Mi immetto da outsider nel dibattito in corso sul blog della Fondazione Luigi Einaudi con quella che è soltanto in apparenza una provocazione.
Voglio infatti proporre un parallelo – a mio avviso cruciale per un dibattito liberale – tra legalizzazione della cannabis e regolamentazione della prostituzione.
Ho detto “cannabis” – e non “tutte le droghe” – perché è giusto che si parta “per prudenza” da qui, come una sorta di banco di prova legislativo e governativo, ma anche e soprattutto perché è solo di questo che si dibatte oggi in Italia, anche grazie alla campagna portata avanti con coraggio e ostinazione dai Radicali Italiani.
“Ma perché accostare due questioni così distanti?” si domanderà qualcuno. La risposta è che in realtà questi due temi distanti non sono affatto, visto che gli argomenti in difesa dell’uno coincidono quasi perfettamente con quelli in difesa dell’altro. Vediamo il perché.
I 6 argomenti in favore sia della legalizzazione della cannabis che della regolamentazione delle prostituzione sono, riassumendo, i seguenti.
Uno: l’argomento liberale per eccellenza, ovvero il famoso “principio del danno”, secondo il quale ognuno è libero di fare ciò che vuole del proprio corpo nella misura in cui le sue azioni non invadano la libertà altrui e non danneggino (fisicamente) altri individui. Chi fuma erba “fa del male” (se vogliamo usare questa espressione così paternalista) solo a stesso, per quanto ne dica Bonetti, o la Binetti. Lo stesso vale per le donne e per gli uomini che decidono consapevolmente e liberamente di prostituirsi.
Due: l’argomento economico-finanziario. Legalizzare la sola cannabis significherebbe infatti far emergere e tassare quel mercato nero, stimato attorno ai 12 miliardi di euro, attualmente gestito capillarmente da organizzazioni criminali. Stesso discorso per il mercato della prostituzione, in mano alle stesse organizzazioni e che secondo l’Istat si aggirerebbe attorno ai 4 miliardi di euro (dati del 2014). Con buona pace del “benaltrismo” di Ocone, l’impatto di queste due manovre per l’economia italiana sarebbe dunque notevole, anzi, devastante – si pensi al caso recente della legalizzazione della cannabis in Colorado ad esempio, o ai numeri che ci arrivano dai paesi dove la prostituzione è regolamentata (e tassata) dallo Stato.
Tre: l’argomento della lotta alla criminalità organizzata. Legalizzare e regolamentare questi due mercati significherebbe infatti sottrarli radicalmente al dominio delle organizzazioni criminali. Su questo si è già espresso Dario Berti nel primo articolo che ha dato il via a questo dibattito. Voglio solo aggiungere che, per quanto ritenga che queste due manovre rappresentino un epocale passo avanti nella lotta alla criminalità organizzata, sono altresì consapevole che non eliminerebbero in toto e da un giorno all’altro il mercato clandestino della cannabis e il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione. Ad ogni modo, sempre meglio liberalizzare e regolamentare i due mercati che rimanere con l’attuale status quo.
Quattro: l’argomento della sicurezza. La vendita della cannabis da parte dello Stato, nonché la possibilità di auto-coltivazione, coinciderebbero con una maggiore sicurezza per il consumatore, il quale saprebbe finalmente cosa sta fumando e non dovrebbe dunque affidarsi alla “buona fede” dei suoi spacciatori. Parallelamente, una regolamentazione del mercato della prostituzione garantirebbe una maggiore sicurezza sia per chi si prostituisce, in stragrande maggioranza donne costrette a lavorare in condizioni indegne, sia per i clienti, visti i controlli sanitari che si renderebbero obbligatori per i/le sex-worker.
Cinque: l’argomento dell’ipocrisia. Ovunque io mi trovi, da Bolzano a Lampedusa, nel giro di mezz’ora posso trovare uno spacciatore o una prostituta. Da Roma a Milano fino alla provincia più profonda, le piazze di spaccio e le vie della prostituzione sono note a tutti, comprese le forze dell’ordine, le quali non intervengono con la consapevolezza che, arrestato uno spacciatore o una prostituta, un altro spacciatore e un’altra prostituta prenderanno il loro posto il giorno dopo. Stesso discorso, poi, per i siti di “escort”, tutti in bella mostra e liberamente accessibili su internet. È questa la tipica ipocrisia perbenista italiana, sempre pronta a voltare ingenuamente lo sguardo altrove piuttosto che affrontare, in maniera intelligente e risoluta, simili questioni di giustizia sociale, di libertà, di economia, di diritto e, sì, anche di puro e semplice buon senso.
Sei: l’argomento della stigmatizzazione. Chi fuma cannabis non è un drogato e chi si prostituisce non è un criminale. In Italia una bella fetta della popolazione non la pensa così, perché lo stesso perbenismo appena citato stigmatizza ed etichetta chi sceglie l’una o l’altra opzione, senza sapere davvero di cosa stia parlando. Da questo punto di vista, liberalizzare e regolamentare il mercato della cannabis e della prostituzione contribuirebbe, nel lungo periodo, ad indebolire lo stigma sociale su fumatori di cannabis e sex worker.
Questi, a mio modo di vedere, i sei argomenti liberali (ripeto: liberali, non libertari) in favore della legalizzazione della cannabis e della regolamentazione del mercato della prostituzione. Sono argomenti ragionevoli e condivisibili che mai mi sarei aspettato potessero diventare bersaglio proprio del fuoco amico dei liberali.
Perché, insisto, mi sembra davvero incredibile dover difendere la legalizzazione proprio in questa sede, nel cuore del liberalismo italiano.