“Per alcuni secoli, non ci fu campo del sapere…in cui i musulmani non poterono orgogliosamente vantare la loro superiorità”. Così scrive Luciano Pellicani nell’introduzione all’ interessante libro di Elio Cadelo, ora pubblicato dall’editore Palombi: Allah e la scienza: un dialogo impossibile? (pagine 239, euro 14).
In verità l’autore, che nella sua pluriennale carriera giornalistica è passato da testate come il Corriere della sera e la RAI, occupandosi sempre di scienza, divenendone uno dei migliori divulgatori in circolazione, relativizza e limita molto questa tesi, che è poi quella che pure domina nel mondo culturale.
Soprattutto nel secondo capitolo del libro -”La nascita e la morte della scienza araba”- egli ci mostra come il “periodo d’oro della scienza islamica”, tanto d’oro non sia stato. E come gli scienziati che in esso operarono erano comunque all’interno di un sistema di potere poco tollerante, venendo addirittura considerati “eretici”.
Egli mostra altresì come quel periodo debba limitarsi temporalmente a pochi decenni e a luoghi molto circoscritti, che non possono essere fatti coincidere in toto con l’età e gli spazio del dominio del califfato abasside di Baghdad (che durò dalla metà dell’VIII secolo fino al 1258).
In particolare, Cadelo smonta il mito di al-andalus, facendo riferimento ad un processo storiografico ormai consolidato. “Negli ultimi anni -scrive infatti-, alla luce di nuove documentazioni, si sta ristudiando la presenza musulmana in Spagna ed il panorama che emerge descrive una realtà diversa dal mito che ha voluto il dominio musulmano di quella terra come un governo illuminato, tollerante e ‘aperto alle innovazioni culturali’”.
In sostanza, si può ormai dire che la cultura occidentale sia dopo l’anno Mille rinata a nuova vita, se mai prima fosse morta, per virtù propria più che per gli stimoli molto limitati provenienti dalla cultura musulmana. Così come si può dire che la cultura musulmana più che apprezzare per virtù intrinseca il sapere e le scienze, tanto da tradurre e commentare le opere dell’antichità, si trovò di fronte ad una tradizione sia bizantina sia persiana che già svolgeva da tempo egregiamente questa attività.
Non fosse altro che per queste riflessioni, sempre molto documentate, il libro di Cadelo è sicuramente da consigliarsi.
Non si può però non considerare in questa sede il doppio registro, storico e teorico, di queste pagine, e anche la discrasia che fra di esse a mio avviso si crea.
Da una parte, il volume è una interessante e sapiente ricostruzione di percorsi e fatti culturali che suffragano, in maniera divulgativa e scientifica al tempo stesso, la tesi di fondo, è cioè una storia dei rapporti della scienza e della cultura musulmane con la scienza occidentale; dall’altra, questi rapporti sono interpretati e valutati all’interno di una vera e propria “filosofia della storia” di tipo illuministico e positivistico (le cui coordinate sono delineate in maniera molto chiara nel terzo capitolo, che può a buon diritto considerarsi una istruttiva e dovuta deviazione metodologica dal tema principale: “Le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche in Europa”).
Il che potrebbe benissimo rubricarsi al paragrafo delle diverse concezioni intellettuali che contraddistinguono la vita della cultura, tanto più che l’autore nella sua onestà intellettuale non se ne serve mai per fare violenza ai dati e ai fatti.
Salvo che questa “filosofia della storia”, a sua volta “superata” dalla più recente e accorta storiografia, finisce a mio avviso per suggerire all’autore risposte sbagliate, o almeno fuorvianti, a quelle che sono le ulteriori domande a cui si è proposto di rispondere col suo testo: “Perché tra la visione del mondo della cultura islamica e quella occidentale ci sono differenze così marcate?
Perché le due società sono in conflitto? Perché i paesi musulmani non riescono ad accedere alla modernità e ad accettare l’innovazione scientifica? Come mai l’Occidente è caratterizzato proprio per la produzione scientifica e l’innovazione tecnologica? Perché i movimenti terroristi islamisti, pur utilizzando le nuove tecnologie, affermano che la scienza è ‘immorale’ e contro la verità di Dio?”
Il fatto è che Cadelo assimila tutte le religioni monoteistiche, le quali tutte, per il fatto stesso di richiamarsi ad un Dio unico, farebbero secondo lui riferimento ad una Verità assoluta che non tollera deviazioni o interpretazioni diverse da quelle scritte nei libri sacri.
Da questo punto di vista, la religione islamica, che ha dominato nei Paesi arabi e nella regione persiana, e la religione cristiana dei nostri paesi occidentali, pari sarebbero, e non potrebbero non essere prese nella loro purezza, in intolleranza, fanatismo e ostilità verso quel pensiero scientifico che non tollera “verità rivelate” e ogni idea vuole sottoporre al kantiano giudizio del tribunale della Ragione.
Senonché, la differenza più evidente sarebbe nel fatto che ad un certo punto, segnatamente con l’avvento della modernità e con il trionfo della scienza-tecnica, i paesi occidentali hanno cominciato a sganciarsi dalle ipoteche e dai vincoli del cristianesimo, il quale ha dovuto sempre più anch’esso modernizzarsi e laicizzarsi, mentre i paesi arabi sono rimasti ad uno stdio della civiltà simile, per fanatismo e oscurantismo, al nostro Medioevo.
Uno stadio da cui usciranno ovviamente solo il giorno in cui conosceranno qualcosa di simile alla nostra secolarizzazione (che, come Cadelo appropriatamente chiarisce, può andare disgiunta dal processo di modernizzazione tecnologica, se questo si realizza non tenendo presenti quelle precondizioni culturali, politiche e economiche che caratterizzano il nostro mondo basato sulla libertà e che hanno preparato il terreno alla modernità).
Secondo questa interpretazione, l’età moderna in occidente ha significato una specie di ritorno al paganesimo dell’età classica, cioè ad una cultura che Cadelo idealizza alquanto e vorrebbe caratterizzata da una tendenziale capacità di aprirsi all’altro e al diverso, dal riconoscimento del pluralismo delle opinioni e della democrazia, dai commerci e dall’economia di mercato.
L’età cristiana, che portò alla morte la cultura pagana, segnò perciò una forte frattura col mondo antico, informando di sé quelli che vanno considerati a tutti gli effetti i “secoli bui” dell’Occidente. E’ impressionante come il concetto di Medioevo, proprio sulla scia della tradizione illuministica (diventata oggi quasi senso comune con il trionfo dell’“illuminismo di massa”), si slarghi così tanto nel libro di Cadelo da trasformarsi da concetto periodizzante a categoria ideale e morale connotata in senso negativo.
Tutto ciò che è contro il pensiero scientifico è da considerarsi, per l’autore di queste pagine, “medievale”.
Ma è una definizione comune sì, ma che contrasta sia con la consapevolezza che sempre più si sta acquisendo del Medioevo cristiano, e anche cattolico e ecclesiastico, come una fucina, seppur parziale e contraddittoria, di quelle che saranno le libertà e il pluralismo dei moderni, sia con l’idea poco storicistica che la storia possa procedere per fratture ed essere segnata da “parentesi”.
D’altronde, la civiltà classica, lungi dall’essersi fondata sul valore dell’individualismo, era invece dominata dallo spirito di clan e dalle famiglie che in modo esclusivo costituivano il ceto dirigente del tempo. Il valore dell’individualità è stata invece introdotta nell’Occidente proprio da quella che Benedetto Croce anche per questo motivo considerò la più grande rivoluzione spirituale dell’umanità, cioè dal cristianesimo.
Non è quindi un caso che sia stato in Occidente e non nei paesi dominati dall’Islam, che, a un certo punta, sia emersa, come figlia del cristianesimo, la civiltà moderna, quella che oppone allo spirito della comunità (che era proprio della civiltà classica e che è esemplificata oggi dalla umma musulmana), la eccezionalità e non riducibilità di ogni persona, uguale ad ogni altra in quanto figlia di unico Dio.
Un’uguaglianza che si realizza però nella diversità e nella specificità attestata dal rapporto diretto della coscienza di ogni uomo con quel Dio che, con essa, immette una “scintilla” si sé stesso nell’universo mondano La stessa secolarizzazione, come ci hanno insegnato fra gli altri Karl Loewith e Friedrich Nietzsche, è intrisa di spirito cristiano e ragiona nell’ordine di senso introdotto nel mondo dal cristianesimo.
La dialettica paganesimo-cristianesimo, che Cadelo mutua da Pellicani, è pertanto non solo troppo rigida, ma anche errata sia nei presupposti teorici sia nel riscontro storico di quello che è stato l’effettivo svolgimento della nostra civiltà. Cadelo ha l’indubbio merito di mostrare l’intrinseca connessione di mercato-democrazia-pensiero scientifico.
Ed anche quello di farci capire come questo legame sia stato troncato alla radice da una vera e propria “teologia politica” quale è quella islamica. L’islamismo, nella misura in cui non può non convertirsi in islamismo politico, agisce nello stesso orizzonte di senso in cui operano i fondamentalisti e i terroristi islamici. I quali radicalizzano e portano alle estreme e nefaste conseguenze ciò che è l’essenza della religione islamica, che è una religione di guerra e non di amore o carità.
Quello che però Cadelo non è disposto a riconoscere al cristianesimo è il suo carattere di opposizione ad ogni forma di potere costituito, anche di quello che storicamente ha assunto la bandiera di Cristo. Infine, negli ultimi due capitoli, l’autore getta un opportuno sguardo sull’oggi, mostrandoci come la reislamizzazione di paesi arabi già avviati verso il mondo moderno, unita al risentimento sociale verso l’Occidente, è da temere forse più che il terrorismo in sé.
Avercelo ricordato, è un altro dei meriti di questo libro che comunque traccia un solco non convenzionale nella riflessione attuale sul mondo islamico. Anche se curiosamente il punto interrogativo presente in copertina scompare nel frontespizio, si può dire, in conclusione, che Cadelo è convinto che fra Allah e la scienza non ci sia dialogo possibile.
Idea condivisibile, anche se sulle argomentazioni si può, come qui si è fatto, dissentire.