Mentre l’attenzione internazionale è focalizzata sull’attività della Corte Penale Internazionale in Ucraina, numerosi sono gli sviluppi sulle altre, numerose, situazioni – per usare il termine tecnico che si ritrova nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte, per dipingere gli scenari concreti all’interno dei quali la Corte stessa è chiamata ad esercitare la sua giurisdizione – nelle quali dall’organo della giustizia internazionale sono già state aperte indagini, sia preliminari che formali, o è stato dato inizio ai procedimenti a carico dei responsabili.
Il 31 ottobre, infatti, la Camera Preliminare ha autorizzato la riapertura delle indagini sulla situazione in Afghanistan, accogliendo la richiesta del Procuratore che lamentava l’ineffettività dei procedimenti in corso avanti le autorità giudiziari locali per i crimini internazionali che erano stati loro devoluti sulla base del principio di complementarietà che regola l’azione della Corte Internazionale, chiamata a intervenire solo quando le autorità giudiziarie dello Stato ordinariamente competente non hanno capacità o volontà di perseguire i crimini internazionali.
Analoga richiesta il Procuratore ha indirizzato alla Camera Preliminare per riaprire le indagini sulla situazione in Venezuela, dopo che le stesse erano state provvisoriamente archiviate in seguito alla richiesta di tale Stato di condurle direttamente, attraverso le proprie autorità giudiziarie nazionali, senza giungere, però, a risultati sufficienti nell’ottica della persecuzione penale dei responsabili dei crimini internazionali commessi in tale contesto.
Anche in questo caso il Procuratore ha lamentato, infatti, come le azioni intraprese a livello nazionale non abbiano, allo stato, il necessario carattere di effettività ed ha, pertanto, richiesto di riavviare le indagini in sede internazionale.
Del 26 ottobre è, poi, il rapporto periodico delle attività svolte nel biennio 2021/2022 che la Corte Penale Internazionale, per mezzo del suo presidente Piotr Hofmanski, ha sottoposto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, durante i lavori della 77ma sessione, tuttora in corso, in ottemperanza all’Accordo di Collaborazione stipulato nel 2004 tra la Corte stessa e le Nazioni Unite e della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il Presidente della Corte ha, tra l’altro, sottolineato, nel presentare il rapporto, che solo in tale periodo sono state circa 13.000 le vittime di crimini internazionali che hanno partecipato, in varie forme, ai procedimenti pendenti, nelle diverse fasi, avanti la Corte e riguardanti le situazioni in Congo, Uganda, Repubblica Centro Africana,Darfur, Kenia, Libia, Costa d’Avorio, Mali, Georgia, Burundi, Afghanistan, Bangladesh e Myanmar, Palestina, Filippine, Venezuela e Ucraina e alle indagini preliminari in Nigeria e Guinea.
Poco prima era stato il Procuratore della Corte a sottoporre al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il suo 35mo rapporto sulle attività svolte nella situazione in Darfur, che è stata deferita alla Corte nel 2005 proprio dal Consiglio di Sicurezza, confermando, tra l’altro, che nell’aprile del 2022 ha avuto inizio il primo dibattimento a carico di uno dei soggetti incolpati di crimini internazionali commessi in tale scenario.
Dati molto interessanti si ricavano dagli analoghi rapporti presentati dal Procuratore al Consiglio di Sicurezza in ordine alla situazione in Libia, rispettivamente il 23mo, del 28/04/2022, e il 24mo, molto recente, del 09/11/2022.
Il Procuratore ha evidenziato non solo un rinnovato impegno a perseguire i crimini internazionali commessi nello scenario libico e una modifica della strategia di indagine e di persecuzione penale, ma ha con chiarezza evidenziato come sia emersa una linea di indagine che collega chiaramente l’azione dei responsabili della tratta di migranti a crimini contro l’umanità di competenza della Corte per i quali sono stati identificati, in relazione alle violenze subite dalle vittime nei centri di detenzione, i presunti responsabili nei confronti dei quali sono già stati emessi alcuni ordini di custodia che potrebbero essere resi noti a breve, unitamente ad altri ordini emessi sulla base di successive richieste.
E’ probabile che gli elementi emergenti dai procedimenti in corso obbligheranno a nuove valutazioni politiche e giuridiche delle azioni che oggi caratterizzano la condotta degli Stati in uno scenario mediterraneo di migrazioni, destinato a ricevere una descrizione diversa da quella sino ad oggi prevalente, con una probabile rivalutazione degli strumenti normativi predisposti dalla Convenzione di Palermo contro il Crimine Organizzato e dai suoi Protocolli Aggiuntivi in materia di contrasto alla tratta e allo sfruttamento dei migranti che, in un’ottica coerente con quella dello Statuto di Roma, pone in evidenza un aspetto spesso trascurato della tutela dei diritti umani, quello della sicurezza delle persone e degli obblighi dello Stato di assicurarla, che il prof. Cherif Bassiouni, uno dei fondatori del diritto penale internazionale, tratteggiò dal punto di vista sistematico già nel 1982, in un intervento rimasto forse famoso solo per essere stato rilanciato, in quell’occasione, il brocardo “Aut Dedere aut Judicare” che, con il tempo, avrebbe sostituito in chiave garantista il noto ”Aut Dedere aut Punire” coniato da Grozio nel 1624 nel suo De Jure Belli ac Pacis, ma il cui contenuto, in realtà, ha consentito di porre le basi per comprendere sia l’importanza del ruolo delle vittime nei meccanismi, giudiziari e non, di protezione dei diritti umani, che la difficoltà della posizione degli Stati, chiamati a non ingerirsi nell’esercizio dei diritti umani individuali fondamentali e, nello stesso tempo, a proteggere la sicurezza di ciascun individuo affinché quei diritti possano essere effettivamente goduti in modo libero da interferenze di altri individui.
Il Procuratore, infine, ha sottolineato l’importanza del lavoro della squadra investigativa comune che indaga in Libia, composta da Europol e dalla polizia giudiziaria di Italia, Olanda, Inghilterra e Spagna, cui di recente ha formalmente aderito anche la squadra investigativa della Corte stessa, e ha lanciato un appello agli Stati per essere pronti ad esercitare la propria giurisdizione universale sui crimini internazionali, ricordando le recenti estradizioni ottenute, nell’ottobre 2022, in Olanda e in Italia a carico di due trafficanti somali di migranti etiopi.
Analogo appello era stato lanciato dal Presidente della Corte Penale Internazionale nel discorso di presentazione del rapporto delle attività della Corte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel quale il Presidente Hofmanski ha sottolineato come senza un significativo progresso dell’applicazione del principio di complementarietà – compreso l’esercizio in concreto della propria giurisdizione universale sui crimini internazionali e la formazione specifica di magistrati, avvocati e ufficiali di polizia giudiziaria – lo sforzo dell’organo giudiziario internazionale per la persecuzione penale e la repressione di crimini internazionali odiosi come il genocidio,i crimini contro l’umanità, il crimine di aggressione e i crimini di guerra è destinato a non raggiungere il proprio scopo di giusta punizione dei responsabili e di indispensabile deterrenza verso coloro che, confidando sull’impunità, avessero in programma l’esecuzione di analoghi crimini.
Un preciso monito che, tra gli altri, è certamente indirizzato anche all’Italia che, dopo oltre venti anni dall’entrata in vigore dello Statuto di Roma, non si è ancora dotata di un codice dei crimini internazionali, strumento indispensabile per il corretto e fluido esercizio della giurisdizione universale sui crimini internazionali da parte di ogni Stato.
Raccomandazione che l’Assemblea Generale ha prontamente recepito reiterando, nella risoluzione con la quale ha approvato il rapporto della Corte, l’invito agli Stati Parte dello Statuto di Roma ancora in ritardo a dotarsi al più presto di una normativa di esecuzione delle obbligazioni positive contenute nello strumento internazionale.
L’auspicio è, pertanto, che i lavori di redazione del codice dei crimini internazionali, commissionati dal Ministro della Giustizia in occasione dell’esplodere della guerra in Ucraina e consegnati dalla Commissione Ministeriale nel giugno 2022, possano quanto prima, dopo lo stop imposto dal termine anticipato della legislatura, essere portati dal nuovo Governo all’attenzione del Parlamento, mettendo la parola fine ad un lungo e imbarazzante ritardo nella completa esecuzione di uno strumento internazionale che non solo porta il nome di Statuto di Roma, città nella quale ha visto la luce, ma che la cronaca oggi porta all’attenzione del mondo in relazione a uno scenario mediterraneo del quale l’Italia ha profonda e interessata familiarità.
Avvocato del Foro di Siracusa. Componente del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.
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