La scomparsa, di questi giorni, di Papa Benedetto XVI è stata preceduta, poco meno di un decennio fa, dalle sue dimissioni dallo scranno pontificio, avvenute l’11 febbraio 2013.
Joseph Ratzinger, accompagnato al soglio di Pietro dalla sua immagine di teologo, si è trovato a svolgere il suo Alto Ministero nel drammatico crocevia del declino in cui è precipitata l’Europa: declino culturale, declino spirituale, declino politico, declino morale, declino demografico. Ma, inaspettatamente, proseguendo in modo ancora più sofisticato l’opera filosofica di Wojtila, è riuscito a realizzare una “rottura epistemologica” rispetto alla cultura occidentale del ventesimo secolo. Cosicché, chiamando l’umanità contemporanea a ritrovare appieno le ragioni morali del proprio essere al mondo e chiedendo di riaprire le porte alla speranza, ricollocando altresì al centro della vita pubblica la persona come immagine di Dio, ha abbattuto definitivamente le barriere che il ventesimo secolo ha eretto contro la filosofia morale umanistica di impronta cristiana e liberale.
Aveva capito, insomma, quello che soltanto pochissimi intellettuali e statisti europei avevano compreso, cioè che la funesta eredità dei totalitarismi era ancora presente tra noi, che la cultura europea non era ancora uscita del tutto dal ventesimo secolo, che non si era ancora liberata dai miasmi delle ideologie totalitarie.
La Sua, infatti, è stata una condanna morale inappellabile allorquando, a proposito dei sistemi comunisti, ha avuto modo di affermare: “…La più grande catastrofe che hanno incontrato non è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale…. Ma il nodo irrisolto del comunismo continua a esistere anche oggi: il dissolversi delle originarie certezze dell’uomo su Dio, su se stessi e sull’universo. Il declino di una coscienza morale basata su valori inviolabili è ancora il nostro problema e può condurre all’autodistruzione della coscienza europea …”. Ratzinger ha voluto così lottare per recuperare all’Europa, come spazio di libertà e di razionalità, interamente la sua unità spirituale, culturale e politica; cosicché, nel quadro di un continente sfibrato, superficiale, impotente e che si vergogna persino delle proprie radici cristiane, Egli ci appare oggi davvero come l’unico (o l’ultimo?) grande statista europeo.
E’ qui, dunque, che la Storia ha voltato pagina, una pagina che, forse, si è richiusa proprio quell’undici febbraio con l’annuncio, quel giorno, delle dimissioni papali, ma che – e ciò vale soltanto come dimessa riflessione – per puro caso (ma le coincidenze della storia possono essere considerate del tutto casuali?) coincideva con quello stesso undici febbraio del lontano anno 1929, allorquando, con la firma dei Patti lateranensi, avveniva “la fusione” tra Stato e Chiesa, tra “Cesare e Dio”, sebbene l’intesa su basasse su obiettivi tra loro inconciliabili: da un lato l’intento di un inserimento strumentale della Chiesa in una concezione totalitaria dello Stato, dall’altro il proposito di una confessionalizzazione dello Stato e una sorta di restaurazione dello Stato cattolico; insomma, la “risoluzione”, con tutto il suo carico di equivoci, dell’antitesi tra la concezione Cesaropapista e quella Ierocratica. Ma – qui la “strana” coincidenza tra le due fatidiche date – la soluzione concordataria era stata sempre l’esatto opposto della visione dualistica di Papa Ratzinger, quel dualismo tra ambito sacro e ambito secolare, che sta al centro dell’ideale liberale cristiano e che deve essere mantenuto, poiché “….occorre assicurarsi che Chiesa e Stato restino separati e che l’appartenenza alla Chiesa conservi chiaramente il suo carattere volontario”.
Cosicché, Papa Benedetto XVI, con i suoi scritti – giunti al culmine di secoli di riflessione sulla libertà, poiché, nella Sua visione, è la libertà e non la forza il mezzo con cui la Chiesa avrebbe convertito il mondo – si è fatto fautore e custode del liberalismo, soprattutto di quello del XIX secolo, che si rifaceva all’insegnamento Agostiniano e dei Padri della Chiesa. Proprio questo Papa, dunque, da tanti considerato un conservatore, ha finito per chiudere tutte le questioni, che da sempre hanno angustiato il mondo cattolico, sulla posizione della Chiesa rispetto alla libertà, non già una semplice libertà religiosa bensì la libertà morale della fede stessa. Infatti, recuperando idealisticamente appieno il liberalismo cattolico emerso nel diciannovesimo secolo, ha avuto la grande forza e lo straordinario coraggio di amalgamarlo al Concilio Vaticano Secondo, contribuendo così ad aprire nuove prospettive, come promesse di verità e di salvifiche speranze, per il ventunesimo secolo.
Verità, Fede e Libertà: ecco, dunque, le parole-chiavi del Magistero di Papa Ratzinger! Non concetti vaghi e nebulosi, ma valori che trovano fondamento e compiutezza nella Ragione: a Dio si giunge attraverso la Ragione, né Dio attenta alla Ragione ed è proprio per questo che la Sua creazione possiede una logica razionale. Benedetto XVI ci ha ricordato, a tal proposito, che l’uomo può conoscere Dio proprio perché Egli agisce secondo Ragione. Grandiosa questa idea così liberale dell’uso della Ragione per giungere alla Verità! Dio è Ragione e Parola nella teologia ratzingeriana, è un logos che si compie lungo il percorso che conduce alla Verità e al Bene.
Anche la Fede – come affermato da Papa Benedetto – finisce sempre per confluire nella Ragione, ciò che ci permette di credere – anche per noi liberali – in valori immutabili, abilitando uno spazio di libertà dove le idee possano rinnovarsi senza la manipolazione del potere. Cosicché, Egli ci ha messo in guardia contro i pericoli della Ragione priva di valori e contro quelli della Fede irrazionale, in quanto entrambe rappresentano una grave minaccia per la Libertà. Quella Libertà che mantiene alta e intangibile la dignità dell’uomo davanti all’oppressione, quella Libertà che trova i suoi fondamenti nella natura razionale della Creazione, quella Libertà insita proprio nel Cristianesimo, come vera affermazione dell’uomo, tant’è che al suo massimo Rappresentante in terra – Papa Ratzinger appunto – hanno finito per guardare le moltitudini degli oppressi nel mondo alla ricerca di quella libertà di cui il Cristianesimo e l’Occidente inoppugnabilmente sono i paladini.
In tal modo, Papa Benedetto, filtrando ed amplificando il concetto di Libertà anche alla luce della Ragione, ha finito per assumere uno smisurato impegno nei confronti della stessa, come valore assoluto che vale la pena di difendere ad ogni costo, una giusta causa che si pone al di sopra del comodo relativismo morale che caratterizza il nostro tempo, un “deserto” morale in cui incautamente si è inoltrata la nostra società, la “società degli indifferenti”, con il suo triste corteo di cinismo e di sordità sociale, una società totalmente funzionalizzata dove anche l’elemento morale è subordinato alle esigenze della vita sociale, dove – per dirla con le parole del sociologo francese Emile Durkeim, uno dei padri del funzionalismo – anche la nostra morale è diventata “plastica” e totalmente funzionalizzata alle esigenze della vita sociale.
E’ proprio sui pericoli di un funzionalismo che non conosce limiti e di uno spaventoso relativismo morale, come possibile causa di distruzione di ogni valore teso a fondere l’uomo con Dio – poiché esiste una “inscindibile unificazione dell’uomo con Dio” – che Papa Ratzinger ha richiamato costantemente la nostra attenzione, sottolineando, nel contempo, il bisogno di una antropologia che sapesse rendere piena ragione alla incommensurabile dignità di ogni uomo e potesse intrecciarsi con l’obbligo che abbiamo di realizzare condizioni di vita più umane. E qui s’innesta anche la sua visione della politica, in quanto affermava “…c’è un punto in cui fede e politica si toccano”, poiché Fede e Ragione, anziché porsi in antitesi, sono capaci di illuminarsi reciprocamente; cosicché la Fede, illuminando la politica sul senso della vera giustizia, la mette al riparo dal pericolo di sottomettersi al potere fine a se stesso, anzi di diventare essa stessa solo orgia ed estetica del potere, ciò che spesso, troppo spesso è avvenuto e avviene tuttora.
In siffatta ottica, quindi, non v’è dubbio alcuno che il giusto funzionamento delle istituzioni liberaldemocratiche necessiti di una cultura politica e di una coscienza morale difficili da mantenere se si perdono di vista i loro presupposti di fede religiosa capaci di tener vivo, nel bel mezzo della dialettica democratica ispirata ai principi della maggioranza e della rappresentatività, il senso di qualcosa che debba valere sempre e incondizionatamente.
Insomma, nella visione ratzingeriana, solo “partendo dalla prospettiva di Dio”, la Ragione può essere liberata “dai suoi accecamenti” e perciò aiutata “a essere meglio se stessa” e a scoprire “il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo”.
La Sua, in definitiva, è stata – e tale rimarrà – una ricerca, una profonda riflessione, che ha voluto consegnarci per colmare le nostre aspettazioni escatologiche e per placare le nostre angosce esistenziali, non già in astratto in virtù di una Fede irrazionale, ma in concreto, per via della Ragione, poiché Dio è Ragione e logos per giungere alla Verità.
Cosicché, è proprio questo l’incommensurabile bagaglio epistemologico che Papa Benedetto ha voluto opporre alla vorticosa desacralizzazione della nostra società, una società che, nel suo desolante cammino, con la hegeliana “morte di Dio”, è inesorabilmente avviata verso una vera e propria catastrofe metafisica e morale. In definitiva, la prospettazione di un nuovo umanesimo per il terzo millennio di questa umanità dispersa e sbigottita, definitivamente alleato ai valori etici cristiani che, sul piano della interiorità e della coscienza, vale a dire dell’etica, possa far riscoprire all’uomo, pur nella sua miseria mondana, la sua immensa dignità e la sua vera grandezza nella misura in cui sente operare dentro di sé una forza eterna e immortale. Un umanesimo nuovo che in questa alleanza ritrovi anche le vere ragioni della religione della Libertà, che non differisce dalla religione tout-court, in quanto entrambe hanno come centro l’anima o la coscienza, quella Libertà che Ratzinger ha posto come indefettibile elemento per giungere a Dio, coinvolgendo e associando la Fede al valore assoluto e irrinunciabile di questa, e che un grande pensatore liberale, Benedetto Croce, assumendola ed elevandola a “Religione”, ha voluto incardinare indissolubilmente nella Storia, non più mera narrazione di fatti politici, ma, soprattutto, ricostruzione di una attività dello spirito, poiché la realtà come spirito non può essere che svolgimento, vale a dire Storia.
Non aveva inserito il Croce nella “filosofia dei distinti” anche la Verità e il Bene? Non veniva a coincidere la filosofia con il pensare storico e quindi non era la Storia stessa una teofania, vale a dire l’attuarsi e lo svolgersi dell’Assoluto? Non v’è dubbio che nella “religiosa” opera “Storia d’Europa del secolo decimonono” del 1932 Croce finisca per ammettere che la storia della spiritualità liberale si era ormai dissociata dalla storia reale per cui la religione della libertà diventava sempre più una fede metastorica, una fede agostiniana nella “Città di Dio”, che non era più assicurata la vittoria della libertà nel futuro perché “essa ha di meglio: ha l’eterno” e che, come la “Città di Dio”, sarebbe rimasta una “pellegrina” in un mondo straniero dominato dalla forza; ma proprio per questo – nella sua visione – la debolezza teorica e pratica dell’uomo si sarebbe salvata nella fede, cioè nel ritrovamento dell’Assoluto attraverso la coscienza e non attraverso la ragione.
Ma qui sta anche la grandezza di Papa Ratzinger, nell’essere riuscito a “saldare” alla Fede anche la Ragione e, dunque, la Ragione a Dio. Comunque, a parte questa fusione che nel grande pensatore liberale era mancata e che solo un illuminato teologo avrebbe potuto successivamente realizzare, resta il fatto che, per Croce, il Cristianesimo rimaneva la sola, l’unica grande rivoluzione della storia umana, che poteva ragionevolmente apparire come un miracolo. Proprio per questo la religione cristiana e la religione della libertà non differivano tra loro in quanto attinenti entrambe alla spiritualità dell’uomo, vale a dire all’anima o alla coscienza.
Insomma, consumatasi così, ad onta della barbarie totalitaria in cui era poi precipitata l’Europa, la vecchia teofania per cui la storia altro non è che l’attuarsi dell’Assoluto, il Croce perveniva alla identificazione del male con l’Anticristo, che “non è un uomo, né un istituto, né una classe, né una razza, né un popolo, né uno stato, ma una tendenza della nostra anima che, anche quando non si fa sentire in essa operosa, vi sta come in agguato: l’Anticristo è in noi”. Ed ancora: “Il vero Anticristo sta nel disconoscimento, nella negazione, nell’oltraggio, nell’irrisione dei valori stessi………Questo veramente è il peccato più grave di tutti, perché è un peccato contro lo Spirito Santo”.
Ma, nonostante la fine della guerra, il mondo continuava ad essere ammalato del cinico culto della forza, della libidine della potenza per la potenza; sopravviveva ancora un “ideale di morte”, quello del totalitarismo e del partito unico, il quale nello Stato dissolve la regione e la coscienza etica. Contro tutto questo, Croce, erede e interprete del grande umanesimo europeo, avrebbe speso le sue residue energie…esattamente come il “rivoluzionario” Ratzinger, che, però, a differenza del grande filosofo, è riuscito a recuperare come valore ultimo anche la salvezza e non solo il dovere morale.
Tuttavia, di là, di siffatti accostamenti, il cui approfondimento esulerebbe dallo spirito di questo scritto, v’è che entrambi, Epigoni di Fede e di Libertà come valori assoluti, ci hanno additato, attraverso la forza immortale dello spirito e il dono della Rivelazione, la via della Speranza in un’epoca di tenebre e di ambiguità.
Francesco Giannubilo, laurea Scienze Politiche ed ex dirigente della P.A., si occupa di studi storico-politici dell’età contemporanea. Pubblicista su testate provinciali e su “l’Opinione delle Libertà” nazionale, dopo la ricerca “Aspetti della politica italiana 1920-1940” (2013), il saggio “DALLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA ALLA DEMOCRAZIA LIQUIDA (O LIQUEFATTA?)” (2015).
Ha pubblicato: “L’ITALIA CHE (NON) CAMBIA (2010), assieme di considerazioni etico – politiche sull’impossibilità del riformismo in Italia; “1848-1870 IL RISORGIMENTO INCOMPIUTO” (2011), una riflessione sullo sviluppo storico in Italia in termini di continuità con il processo risorgimentale; “1939-1940 IL MONDO CATTOLICO ALLA SUA SVOLTA?” (2012), un profilo critico sugli atteggiamenti del mondo cattolico dagli inizi del Novecento fino all’entrata in guerra dell’Italia.