Perché Berserk è importante

Sulla scia del contributo pubblicato dal dott. Giussani sul presente blog[1], il quale analizzava attraverso una contestualizzazione economicistica il film Don’t look up, desidererei presentare un’opera a cui sono particolarmente legato, ma che credo sia anche di generale interesse conoscere.

Lo scorso 24 Giugno ha ripreso la serializzazione Berserk, un manga il cui autore, Kentaro Miura, lo scorso anno è venuto a mancare, e che per questo è ora sotto la supervisione di Kōji Mori, migliore amico del mangaka[2], e dello Studio Gaga, gruppo di allievi di Miura fondato da lui stesso. Ma perché è davvero importante parlare di quest’opera? Berserk prosegue da più di trent’anni, essendo stato pubblicato per la prima volta nel 1989, non smettendo di appassionare coloro ai quali è capitato di possederne un numero tra le mani: nel corso di queste righe, tenteremo non tanto di presentare l’opera, quanto di evidenziare le peculiarità che la contraddistinguono e la rendono sinceramente imperdibile, al di là dei gusti.

Tra i pregi più importanti e che quindi essenzialmente rendono Berserk un’opera splendente di una luce singolare e specifica, possono annoverarsi sicuramente i disegni – componente intuibilmente eminente e da considerare in un genere letterario che si racconta attraverso le figure –, essendo fonte di ispirazione per una moltitudine incalcolabile di manga successivi; può sicuramente parlarsi della coerenza delle strutture narrative a fronte di una scansione narratologica certosina, ma quanto più spicca del manga sono, a mio parere, i personaggi.

Una buona caratterizzazione di un personaggio passa attraverso almeno due presupposti: la coerenza delle sue azioni, ed uno sviluppo consolidato da motivazioni narrativamente solide.

Un personaggio ben funzionante, credo, è un personaggio scritto avendo l’umano come sfondo: lì dove la linea di demarcazione tra il personaggio e la persona s’assottiglia sempre con più convinzione, c’è un’ideazione soddisfacente. È proprio questo che, infine, permette qualcosa che si trova al confine tra il magico ed il sublime, e che è prerogativa del letterario: l’identificazione tra il lettore ed il personaggio che viene letto, come se, infine, fosse il lettore ad essere letto dal personaggio che è consapevole di essere oggetto di lettura.

Il personaggio narrato, dunque, diventa in questo modo una identità narrativa, o meglio, un’identità narrata, passibile d’essere intesa come modello da colui che è capace di intenderne la lettura, e questo è possibile proprio perché una caratterizzazione funzionante sostanzia il lasciarsi-narrare del personaggio. La potenza di un’identità narrata si dischiude fragorosamente quando il soggetto, leggendo, ferma la propria attenzione in un punto specifico e, sollecitato dall’incalzare della narrazione, si domanda intorno alle azioni dei personaggi, identificandosi con essi. In questa maniera, viene invaso da questioni impellenti poiché scoperchianti l’ambito in prima battuta della morale, ma anche della psicologia, dell’etica, e della virtualità dell’esistenza.

Di fatti, il potere inimitabile della letteratura non sta semplicemente nelle belle ed indimenticabili storie, ma nel posizionare attivamente il soggetto-lettore dinanzi ad una narrazione, e questa attività si manifesta proprio nel momento in cui, riflettendo, ogni soggettività identificata con una identità narrativa si pensa virtualmente: la storia narrata diviene in questo modo, da un intreccio autorialmente architettato, un virtuale che è affare del soggetto-lettore.

In altre parole, l’attività del soggetto-lettore si dà nel vestire-i-panni: egli incrocia la sua esistenza a quella del personaggio, virtualizzandosi nella sua situazione e questionandosi intorno al da farsi, come se quella storia gli appartenesse, ed anzi, in realtà parlasse proprio della sua esistenza.

L’opera di cui quindi si fa esperienza diventa, sartrianamente, occasione per il soggetto di assaporare la Libertà: messo-a-virtuale, il soggetto-lettore penserà sé stesso nella storia e, contestualizzatosi, si arrovellerà intorno alle possibilità che possano quanto più auspicabilmente renderlo felice della sua condizione.

Berserk, nella sua narrazione, ha la specificità di portare in scena non solamente dei personaggi credibili e coi quali ci si può facilmente identificare e virtualizzare, ma l’umanità nella sua più spoglia e crudamente intima visione: la destabilizzazione a cui molte volte si è soggetti leggendo le tavole del manga non deriva solamente dal dettaglio tecnico del disegno, che certamente contribuisce all’immersione, ma sorge dalla consapevolezza che l’intera narrazione si sorregga su intenzionalità umane, troppo umane.

Sono stati sprecati fiumi di parole intorno alle coincidenze tra la narrazione berserkiana e la filosofia nietzschiana, ed a ragione: seppure, come viene spesso ripetuto, il protagonista ed il destino al quale è subordinato sembrino richiamare con chiarezza l’eterno ritorno di Nietzsche, io sostengo che, pur essendo una tesi accettabile, il vero e proprio richiamo lo si abbia ai livelli del dionisiaco e dell’apollineo. Nonché ai livelli dell’umano come tale, seguendo la direttrice nietzschiana.

È proprio infatti la coesistenza e la co-appartenenza di questi princìpi fondamentali a sostanziare, secondo Nietzsche, l’umano: se l’apollineo descrive l’ordine e la compostezza, il dionisiaco invece porta seducente eco alle tensioni più caotiche, dinamiche e abissali dell’uomo; vale a dire, tutto ciò che nella topica freudiana ricadrebbe nell’istanza psichica dell’es, luogo del rimosso e degli istinti inibiti.

Berserk risulta perturbante[3] perché parla del dionisiaco, e dell’es, rendendoli fattualmente protagonisti indiscussi dell’azione narrativa, e questo, in un certo qual modo, significa fare dell’umanità più sincera e spontanea il vero perno movente gli intrecci elaborati. All’interno del manga, l’umanità viene messa a nudo, e viene esposta in tutta la sua carnalità, senza alcun nascondimento, e senza vergogna. Non c’è niente in Berserk che non sia tremendamente – ed alle volte disgustosamente – umano.

Vorrei quindi spendere qualche riga intorno ad una dinamica importante, ma che mi rendo conto possa aprire ulteriori argomentazioni fuorvianti rispetto al tema in oggetto; ciononostante, ritengo che concettualmente abbia diretta inerenza con il discorso intrapreso ed anzi, una volta discussa, sono sicuro possa ampliare le nostre vedute sul tema.

L’autorialità, spesso e volentieri, si trova a fare i conti con qualcosa di tanto mostruoso quanto complesso: la censura editoriale. Nei casi delle storie, e quindi della letteratura, una censura è necessaria quando, ad esempio, alcune situazioni risultano grottescamente rappresentate e, seppure anelino ad un significato simbolico, non decadono che nel disgustoso. E questo, chiaramente, ha a che vedere anche con quanto risulta disgustoso per una certa udienza, a seconda del sentire del momento storico; più profondamente, riguarda i tabù oscuranti specifiche tematiche. Il legame tra letteratura e tabù è decisamente qualcosa che meriterebbe di essere approfondito.

Ciononostante, com’è facilmente deducibile, l’autorialità non può che essere intaccata dalla possibilità della censura: se qualcosa non può essere detta o non può essere rappresentata, o dev’essere narrata o raffigurata in altro modo, oppure dev’essere tagliata; nel primo caso, il rischio di perdere qualcosa nel processo è dietro l’angolo, nel secondo è assoluto.

Nel caso di Berserk, la casa editrice ha fatto qualcosa di davvero coraggioso: ha lasciato all’autore una libertà intuiamo assoluta, vedendo la crudezza inquietante di diverse tavole, e ciò, editorialmente, specie a livello di immagine, è qualcosa di rischioso; Berserk non ha timore a rappresentare scene di violenza sessuale, di violenza dal sapore deviato, né ha reticenza alcuna ad intavolare tematiche decisamente vulnerabili alla forbice della censura.

Non vorrei che comunque mi si fraintendesse: l’immagine che vogliamo regalare non è quella di un’opera che fa dell’eccesso la sua fortuna; desidereremmo, piuttosto, evidenziare come Berserk sia stato possibile specie attraverso un piano editoriale ben ponderato, sinergicamente corroborato dalla mano di un autore competente che ha saputo trattare alcune questioni taglienti in modo narrativamente contestualizzato, e sempre raffinato.

Non solamente, pertanto, Berserk, affinché fosse concepito, ha dovuto oltrepassare le barriere della censura dell’individualità freudiana, ma ha dovuto anche espugnare le mura della censura editoriale, alle volte pure più inespugnabile della rimozione psicoanalitica. Per parlare dell’umano, è evidentemente necessario abbattere le soglie della censura.

Insomma, Berserk dapprima di essere una storia coerentemente narrata che urla una conclusione vista la sua senescenza, ed un’ottima opera letteraria per come da noi intesa, è anche un complesso progetto editoriale, che sicuramente ha necessitato e necessiterà di un’oculata supervisione perché continui a funzionare per come originariamente inteso. Specie se dopo più di trent’anni la sensibilità del mondo ad alcuni temi cambia, e l’autore non c’è più.

Concludendo, ciò che rende questo manga importante non è il fatto che goda di una storia avvincente, o di personaggi verosimili coi quali potersi identificare e virtualizzare; bensì, è il suo farsi vascello della significazione più ingloriosa, ma più abissalmente autentica, dell’umano, tolto dalla censura, psicoanalitica ed editoriale.

NOTE

1: Puoi recuperare il contributo in questione al seguente link: https://www.einaudiblog.it/dont-look-up/

2: Così vengono chiamati gli autori di manga.

3: Utilizziamo questo termine con consapevolezza nella misura in cui, nella teoretica freudiana, il perturbante è quel qualcosa che ci turba in quanto, al livello dell’inconscio, ci riconduce a qualcosa di massimamente familiare (cfr. S. Freud, Il perturbante, Theoria, Santarcangelo di Romagna, 1993).

BIGLIOGRAFIA ESSENZIALE

Circa la questione dei modelli narrativi, e della loro importanza nei confronti della costituzione individuale, rimandiamo a P. Ricœur, L’identité narrative, in «Revue des sciences humaines», LXXXXV, 221, janvier-mars 1991, pp. 35-47; a cura di A. Baldini, è presente una preziosissima traduzione, pubblicata dalla rivista Allegoria, qui consultabile: https://www.allegoriaonline.it/8-lidentita-narrativa

Nei riguardi della Libertà e del virtuale in Sartre, rimandiamo a J.P. Sartre, L’essere e il nulla, il Saggiatore S.r.l., Milano, 2014, pp.64-82.

Vogliamo segnalare, circa una possibile inerenza tra tabù e letteratura, una ricerca curata da G. Depoli e V. Grisorio, ed edita Mimesis, dal titolo Sulle soglie dell’irrappresentabile. Eccesso e tabù tra letteratura, cinema e media (Milano, 2020), che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi nel 2018 a Pavia dove, sul tema del tabù in letteratura e non solo, si confrontano vari studiosi.

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