Il cristianesimo agisce secondo l’etica della convinzione, ma tiene ben distinto il suo ambito di azione da quello che ė proprio dello Stato e della politica.
È il principio di laicità, che lo Stato moderno ha preso paro paro non solo dalla dialettica di potere medievale (fondata sul conflitto fra trono e altare) ma addirittura dal Vangelo, il quale senza troppi infingimenti impone di dare a “Cesare quel che è di Cesare”.
Il cristiano perciò non dovrebbe fare politica, se non in modo mediato. E la stesa Chiesa, che istituzione politica anche è, dovrebbe agire, nell’agone politico quando è costretta a scendervi, prima di tutto con l’etica della responsabilità. Cioè considerando le conseguenze della propria azione, misurando ogni sua parola, cercando di minare il meno possibile il tessuto connettivo della società in cui vive.
Tanto più se è una società che le garantisce la massima libertà di espressione ed azione.
Perché la Conferenza Episcopale Italiana, attraverso le parole del suo esponente maggiore, monsignor Galantino, e il Papa stesso, si sentono oggi in diritto non solo di infrangere il paradigma della laicità, e di fare politica, ma addirittura di suggerire all’Italia politiche che minano la sicurezza dello Stato?
E perché questo avviene solo qui ed ora? E perché non ci sono reazioni politiche significative a questa invadenza, e proprio in un Paese che, fino a poco tempo fa, vedeva bene attiva una nutrita e agguerrita truppa di “laicisti in servizio permanente e effettivo”?
Credo che ciò accada per il combinato disposto di due fattori:
a) la presenza sul soglio di Pietro di un Papa che è nemico dell’Occidente e delle sue libertà, che non ricollega al cristianesimo, secondo un nesso che è evidenza storica e teorica;
b) la debolezza, storica e attuale dello Stato italiano, sul punto di disgregarsi e a cui la Chiesa, consapevole o meno che ne sia, si appresta a dare il colpo finale.
È una storia, quest’ultima, che parte da lontano: dal uno Stato nato tardi rispetto agli altri europei, che non è riuscito a creare quasi mai coesione e sentimenti nazionali, che ha visto una monarchia imbelle abdicare l’8 settembre 1943 ai suoi compiti, che è stata dominata nel dopoguerra da forze politiche “internazionaliste” ove la parola e il sentimento di Patria eran negletti e ove parlare di “interesse nazionale” era considerato suppergiù “fascista”.
In questo scenario, comunisti, cattolici di sinistra, cultura cosmopolitica di ascendenza azionista e di coloritura liberal, da ultimo anche certi liberal-liberisti anarchici e astrattamente anti-Stato, hanno finito per darsi la mano. Dimentichi che, in età moderna, la libertà dell’individuo, e la sua stessa sicurezza e identità (come gli Hobbes e i Locke ci hanno insegnano), possono essere garantiti solo dall’esercizio senza vincoli dell’autorità politica, cioè solo da uno Stato forte seppure, per noi liberali, per dirla con Dario Antiseri, necessariamente non troppo “affaccendato”.
Le parole dei Galantino e dei Bergoglio, esponenti di una Chiesa internazionalista e terzomondista, non trovano qui da noi la resistenza dello Stato e soprattutto di una classe politica che della cultura primo-repubblicana è figlia diretta. E che perciò nulla ha da obiettare perché sa di avere a che fare con un Papa che “invade” sì il proprio terreno, ma è “de sinistra” (come direbbero a Roma).
Come meravigliarsi che in un Paese cattolico sì, ma con uno Stato forte, qual è la Francia, questa Chiesa nemmeno prova ad esercitare un ruolo simile?
Ed è da meravigliarsi se un Macron, che della tradizione e della cultura “sovraniste” di Francia è comunque erede, distingue accuratamente “rifugiati politici” e “migranti economici”? Egli ben sa che dare asilo a chi patisce persecuzione è un segno di forza della République, un elemento identitario che richiama i sui valori di libertà, mentre far entrare tutti indistintamente, come si chiede all’Italia, significherebbe annullare la propria identità e se stessi.
A ben vedere, alla lunga Allah trionferebbe su Cristo, anche solo per questioni meramente demografiche.
La Chiesa valuta questa conseguenza? O crede davvero, come vorrebbe far dire al Papa Eugenio Scalfari, che, essendo il Dio unico, presso i diversi popoli e nelle diverse religioni cambi solo il nome con cui viene designato?
Ma è ulteriormente a chiedersi: se Allah è uguale al Dio cristiano, e Maometto a Cristo, possiamo permetterci ancora a lungo il lusso di non chiamare questa idea autodissolutiva che il cristianesimo istituzionale potrebbe essere tentato oggi portare avanti, altrimenti che con il suo nome? E, cioè, “eresia”?
L’eresia al potere è sempre un nuovo conformismo. Ma questo, più di ogni altri, è un conformismo di cui l’Occidente con le sue libertà non ha bisogno.