Questa è la busta paga di un lavoratore straniero con moglie priva di reddito e tre figli a carico.
I contributi Inps che vengono versati all’Inps dall’azienda sono 479 euro (di cui 349 euro a carico dell’azienda)
ma al contempo, l’Inps versa al lavoratore 317 euro per gli assegni familiari; inoltre il lavoratore ottiene dal fisco uno sconto per detrazioni fiscali per 260 euro quindi non versa un euro di tasse e in aggiunta riceve anche gli 80 euro.
Quindi sommando importi a debito e a credito questo lavoratore allo Stato non versa nulla ma, al contrario, prende.
Infatti 479-317-260-80= +178
Tanto è vero che la sua retribuzione netta è superiore a quella lorda.
Ecco questa è una busta paga tipica di un lavoratore dipendente immigrato, uno di quelli che ci pagheranno le pensioni.
C’è poi da considerare un fatto: oltre a non versare ma a prendere, la sua retribuzione netta è addirittura superiore a quella lorda, i suoi tre figli e la moglie utilizzeranno il welfare (scuola, asili nido, sanità).
Tra l’altro molti riescono ad autocertificare familiari a carico che vivono però all’estero.
Le gestioni INPS ed Erario vengono gestite dallo Stato in modo separato. Ciò che conta è che se verso nel settore contributivo, ma prendo dal settore assistenza e fiscale per un importo superiore, il saldo per lo Stato è in rosso.
Questo lavoratore non versa un euro allo Stato grava sul welfare con il suo nucleo familiare di 5 persone usufruendo dell’assistenza sanitaria gratuita, asili nido, abitazione del Comune, scuola pubblica.
Ripeto non versando un euro allo Stato, ma a carico del contribuente italiano, figuriamoci se può pagarci la pensione.
Rimesse all’estero
Inoltre solo nel 2015 gli immigrati hanno inviato rimesse di denaro all’estero per 5,2 miliardi di euro. Dato un tasso di risparmio del 8,5% medio (dati Istat) abbiamo avuto un danno al PIL nazionale per ben 4,795 miliardi.
Calcolata una pressione reale fiscale sul PIL del 50,2% (CGIAA di Mestre) abbiamo un calo di entrate fiscali pari a 2.379 milioni di euro, superiore al mancato introito per contributi previdenziali nel caso non vi fossero immigrati, per .1618 milioni.
Un enorme flusso di denaro che andrà ad arricchire altre nazioni.
La Banca d’Italia indica inoltre che a queste cifre che transitano via intermediari ufficiali (money transfer, banche, poste) vadano aggiunti circa 700 milioni l’anno di rimesse che sarebbero inviate all’estero tramite canali “informali”, e che quindi non fruttano neanche nulla in termini di commissioni e tassazioni.
Io non voglio pensare che i politici siano in malafede, ma voglio credere che non siano informati su queste “cose che hanno a che fare con i numeri” e che quindi siano convinti che facendo entrare immigrati che hanno redditi bassi e nuclei familiari numerosi che gravano sul welfare ritengano che ci pagheranno le pensioni.
Ma non è così.
Ci potrebbero essere immigrati che pagano le pensioni: ad esempio se un ingegnere straniero arriva in Italia con moglie anche lei che lavora e tre figli a carico, se guadagna 60.000 euro lordi e la moglie 30.000 euro lordi non otterrà assegni familiari non avrà sconti fiscali e anche se utilizzerà servizi pubblici li pagherà attraverso i versamenti.
Questo è il genere di immigrati che dovremmo incentivare una immigrazione qualificata che apporta valore aggiunto e know-how.
Venire per farsi assistere?
È corretto che un cittadino straniero riceva un sostegno al reddito?
Attenzione non sto parlando di usufruire di un servizio come le strade, l’illuminazione pubblica, la raccolta rifiuti, la polizia o i vigili del fuoco. Sto parlando di sostegno al reddito, cioè integrare il reddito con denaro o godimento di beni quando una persona non è economicamente autosufficiente.
La risposta è NO.
Gli immigrati dovrebbero venire in Italia in forza di un contratto di lavoro, per apportare capitali e investimenti o per studiare.
Mai per farsi assistere. Questo è compito del loro paese di origine.
Se il lavoratore o l’investitore, una volta entrato in Italia, non è più in grado di mantenersi, producendo un reddito sufficiente per sé e la propria famiglia, entro un lasso di tempo ragionevole ad es. 6 mesi, perde il diritto di rimanere in Italia e deve essere rimpatriato nel suo paese d’origine.
Ed il motivo è evidente: ciò è assolutamente necessario in quanto, in caso contrario, verrebbe a crearsi una immigrazione finalizzata allo sfruttamento dello Stato Sociale italiano da parte di soggetti che hanno necessità di essere assistiti in quanto non economicamente autosufficienti.
La nostra Nazione senza questa clausola di salvaguardia si trasformerebbe in una sorta di bancomat al servizio delle popolazioni del globo, rendendo insostenibile la nostra spesa pubblica e l’equilibrio dei nostri conti pubblici.
Povertà, alzare l’asticella
Per evitare di importare mangiatori di welfare, cioè di tasse, è assolutamente necessario alzare l’asticella del reddito che l’immigrato deve dimostrare di produrre o di detenere. Attualmente è sufficiente dimostrare un reddito di soli 5.818 euro annui cioè 484 euro mensili. Tale importo sulla base dei dati ISTAT è assolutamente inadeguato a garantire l’autosufficienza.
Infatti il parametro di riferimento è la soglia di povertà assoluta, rappresentata dal valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.
Una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario. Per il singolo individuo è pari per il 2016 a circa 10.000 euro (9.829,56 euro mensili dati Istat) Evidentemente insufficiente.
Come accade in altri paesi il reddito mensile richiesto per ottenere il permesso di soggiorno dovrebbe essere tale da garantire una piena autonomia: almeno 13.000 euro annui se single, 20.000 se in coppia, 24.000 se con moglie a carico e 2 figli.
Al di sotto di queste soglie non sarebbe garantita l’autosufficienza e quindi la piena integrazione.
L’attuale governo britannico di Theresa May ha richiesto una entrata annua non inferiore a 35.000 sterline (40.000 euro annui 3300 euro al mese) per poter continuare a conservare il permesso di soggiorno. Persino in Thailandia, dove il costo della vita è ben più basso, è necessario produrre una certificazione di reddito dalla quale si evinca che l’entrata mensile non è inferiore a 65.000 Baht (1700 euro mensili, 20.400 euro annui a persona) per ottenere un permesso di soggiorno.
Se confrontiamo questi parametri con i 5.800 euro annui sufficienti in Italia per ottenere un permesso di soggiorno. ci rendiamo conto di quanto le nostre normative siano inadeguate e creino i presupposti per forme di assistenzialismo, concorrenza sleale e comportamenti illeciti.
Dobbiamo incentivare l’arrivo di immigrati, investitori, professionisti qualificati, portatori di patrimoni e di know-how e consumatori dei nostri beni e servizi, che avrebbero un effetto positivo sulla nostra economia, instaurerebbero una competizione positiva basata sulle competenze e sul merito e non sulla concorrenza sleale: questa è l’immigrazione che dobbiamo incoraggiare.
L’immigrazione va gestita politicamente, cioè va governata e non subita.
Dottore in Economia, Consulente del Lavoro e Commercialista, Consulente Tecnico del Giudice Tribunale di Roma