In questi giorni drammatici nei quali è incerto il futuro della nostra società civile, colpita da virus e da recessione, vengono prodotti studi e segnalate iniziative di riforma del sistema fiscale volti a farlo divenire più giusto.
Si debbono fare alcune considerazioni. La prima riguarda il concetto di giustizia. Come tutti i valori primari (buono, bello, giusto) ha un significato assoluto, ma in concreto il suo significato è relativo al sistema di valori che culturalmente e storicamente ciascuno di noi porta con se’. L’astratta giustizia che vogliamo nel nostro intimo si traduce nella vita nella legalità contingente (il ministero della giustizia dovrebbe denominarsi della legalità). I promotori di riforme non perseguono dunque un valore assoluto, ma propongono un disegno politico della società che dovrebbero chiarire a monte del progetto.
Indipendentemente da queste valutazioni di fondo, ritengo in secondo luogo che pretendere, in questo momento di transizione, di sapere quale giustizia fiscale deve diventare la nostra legalità fiscale è davvero inopportuno. La proposta del legislatore demiurgo è sempre da respingere, ma tanto più ora, quando i cambiamenti della nostra organizzazione di vita possono prendere le più varie direzioni, in funzione dell’evoluzione sanitaria.
Si deve dare atto invece che come la natura è ingiusta altrettanto lo è il sistema fiscale, opera imperfetta dell’uomo. Come alla natura ci siamo adattati, così ci siamo adattati, nelle scelte di lavoro e generalmente economiche, al sistema fiscale. Questi riformatori produrrebbero sulla nostra vita, in nome di una astratta giustizia, gli effetti di una catastrofe naturale. E non è detto che la loro idea di giustizia sia la migliore. Sarebbe necessario dopo il loro intervento riprogrammare orientamenti professionali e investimenti; sarebbe da rieducare tutta la struttura dedicata alla riscossione e al controllo delle imposte. Il tutto con il vincolo di mantenere inalterato il gettito.
In conclusione, meglio rinunciare alle grandi riforme. Facciamo se necessari piccoli aggiustamenti. Se vogliamo fare un po’ di politica economica, agiamo su esenzioni transitorie nelle aree da incentivare. E basta così.
In Banca d’Italia dal 1965, prima ai Servizi di Vigilanza sulle aziende di credito, poi, da dirigente, con responsabilità di gestione delle strutture organizzative, dell’informatica e del personale; dal 1996 Segretario Generale della Banca, con responsabilità del personale, delle relazioni sindacali, dell’informatica, delle rilevazioni statistiche e ad interim della consulenza legale. Cessato dal servizio nel 2006.
Già rappresentante italiano dal 1989 presso l’Istituto monetario europeo (Basilea) e poi presso la Banca Centrale Europea (Francoforte) per i problemi istituzionali e l’organizzazione informatica. Inoltre rappresentante sempre a partire dal 1989 presso il G20, Banca dei Regolamenti Internazionali, come esperto informatico.
Autore e coautore di pubblicazioni sull’ordinamento bancario, sulle economie di scala e sugli effetti dell’informatizzazione. Ha organizzato presso la Fondazione nel gennaio 2015 il convegno sulla situazione carceraria in Italia.