emancipazione delle persone.
2) Colmare il divario d’innovazione
La sfida della produttività in Europa
L’Europa ha bisogno di una crescita più rapida della produttività per mantenere tassi di crescita sostenibili a fronte di una situazione demografica sfavorevole. La produttività del lavoro nell’UE era nel 1995 il 95% di quella americana, ora è sotto l’80%.
Il fattore chiave dell’aumento del divario è stata la tecnologia digitale, attualmente l’Europa sembra destinata a rimanere ancora più indietro. Mentre per alcuni settori digitali probabilmente si è già “persa l’occasione”, l’Europa ha ancora l’opportunità di capitalizzare le future ondate di innovazione digitale. L’IA – e in particolare l’IA generativa – è una tecnologia in evoluzione in cui le aziende dell’UE hanno ancora l’opportunità di ritagliarsi una posizione di leadership in segmenti selezionati. L’integrazione dell’IA “verticale” nell’industria europea sarà un fattore critico per sbloccare una maggiore produttività
Principali ostacoli all’innovazione in Europa
Alla radice della posizione debole dell’Europa nella tecnologia digitale c’è una struttura industriale statica che produce un circolo vizioso di scarsi investimenti e scarsa innovazione. Non ci sono abbastanza istituzioni accademiche che raggiungono i massimi livelli di eccellenza e il percorso dall’innovazione alla commercializzazione è debole. La spesa pubblica per la ricerca e l’innovazione in Europa è carente e non è sufficientemente focalizzata sull’innovazione pionieristica. La frammentazione del mercato unico impedisce alle imprese innovative che raggiungono la fase di crescita di espandersi nell’UE, il che a sua volta riduce la domanda di finanziamenti. Le barriere normative all’espansione sono particolarmente onerose nel settore tecnologico, soprattutto per le aziende giovani la mancanza di un vero mercato unico impedisce inoltre ad un numero sufficiente di aziende nell’economia più ampia di raggiungere dimensioni sufficienti per accelerare l’adozione di tecnologie avanzate. La posizione dell’UE in altri settori innovativi come quello farmaceutico sta diminuendo a causa delle stesse sfide legate ai bassi investimenti in ricerca e innovazione e alla frammentazione normativa.
Un programma per affrontare il deficit di innovazione
a) Affrontare le debolezze dei programmi comuni di ricerca e innovazione; b) Migliore coordinamento della ricerca e innovazione pubblica tra gli Stati membri; c) Istituire e consolidare le istituzioni accademiche europee in prima linea nella ricerca globale; d) Rendere più semplice per gli “inventori diventare investitori” e facilitare l’espansione delle iniziative di successo; e) Promuovere un contesto finanziario migliore per l’innovazione dirompente, le start-up e le scale-up ; f) Ridurre i costi di diffusione dell’IA aumentando la capacità computazionale e mettendo a disposizione la sua rete di computer ad alte prestazioni; g) Promuovere il coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare l’integrazione dell’IA nell’industria europea.
Colmare le lacune di competenze
L’Europa soffre di divari di competenze in tutta l’economia, rafforzati da una forza lavoro in calo.
Poichè l’istruzione e la formazione sono di competenza nazionale, gli investimenti dell’UE hanno prodotto risultati relativamente scarsi. L’UE dovrebbe rivedere il proprio approccio alle competenze, rendendolo più strategico, orientato al futuro e focalizzato sulle carenze emergenti di competenze.
3. Un piano congiunto di decarbonizzazione e competitività
Gli obiettivi di decarbonizzazione dell’UE sono anche più ambiziosi di quelli dei suoi concorrenti, creando costi aggiuntivi a breve termine per l’industria europea. L’Europa deve confrontarsi con alcune scelte fondamentali su come perseguire il suo percorso di decarbonizzazione, preservando al tempo stesso la posizione competitiva della sua industria. È improbabile che le soluzioni in bianco e nero abbiano successo nel contesto europeo. Emulare l’approccio statunitense di escludere sistematicamente la tecnologia cinese probabilmente ostacolerebbe la transizione energetica e quindi imporrebbe costi più elevati sull’economia dell’UE. Sarebbe anche più costoso per l’Europa attivare tariffe reciproche: più di un terzo del PIL manifatturiero dell’UE viene assorbito al di fuori dell’UE, rispetto a solo circa un quinto per gli Stati Uniti. Tuttavia, è improbabile che un approccio laissez-faire abbia successo in Europa data la minaccia che potrebbe rappresentare per l’occupazione, la produttività e la sicurezza economica.
L’Europa dovrà adottare una strategia mista che combini diversi strumenti politici e approcci per diversi settori. Sebbene l’Europa sia leader mondiale nell’innovazione delle tecnologie pulite, sta sprecando i vantaggi ottenuti nella fase iniziale a causa delle debolezze del suo ecosistema di innovazione. I trasporti possono svolgere un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione dell’economia dell’UE, ma se si riveleranno un’opportunità per l’Europa dipenderà dalla pianificazione. Il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell’UE, dell’applicazione di una politica climatica senza una politica industriale.
Un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività
Il primo obiettivo chiave per il settore energetico è abbassare il costo dell’energia per gli utenti finali trasferendo i benefici della decarbonizzazione. Ciò è possibile con politiche volte a dissociare meglio il prezzo del gas naturale dall’energia pulita. Il secondo obiettivo chiave è accelerare la decarbonizzazione in modo efficiente in termini di costi, sfruttando tutte le soluzioni disponibili attraverso un approccio tecnologicamente neutro. Parallelamente, l’UE dovrebbe sviluppare la governance necessaria per una vera Unione dell’energia in modo che le decisioni e le funzioni di mercato di rilevanza transfrontaliera siano prese a livello centrale. Mentre le industrie “difficili da abbattere” trarranno beneficio dalla riduzione dei prezzi dell’energia, l’UE dovrebbe adottare un approccio pragmatico alla decarbonizzazione per mitigare i potenziali compromessi. L’Europa dovrebbe riorientare il proprio sostegno alla produzione di tecnologie pulite, focalizzando l’attenzione sulla politica commerciale per combinare decarbonizzazione e competitività, proteggere le catene di approvvigionamento, far crescere nuovi mercati. Nell’ambito della sua strategia di decarbonizzazione, l’UE dovrebbe sviluppare un piano d’azione industriale per il settore automobilistico. La strategia più ampia dell’UE verso l’integrazione transfrontaliera e modale e il trasporto sostenibile deve pianificare la competitività e non solo la coesione.
4. Aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze
L’Europa è vulnerabile sia alla coercizione sia alla frammentazione geo-economica. Il deterioramento delle relazioni geopolitiche crea anche nuove esigenze di spesa per la difesa e la sua industria. Diventare più indipendenti crea un “costo assicurativo” per l’Europa, ma questi costi possono essere mitigati dalla cooperazione.
Ridurre le vulnerabilità esterne
L’Europa è in ritardo nella corsa globale per garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento. Le dipendenze strategiche si estendono anche alle tecnologie cruciali per la digitalizzazione dell’economia europea. Per ridurre le sue vulnerabilità, l’UE deve sviluppare una vera “politica economica estera” basata sulla garanzia di risorse critiche. L’UE deve anche sfruttare il potenziale delle risorse nazionali attraverso l’estrazione mineraria, il riciclaggio e l’innovazione nelle fonti di materiali alternativi.
Per le industrie strategiche, l’UE dovrebbe perseguire una strategia coordinata per rafforzare la capacità produttiva nazionale e proteggere le principali infrastrutture di rete.
Rafforzare la capacità industriale per la difesa e lo spazio
L’industria europea della difesa è frammentata, il che ne limita le dimensioni e ostacola l’efficacia operativa sul campo; soffre anche di una mancanza di attenzione allo sviluppo tecnologico. Sia per l’industria della difesa che per quella spaziale, l’insufficiente aggregazione e coordinamento della spesa pubblica aggrava la frammentazione industriale. In assenza di una spesa comune europea, le azioni politiche per il settore della difesa devono concentrarsi sull’aggregazione della domanda e sull’integrazione delle risorse industriali di difesa. Occorre rafforzare la cooperazione e la condivisione delle risorse per la ricerca e lo sviluppo nel settore della difesa a livello dell’UE.
5. Finanziamento degli investimenti
Il fabbisogno finanziario necessario affinché l’UE raggiunga i suoi obiettivi è enorme. L’UE può soddisfare queste esigenze di investimento senza sovraccaricare le risorse dell’economia europea, ma il settore privato avrà bisogno del sostegno pubblico per finanziare il piano. Una delle ragioni principali della minore efficienza dell’intermediazione finanziaria in Europa è che i mercati dei capitali rimangono frammentati e i flussi di risparmio verso i mercati dei capitali sono inferiori. L’immagine speculare è che l’UE fa eccessivo affidamento sui finanziamenti bancari, che sono meno adatti a finanziare progetti innovativi e devono affrontare numerosi vincoli. Allo stesso tempo, il sostegno dell’UE agli investimenti sia pubblici che privati è limitato dalle dimensioni del bilancio dell’UE, dalla sua mancanza di concentrazione e da un atteggiamento troppo conservatore nei confronti del rischio. Un finanziamento congiunto degli investimenti a livello UE è necessario per massimizzare la crescita della produttività, nonché per finanziare altri beni pubblici europei
Per sbloccare il capitale privato, l’UE deve costruire un’autentica Unione dei mercati dei capitali (CMU).
Per aumentare la capacità di finanziamento del settore bancario, l’UE dovrebbe mirare a rilanciare la cartolarizzazione e completare l’Unione bancaria.
Il bilancio dell’UE dovrebbe essere riformato per aumentarne la focalizzazione e l’efficienza, oltre ad essere meglio sfruttato per sostenere gli investimenti privati. Infine, l’UE dovrebbe procedere verso l’emissione regolare di safe asset per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri e per contribuire a integrare i mercati dei capitali.
6- Rafforzare la governance
Una nuova strategia industriale per l’Europa non avrà successo senza cambiamenti paralleli all’assetto istituzionale e al funzionamento dell’UE. Il rapporto raccomanda di istituire un nuovo “quadro di coordinamento della competitività” per promuovere il coordinamento a livello dell’UE nei settori prioritari, sostituendo altri strumenti di coordinamento sovrapposti. Il consolidamento dei vari meccanismi di coordinamento dell’UE dovrebbe essere accompagnato dal consolidamento delle sue priorità strategiche in termini di risorse di bilancio, con obiettivi, governance e finanziamenti ben definiti.
Le votazioni del Consiglio (dei Ministri) soggette a voto a maggioranza qualificata (MQ) dovrebbero essere estese a più settori, ad es. utilizzando la clausola passerelle” (con la quale il Consiglio europeo autorizza il Consiglio a votare a votare a maggioranza qualificata) oppure ricorrendo al sistema delle cooperazioni rafforzate.
Articolo pubblicato su La Prealpina.it
Manager nella ex Banca Commerciale Italiana (Milano – Servizio Organizzazione e Divisione Banca d’Affari), sin dal Liceo (Genova), membro del Movimento Federalista Europeo (MFE), con vari ruoli a livello nazionale ed europeo: Segretario nazionale della sua rete giovanile (Gioventù Federalista Europea), Direttore del Circolo di cultura politica “Altiero Spinelli” di Milano (2007/2011), Direttore de L’Unità Europea, organo del MFE (2015/2019). Nel 2020 ha fondato la rivista online in lingua inglese The Ventotene Lighthouse, A Federalist Journal for World Citizenship www.theventotenelighthouse.eu. È co-fondatore della rivista (2023) Territori del federalismo – www.territoridelfederalismo.eu
Autore di diversi saggi e articoli sul processo di unificazione europea, sotto l’aspetto politico ed economico.