Quattro senatori a vita di vario orientamento culturale e politico (la biologa Elena Cattaneo, l’economista Mario Monti, l’architetto Renzo Piano e il fisico Carlo Rubbia) hanno firmato un documento con cui sollecitano l’approvazione in Senato della legge sul testamento biologico già approvata cinque mesi fa dalla Camera.
Si tratta di una legge che presenta certamente alcuni aspetti di ambiguità, ma che comunque mette fine a una situazione ormai insostenibile.
Dicono giustamente i quattro senatori che “quella del fine vita è una questione di libertà, di rispetto della volontà, di dignità del vivere e del morire che dev’essere lasciata quanto più possibile alla scelta di ciascuno”.
E, invece, nel nostro paese tutto è lasciato all’arbitrio dei giudici che valutano casi simili in maniera anche molto differente, facendo venir meno, in una materia così delicata, quella certezza del diritto che è indispensabile per una ordinata vita civile.
Dovrebbe provvedere la politica ma, come spesso accade, anche in questo caso la politica italiana tentenna e rinvia, spesso mascherandosi con scrupoli morali non si comprende bene quanto sinceri. Eppure, per uscire dallo stallo in cui la legge si trova, basterebbe tenere presenti alcuni principi comuni sui quali mi pare che tutti possano convergere al di là delle innegabili differenze fra una bioetica di ispirazione cattolica e una decisamente laica, dando a questo termine un significato non ideologico e antireligioso.
Una bioetica liberale è, a mio parere, una bioetica della ragionevolezza, che è poi l’unico metodo in politica per risolvere problemi altrimenti insolubili.
Dovremmo essere tutti d’accordo, laici e cattolici, sul principio della libertà di coscienza, che significa poi libertà di scelta, e sul rifiuto dell’accanimento terapeutico.
Dico dovremmo, se penso alle prese di posizione in materia di autorevoli rappresentanti del mondo cattolico. Il punto dolente della questione sta nello stabilire fin dove si può spingere questa libertà, se sia lecito nelle disposizioni anticipate di trattamento sul fine vita, rifiutare anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali.
Ora la legge approvata dalla Camera, pur con tutti i suoi limiti, permette di contemperare il diritto alla libertà di scelta circa il modo di affrontare malattia e morte con il rifiuto che, per motivi di coscienza, qualche medico potrebbe opporre alla richiesta che gli viene fatta di interrompere ogni forma di intervento.
Capisco che questo dell’obiezione di coscienza è un diritto che si può prestare ad abusi di vario tipo, come si è visto per la legge sull’interruzione della gravidanza.
Tuttavia, proprio perché s’invoca la libertà di scelta come fondamento etico del testamento biologico, questa libertà non può essere negata a chi, per motivi religiosi o semplicemente morali, non accetta di doversi astenere da comportamenti che giudica invece doverosi. Bisognerà, comunque, assicurare ugualmente che la volontà manifestata nel testamento venga rispettata.
Viviamo ormai in una società in cui, accanto al pluralismo religioso, si è sempre più affermato il pluralismo morale.
Non è facile convivere dovendo prendere atto che ci sono persone che non condividono le nostre valutazioni morali, specialmente quando queste vanno a ferire convinzioni che siamo abituati a considerare inattaccabili. Ma la sfera della politica deve restare distinta da quella dell’etica e una società liberale sopravvive soltanto se la politica è l’arte del compromesso ragionevole.
In memoria del Prof. Paolo Bonetti
1939 – 2019 †