Nel 1990 Ralf Dahrendorf pubblicò un libro in forma di lettera immaginaria ad un amico polacco sugli eventi del 1989. Dato alle stampe in Italia da Laterza, il libro si intitola 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa, sulla falsariga del libro del politico e pensatore conservatore Edmund Burke Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia sugli eventi di due secoli prima.
Rileggerlo trenta anni dopo permette di ripercorre alcuni aspetti del pensiero dell’intellettuale liberale, che si definisce “un liberale radicale per il quale i diritti sociali di cittadinanza sono una condizione di progresso altrettanto importante della possibilità di scelta che richiedono iniziativa imprenditoriale e spirito innovativo” (pag. 35) difronte agli eventi che hanno cambiato la storia europea e mondiale.
Per Dahrendorf gli eventi del 1989 sono una rivoluzione europea, non singoli eventi nazionali e permettono di ricomporre l’est e l’ovest dell’Europa, che per decenni sono stati separati. La causa della rivoluzione risiede in tre eventi: il cambiamento nella politica sovietica operata da Gorbaciov, la presa di coscienza del mancato funzionamento del comunismo, e la divergenza economica degli anni ’80, in cui i paesi occidentali hanno ripreso a crescere, mentre quelli orientali sono rimasti nella stagnazione.
Per definire il conflitto nel mondo post-1989, Dahrendorf propone la dicotomia società aperta/società chiusa. “Gli esseri umani sono fallibili e la condizione umana è incerta. Nessuno conosce tutte le risposte; in ogni caso nessuno può dire se le risposte sono giuste o sbagliate. Perciò dobbiamo tentare di trovare la verità, ma assicurarci che se sbagliamo, o altri giudicano che sbagliamo, sia possibile ritentare. Non c’è per la libertà umana pericolo maggiore del dogma, del monopolio di un gruppo, di un’ideologia, di un sistema. […] La società aperta non promette una vita facile. Gli uomini, in realtà, sono pericolosamente inclini ai conforti del mondo chiuso” (pag. 23).
Nel mondo chiuso il sociologo oxfordiano include quello che può sembrare uno strano trio formato da Hayek, Fukuyama e la socialdemocrazia burocratizzata. I primi due meritano una spiegazione. Per Hayek ogni scelta di politica e di politica economica è di livello costituzionale e quindi sottratta alla politica ordinaria, in un processo per il quale si giunge ad una costituzione totale in cui non c’è nulla su cui dissentire. Il passo verso una società totale, cioè un altro totalitarismo, è breve. Dahrendorf, infine, non risparmia critiche all’idea della “fine della storia”, teoria che fu propugnata da Fukuyama in quegli anni: anche il trionfo di una singola idea, di un singolo modo di vivere (“liberaldemocrazia nella sfera politica, combinata con il facile accesso a videoregistratori e stereo in quella economica”, nelle parole di Fukuyama), gli appare una forma di totalitarismo e di rinuncia alla ricerca, al metodo della “prova ed errore”.
In 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa Ralf Dahrendorf ci restituisce l’idea di un liberalismo non dogmatico e cosciente del proprio metodo, utile nel tempo dello scontro con i sovranismi.
Professore associato di Politica economica all’Università di Verona. Si occupa di diversi aspetti di political economy (principalmente istituzioni, democrazia, conflitto). E’ Coordinatore del Dottorato di ricerca in Economia e Management, fellow del CESifo e Visiting Professorial Fellow al Global Development Institute (University of Manchester). Ha ottenuto il Dottorato in Economia Politica all’Università di Siena ed un MSc in Economics all’University of Exeter. Ha insegnato a Royal Holloway University of London e all’Università di Firenze, è stato Jean Monner Fellow all’Istituto Universitario Europeo e Visiting Fellow a Clare Hall College (University of Cambridge) e Jemolo Fellow a Nuffield College (University of Oxford). Ha ottenuto la NEPS Medal per il miglior paper di peace economics pubblicato nel 2017. È componente del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.