Dopo la caduta dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Patto di Varsavia è sicuramente mancata la volontà di ridefinire i rapporti di forza in Europa da parte dei Paesi occidentali, nell’errata convinzione che le regole della democrazia liberale dovessero ormai essere universalmente riconosciute. L’allargamento della Nato verso i Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia è stato quindi considerato una manifestazione egemonica, che ha in qualche modo offeso la dignità di una grande potenza come la Russia. Lo dimostrano le vicende che hanno condotto alla situazione attuale. Vi erano probabilmente ragioni concrete per sperare che in Ucraina la diplomazia arrivasse prima delle armi, ma Putin ha scelto le maniere forti, intervenendo militarmente, secondo uno stile che ricorda i metodi seguiti nell’era sovietica, in cui si è formato. Metodi, questi, che sono lontani dal sistema di relazioni che governano i rapporti fra gli stati europei e che sembrano collocare la Russia in un contesto eurasiatico estraneo alle liberaldemocrazie.
Le interferenze russe a sostegno dei movimenti populisti in Europa, di Trump negli Stati Uniti, del voto sulla Brexit in Gran Bretagna, hanno indicato chiaramente, in questi anni, l’intenzione di destabilizzare le democrazie occidentali, promuovendo modelli autoritari, quasi a voler controbilanciare l’influenza liberale che si stava affermando all’Est. L’ostilità verso l’Occidente è legata anche al rilievo che in Russia ha assunto oggi la corrente dell’eurasiatismo che, sviluppatasi nel corso dell’ ‘800, individuava nell’ortodossia e nell’eredità bizantina la specificità della Russia, contrapponendola all’universalismo illuministico europeo. Questi temi, al centro della riflessione del filosofo Konstantin Lenot’ev negli anni ’70 dell’800, sono stati ripresi nel corso dei primi decenni del ‘900. Intorno al 1970 lo storico Lev Gumilev, figlio della poetessa Anna Achmatova, rielaborò questa teoria, che, con una chiara declinazione geopolitica, rivive ai nostri giorni, come dimostra il libro del filosofo Aleksandr Dugin La quarta teoria politica.
Nel 1992 Eduard Limonov, una figura controversa che si proponeva di far dialogare il nazionalismo col bolscevismo, fondò il Fronte Nazionale Bolscevico. Dugin, che inizialmente ne aveva condiviso il programma, scelse in seguito di dar vita a un movimento eurasiatico, con l’intenzione di coinvolgere anche le varie espressioni delle destre nazionaliste.
In questo quadro si può collocare il progetto di Unione Eurasiatica, elaborato da Putin nell’ottobre del 2012, che si proponeva di coniugare i temi dell'eurasiatismo con la specificità geopolitica della Russia postsovietica. La crociata antimoderna di Dugin, accolta dai sovranisti, riesce a conciliare, in modo spregiudicato, le più diverse correnti di pensiero che si sono opposte al liberalismo. Incontriamo infatti il tradizionalismo di Guenon e di Evola accanto Gramsci, a Schmitt, ad Alain de Benoist. Dugin scrive inoltre di provare un grande interesse per “due filosofi italiani di sinistra, il cui pensiero non è appassito nei vecchi schemi e che non hanno lasciato posizioni ai liberali – e sono Massimo Cacciari e Giorgio Aganben”
Questa chiamata alle armi degli avversari, veri o presunti, della democrazia liberale e della Società aperta evoca purtroppo i momenti più cupi del secolo scorso, in cui il nemico comune, per le destre come per le sinistre autoritarie, era rappresentato dal liberalismo, le cui garanzie procedurali apparivano come vuoti formalismi borghesi. La logica dell’emergenza, adottata dai regimi autoritari, può infatti consentire di reprimere senza ostacoli i nemici del popolo, come accadeva ieri nella Germania di Hitler e nell’URSS di Stalin e può accadere oggi in Russia, in Cina, in Turchia, in Egitto e in tante altre autarchie nelle quali Dugin certamente si riconoscerà. Sarebbe strano se in questi luoghi si coltivasse un particolare interesse per la concezione kelseniana della democrazia o per la Società aperta di Popper. L’esigenza di identificare, entro un perenne stato d’eccezione, i nemici del popolo, diviene infatti fondamentale in un regime autocratico, che proprio nell’opposizione amico-nemico, teorizzata da Schmitt, può trovare la sua legittimazione. Si avverte un certo disagio nel constatare con quanta timidezza, in diversi ambienti politici, venga
affrontato il tema del controllo dell’informazione e delle limitazioni della libertà personale in Russia e come, fra gli slogan di questi giorni, siano diffuse le critiche agli Stai Uniti, mentre passano quasi in secondo piano i crimini che l’Ucraina sta subendo in seguito all’invasione russa. Troviamo poi, schierati a difesa, più o meno palese, di Putin, leghisti, aderenti alla galassia della sinistra, cinquestelle, ANPI. Destre e sinistre si trovano unite, così, nella retorica antiamericana e nell’indulgenza verso le forme postmoderne del dispotismo euroasiatico.
Nell’ottobre del 2018 Dugin salutò con entusiasmo l’alleanza fra Salvini e Di Maio, considerandola il primo caso, nella politica moderna, in cui il populismo di destra e quello di sinistra avrebbero potuto collaborare per costruire un’alternativa ai sistemi politici prevalenti in Europa. Nel richiamarsi alla tradizione e al popolo, Dugin evoca l’immagine della comunità, intesa come un grande organismo, in cui il singolo si annulla. Avveniva così nella comunità di popolo (Volksgemeinschaft) del Terzo Reich, che trovava compimento nel Führerprinzip, il primato assoluto e carismatico del Führer. Questi temi riecheggiano, in qualche modo, nel discorso in cui Putin considera l’Ucraina, secondo una concezione organicistica e totalitaria, parte integrante della Grande Madre Russia. Risulta dunque paradossale che, accogliendo idee e metodi tipici del Terzo Reich, Putin chiami nazista chi rivendica la propria autonomia contro il suo dispotismo postsovietico ed eurasiatico.
La crisi del carisma putiniano sembra tuttavia vicina. Il Pil russo è vicino a quello italiano e si fa fatica a pensare come, dinnanzi alle enormi spese militari e agli effetti delle sanzioni, Putin possa conservare il consenso di un popolo che sarà sempre più povero e che non riesce a vedere un nemico nell’Ucraina. In questo clima, il mondo dell’ economia prenderà le distanze da un leader che di fatto bloccherà le relazioni commerciali con l’occidente. Il conseguente spostamento della Russia nell’orbita cinese creerà inoltre contrasti anche nella cerchia più vicina allo stesso Putin, che non potrà mettere a tacere queste voci, con i metodi brutali finora adottati con gli oppositori e con la stampa. Pensando al nostro variegato paesaggio ideologico, stupisce che quanti, tra politici e intellettuali, hanno tuonato contro la dittatura sanitaria e gli attentati alla Costituzione, siano talora così concilianti nei confronti di un regime che calpesta le libertà fondamentali dei suoi cittadini e invade uno stato sovrano.
È presidente del Collegio Siciliano di Filosofia. Insegna Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio. Già vice direttore della Rivista d’arte contemporanea Tema Celeste, è autore di articoli e saggi critici in volumi monografici pubblicati da Skira e da Rizzoli NY. Collabora con il quotidiano Domani e con il Blog della Fondazione Luigi Einaudi.