Fino a 12 mila decessi al giorno potrebbero prodursi da qui alla fine dell’anno, non per coronavirus, bensì per le conseguenze sociali sui gruppi più vulnerabili delle interruzioni e le alterazioni economiche, determinate dalle misure di prevenzione per contenere il contagio. Secondo l’Università Johns Hopkins, il tasso di mortalità per carenza nutrizionale è destinato a oltrepassare quello per COVID-19 nel suo punto più alto.
Gli enormi livelli di disoccupazione che si sono generati, e le barriere per le attività lavorative nel settore informale, che su scala globale supera il 60 per cento, con 6 lavoratori su 10 e 4 imprese su 5, hanno aumentato il numero di quanti non riescono ad accedere, in forma adeguata o regolare, a fonti alimentari. Negli ultimi quattro anni, si era arrivati a quasi il 70 per cento, a causa del cambio climatico, i conflitti armati, e recessioni regionali, ma per il PAM si sta registrando un’impennata.
La diminuzione del potere di acquisto, accompagnata dal rialzo e l’instabilità del paniere dei prezzi al consumo, dovuta alla chiusura dei mercati e le difficoltà logistiche, particolarmente acuti in certe realtà, hanno provocato una forte ripercussione sui mezzi di sussistenza delle famiglie. In Pakistan, per esempio, il costo del grano e della farina di frumento è aumentato, rispettivamente, del 4.9 e dell’8.4 per cento. Paesi come lo Yemen, l’Afghanistan e l’Etiopia, rappresentano casi critici di carenza prolungata di cibo.
Le donne dei paesi in via di sviluppo, e i nuclei monoparentali dove il capofamiglia è di sesso femminile, sono maggiormente colpiti. I dati della FAO indicano che la pandemia aggiunge 135 milioni di individui alla cifra di 821 milioni che nel 2019 non si trovavano nelle condizioni di poter garantire il proprio sostentamento.
In Venezuela, dove è in atto un triplice dissesto politico, economico e sanitario, e nel corridoio secco centroamericano, dove si consuma una carestia invisibile ai media internazionali, in 14 milioni da tempo soggetti a limitazione, o privazione, di nutrimento, potrebbero perdere la vita. Oxfam riporta che in America Latina sono a repentaglio 83.4 milioni. In Africa centro-occidentale, dove 19 milioni erano ad alto rischio, si arriverà a 50 nei prossimi mesi.
In un futuro immediato, ci saranno mille milioni di persone che soffrono la fame. Una cifra mai vista prima, sulla quale non è semplice intervenire a breve termine. Una sequela drammatica della pandemia è il cambio strutturale della povertà e della povertà estrema, e l’acuirsi di una crisi alimentare dettata dalle asimetrie del mondo.
Esperta internazionale in inclusione sociale, diversità culturale, equità e sviluppo, con un’ampia esperienza sul campo, in diverse aree geostrategiche, e in contesti di emergenza, conflitto e post-conflitto. In qualità di funzionaria senior delle Nazioni Unite, ha diretto interventi multidimensionali, fra gli altri, negli scenari del Chiapas, il Guatemala, il Kosovo e la Libia. Con l’incarico di manager alla Banca Interamericana di Sviluppo a Washington DC, ha gestito operazioni in ventisei stati membri, includendo realtà complesse come il Brasile, la Colombia e Haiti. Ha conseguito un Master in Business Administration (MBA) negli Stati Uniti, con specializzazione in knowledge management e knowledge for development. Senior Fellow dell’Università Nazionale Interculturale dell’Amazzonia in Perù, svolge attività di ricerca e docenza in teoria e politica della conoscenza, applicata allo sviluppo socioeconomico. Analista di politica estera per testate giornalistiche. Responsabile degli affari esteri ed europei dell’associazione di cultura politica Liberi Cittadini. Membro del comitato scientifico della Fondazione Einaudi, area relazioni internazionali. Ha impartito conferenze, e lezioni accademiche, in venti paesi del mondo, su migrazioni, protezione dei rifugiati, parità di genere, questioni etniche, diritti umani, pace, sviluppo, cooperazione, e buon governo. Autrice di libri e manuali pubblicati dall’Onu. Scrive il blog di geopolitica “Il Toro e la Bambina”.