La riforma Bonafede che interrompe il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, nonostante le numerose critiche,resta in vigore. Non sono bastate le proteste dell’Avvocatura, le critiche di gran parte della Magistratura e gli ammonimenti dell’Accademia. Neanche le polemiche politiche hanno avuto esito ed i seppur timidi e pasticciati tentativi di modifica della novella sono naufragati travolti da nuove emergenze.
Resta pertanto in vigore la nuova disciplina della prescrizione che condanna ogni cittadino alla pena anticipata di un processo potenzialmente infinito. Riforma che non solo non risolverà i problemi della Giustizia ma anzi aggraverà le patologie della macchina giudiziaria.
La prescrizione, infatti, è un caposaldo del diritto penale liberaleessendo una garanzia nei confronti degli abusi del potere punitivo dello Stato. Quest’ultimo, infatti, viene meno a causa del trascorredel tempo in quanto si attenua l’allarme sociale generato dal reato, inoltre è inammissibile punire l’eventuale colpevole dopo un ampio lasso di tempo: il soggetto che espierà la pena sarà sicuramente una persona diversa rispetto a quella che ha commesso il reato. Ciò svilirebbe la finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 Cost. Il decorso del tempo, inoltre, implica difficoltà probatorie che minano il diritto di difesa.
Il legislatore non ha atteso molto per mostrare nuovamente la sua visione del diritto penale.
La Camera dei Deputati, giovedì 27 febbraio, ha convertito in legge il d.l. 30 dicembre 2019 n. 161 riguardante la modifica della disciplina delle intercettazioni.
Le principali novità della riforma riguardano la disciplina del trojan horse e delle intercettazioni “a strascico”.
L’utilizzo del captatore informatico per le intercettazioni di comunicazioni tra presenti è stato esteso ai procedimenti riguardanti i reati contro la pubblica amministrazione commessi dagli incaricati di pubblico servizio, dopo che la c.d. “Spazzacorrotti” l’aveva esteso ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Questi delitti contro la p.a. sono stati equiparati ai reati di criminalità organizzata e terrorismo.
In nome della lotta alla corruzione si estende sempre di più il ricorso a tale strumento così invasivo. Una volta aperta una breccia è impossibile richiuderla o financo contenerla essendo destinata ad espandersi fino a far crollare l’intera struttura del diritto liberale.
Con riferimento alle intercettazioni a strascico, invece, la riforma estende l’utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti purché siano rilevanti ed indispensabili all’accertamento dei delitti per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza e sono consentite le intercettazioni.
Il legislatore è immediatamente intervenuto per superare una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (la sentenza Cavallo del 2 gennaio 2020) che aveva sancito un’interpretazione maggiormente restrittiva della materia.
Si conferma l’attacco operato dal legislatore nei confronti di una visione liberale del diritto penale. Le voci garantiste tra le forze politiche sono sempre più isolate. I diritti dell’individuo vengono sacrificati in nome delle esigenze securitarie. La culla del Diritto è diventata la sua tomba.