In sede di conversione del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, cosiddetto “Cura Italia”, è stato presentato un emendamento governativo in base al quale, fino al 30 giugno 2020, “le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possono essere tenute mediante collegamenti da remoto”.
Si introduce nel nostro ordinamento il processo penale a distanza con i vari soggetti non più compresenti nell’aula di Tribunale ma collegati da remoto, ciascuno in una postazione diversa (tranne i “soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore”, con le implicite difficoltà a rispettare il distanziamento sociale).
Si potrà ricorrere al collegamento da remoto anche per atti di indagine nel corso delle indagini preliminari e per l’assunzione delle deliberazioni collegiali in camera di consiglio.
Il disegno di legge, contenente le previsioni suddette, è stato approvato dal Senato ed è ora all’esame della Camera dei Deputati.
La proposta ha ricevuto forti critiche, in particolare da parte del C.N.F. e dell’U.C.P.I., perché rinnega i cardini del giusto processo e comprime il diritto di difesa. Il senso profondo della presa di posizione dell’Avvocatura è proprio la tutela di questi princìpi irrinunciabili e non l’arroccarsi in una battaglia di retroguardia contro il ricorso alla tecnologia.
Il processo da remoto non è un giusto processo conforme al dettato dell’art. 111 della Costituzione: verrebbe contratto il contraddittorio tra le parti, che non si svolgerebbe davanti al giudice ma davanti ad un pc con un giudice collegato a distanza, e si minerebbero i princìpi dell’oralità e dell’immediatezza.
Gli strumenti di comunicazione tecnologica sono caratterizzati da limiti intrinseci (problemi tecnici, ritardi, difficoltà di connessione e di audio) che impediscono un corretto e fluido svolgimento dell’udienza e soprattutto una piena esplicazione del contraddittorio: non sarebbero mai garantite la tempestività e l’istantaneità degli interventi orali; si perderebbe il controllo percettivo ed emotivo di quanto avviene in udienza. Tali caratteristiche comprometterebbero inevitabilmente l’efficacia della cross examination (dei testimoni di polizia giudiziaria, dei consulenti e dei periti).
Vi sono anche altre gravi problematiche rilevate dall’Accademia e dall’Avvocatura (in particolare dal Centro Studi Giuridici e Sociali “Aldo Marongiu” dell’U.C.P.I.). Sono stati sollevati, ad esempio, seri dubbi circa la garanzia della segretezza della camera di consiglio. Il legislatore, incomprensibilmente, non prevede e non regola le modalità tecniche del collegamento da remoto, delegandone la disciplina ad un successivo provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Infine, non mancano le incognite riguardanti la tutela della privacy e la protezione dei dati nonché la stessa sicurezza informatica dei sistemi utilizzati.
Le conseguenze maggiormente nefaste sono però legate alla smaterializzazione ed alla disumanizzazione del processo. La scelta di allontanare i protagonisti, svuotare le aule, svilire i gesti ed i simboli, farà venir meno la sacralità della celebrazione del processo; ritualità che ha un ruolo fondamentale nella percezione della rilevanza dell’amministrazione della giustizia da parte dei consociati. Perderà la sua centralità l’uomo in carne ed ossa che verrà sostituito da una proiezione telematica, trasfigurazione che allontanerà l’imputato dal suo giudice.
Non può nascondersi, inoltre, il timore che tale modalità di celebrazione delle udienze penali possa protrarsi oltre il termine del 30 giugno, ad esempio a causa del prolungarsi dell’emergenza sanitaria. Ancor più si teme che l’eccezione possa divenire la regola, come già proposto da alcuni. L’esperienza ci ricorda i numerosi istituti eccezionali introdotti in momenti di emergenza e poi divenuti stabili ed ordinari. Si tratterebbe dell’ennesima picconata, questa volta probabilmente definitiva, al processo accusatorio, mai pienamente interiorizzato da molti.
Ancora una volta, nel bilanciamento tra i vari interessi in gioco, si è scelto di sacrificare il diritto del cittadino alla celebrazione di un giusto processo. E’ la raffigurazione emblematica del rapporto tra individuo e Stato in Italia.