La Grecia antica rappresentò un modello per quanti cercarono, nel Terzo Reich, una solida tradizione in cui riconoscere dei padri nobili. Nelle avventurose e presunte assonanze con la classicità elaborate in quegli anni, si giunse persino ad accostare la Berlino di Hitler all’Atene di Pericle. Lo storico francese Johann Chapoutot in Il nazismo e l’Antichità ha messo in luce come gli ideologi del regime, con la complicità del tradimento dei chierici, intendessero dimostrare l’esistenza di un legame tra la Polis greca e la concezione nazista dello stato.
Il concetto di comunità di popolo (Volksgemeinschaft), caro alla pubblicistica nazista, richiama la classica dicotomia delineata dal sociologo Ferdinand Tönnies nel 1887 tra Gemeischaft (comunità) e Gesellschaft (società). Se la società si caratterizza per i rapporti formali, definiti dalla dimensione astratta e formale delle leggi, la comunità si fonda sulle relazioni personali e su una visione organica della politica, in cui l’elemento carismatico assume un grande rilievo. Da qui, entro una interpretazione razzista e aggressiva della dimensione comunitaria, emerge il nesso tra Volksgemeinschaft e Führerprinzip. Il mondo accademico venne incontro a questo sentire e adeguandosi alle esigenze della propaganda totalitaria, cercò nella Polis greca le radici di quella comunità di popolo che il nazismo voleva incarnare.
Nella lezione inaugurale del suo rettorato presso l’Università di Lipsia, lo storico della Grecia antica Helmut Berve, che come ogni rettore dal 1933 si fregiava del titolo di Rektor und Führer der Universität, individuò in Pericle, descritto come il “vertice unico dell’umanità indogermanica”, il creatore di una comunità in cui ciascuno era parte di un tutto. La politica sociale periclea, caratterizzata dalla realizzazione di grandi opere pubbliche, venne così posta in relazione con il programma nazista Arbeit und Brot (Lavoro e Pane) che, grazie ai provvedimenti dirigistici, assicurava a tutti i cittadini un’esistenza dignitosa e una piena integrazione.
L’imperialismo, per Pericle come per Hitler, sarebbe dunque stato necessario per finanziare interventi pubblici senza gravare sui cittadini con un eccessivo prelievo fiscale. Lo storico Fritz Schachermeyr ha scritto che, in questo quadro, il rapporto tra Pericle e Fidia, che si proposero di riprogettare Atene, poteva essere accostato alla collaborazione tra Hitler e Albert Speer. Germania, la nuova Berlino immaginata da Hitler e dal suo architetto, si candidava infatti ad essere la nuova Atene.
Berve non si limitò a trovare analogie tra la Germania nazista e l’Atene di Pericle, ma rivalutò anche il modello politico peloponnesiaco, sottolineando lo spirito comunitario che animava l’educazione spartana. Il mito spartano fu poi ripreso durante la battaglia di Stalingrado, in cui i tedeschi, come Leonida alle Termopili, si sarebbero sacrificati per arrestare l’avanzata dei popoli asiatici. Una squadriglia di piloti, che in quella battaglia aveva il compito di compiere missioni suicide, fu chiamata “Squadrone Leonida”. La visione aristocratica ed eugenetica di Sparta portò con sé la fascinazione per la Repubblica di Platone.
Già prima del 1933 i temi politici del pensiero platonico tendevano a prevalere su quelli gnoseologici presenti nelle letture neokantiane, come dimostra il Platon di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff del 1918-20. Nella crisi dello Stato liberale in Germania, dopo la Grande guerra, l’esigenza di individuare solidi punti di riferimento nella Classicità era ampiamente diffusa nel mondo della cultura. Il movimento del Terzo Umanesimo, di ispirazione conservatrice, non si riconosceva nelle istituzioni democratico-parlamentari della Repubblica di Weimar. Nel 1924 venne fondata la Gesellschaft für Antike Kultur, di cui sarà presidente Johannes Popitz, che partecipò alla congiura contro Hitler, coltivando la speranza, nello spirito conservatore del movimento, di un ritorno alla Germania guglielmina.
Werner Jaeger, che diresse Die Antike, la rivista del Terzo Umanesimo, scriveva in Paideia che la cultura era espressione dell’aristocrazia di una nazione, in quanto imprimeva al singolo “la forma della comunità”. Rispetto alle origini greche del pensiero occidentale, i popoli dell’Oriente erano considerati da Jaeger “spiccatamente estranei per razza e spirito”. Si avverte l’eco delle Lezioni sulla storia della filosofia, in cui Hegel scriveva che “in Grecia, l’uomo colto d’Europa, e specialmente il Tedesco, si sente a casa propria”. Se Wilamowitz e Jaeger si collocavano all’interno di un orientamento critico nei confronti della democrazia e del socialismo, ma lontano da ogni tentazione totalitaria, non fu così in molti altri casi.
Nei libri di testo per le scuole Platone venne ad esempio descritto come il filosofo che difendeva Atene e la Grecia dalla decadenza razziale e intellettuale. Al grande interesse per Platone corrispondeva una scarsa considerazione per Aristotele, che Alfred Rosenberg giudicava arido e schematico. Negli ambienti universitari si tendeva poi a prendere le distanze da Kant, il cui cosmopolitismo illuminista era in netto contrasto con il mito Blut und Boden (sangue e suolo).
Nell’ambito del pensiero antico, lo stoicismo appariva responsabile della decadenza della cultura greca, per aver corrotto, con i suoi influssi semitici, i valori nordico-ellenici incarnati da Platone. In questo clima, segnato da interpretazioni distorte e totalitarie, il filosofo ufficiale del Terzo Reich, come ha scritto Chapoutot, diveniva Platone, non Nietzsche, a cui Hitler non perdonava di essersi allontanato da Wagner.
All’Università era affidato il compito di formare i giovani che avrebbero contribuito alla costruzione della nuova Germania. Quando, nell’aprile del 1933, Martin Heidegger divenne Rettore a Friburgo, nel suo discorso di insediamento assunse un posto di rilievo la funzione di guida spirituale (Führung)dell’Università. Già nelle sue lezioni sulle Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele, Heidegger aveva sostenuto che la filosofia non poteva esaurirsi in un sapere astratto e accademico, ma doveva collocarsi nella storicità di un “contesto vitale”.
Il 3 novembre 1933 fu indetto in Germania un referendum sull’uscita dalla Società delle Nazioni e Heidegger rivolse un appello agli studenti con queste parole, che ci fanno comprendere cosa fosse per lui, in quel momento, la storicità del “contesto vitale”: “Non teoremi e idee siano le regole del vostro essere. Il Führer stesso, e solo lui è la realtà tedesca dell’oggi e del domani, e la sua legge”.
I luoghi del pensiero, scrive Rüdiger Safranski in Heidegger e il suo tempo, furono per Heidegger la Grecia e la baita-pensatoio di Todtnauberg, nella Foresta Nera. Quando, dopo le dimissioni da rettore, tornò a Todtnauberg, il suo collega filologo classico di Friburgo, Wolfgang Schadewaldt, incontrandolo per strada, gli chiese: “Di ritorno da Siracusa?”. Schadewaldt, che aveva condiviso con lui la riorganizzazione dell’Università di Friburgo durante il suo rettorato, accostava così l’esperienza politica di Heidegger al tentativo platonico di realizzare la città ideale proprio a Siracusa, luogo simbolo della grecità d’Occidente. Il progetto arcontico della filosofia, fallito a Siracusa, aveva ambiguamente ripreso vita a Friburgo.
Queste considerazioni ci fanno comprendere le ragioni dell’attacco a Platone da parte di Karl Popper. Popper ricorda che prese la decisione di scrivere La società aperta e i suoi nemici nel 1938, dopo l’invasione dell’Austria. Il libro fu concluso nel 1943, durante l’esilio in Nuova Zelanda. Gli anni tragicamente segnati dai totalitarismi condizionarono sicuramente alcune sue valutazioni, come dimostra già il titolo del primo dei due volumi dell’opera, Platone totalitario. Popper stesso, nella prefazione alla seconda edizione, nel 1959, precisava che l’opera era stata concepita durante gli anni in cui l’esito della guerra era incerto, e questo poteva spiegare perché alcune critiche potessero apparire particolarmente aspre, “Ma non era quello -commentava- il tempo di smorzare le parole, o almeno questo era il mio sentimento di allora”.
È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.